Sul CORRIERE della SERA di oggi, 19/12/2009, a pag. 18-19, con il titolo " L'esercito iraniano in Iraq, occupato pozzo petrolifero " , Guido Olimpio racconta questa vicenda che si presta a una riflessione. Uno stato entra dentro i confini di un altro, occupa un pozzo petrolifero, commettendo di fatto un atto gravissimo, che però viene visto come un'azione normale, niente proteste, nessuna dichiarazione da parte di nessuno, meno che mai da parte di quelli che hanno sempre il dito puntato sul Medio Oriente, pronti ad osservare Israele con il microscopio. Che all'Iran venga concessa mano libera ? e l'Onu, che fa ? Silenzio e sottovalutazione. Questa è Eurabia, ecco un'altra dimostrazione.

Iran oltrepassa il confine. Lecito ?
WASHINGTON — Alla dirigenza iraniana piacciono le provocazioni. I seguaci del presidente Ahmadinejad pensano di trarne dei vantaggi, di compattare i ranghi davanti agli avversari e di mostrare coraggio. Così l’ultima sortita l’hanno riservata al vicino Iraq. Un reparto militare ha occupato un’importante installazione petrolifera al confine tra i due Paesi. Con un’incursione, preceduta nei giorni scorsi da manovre simili, i soldati si sono impossessati del Pozzo numero 4 di Fakka, 230 chilometri a sud est di Bagdad. Un mini blitz effettuato senza sparare un colpo ma dal valore simbolico: tanto è vero che gli invasori — sostengono gli iracheni — hanno piantato una bandiera iraniana sulle strutture per rimarcare che è roba loro.
Fakka è un «campo» petrolifero piuttosto esteso, da dove estraggono il greggio sia l’Iran che l’Iraq ma che gli iracheni considerano sotto la loro sovranità. E non sono disposti a fare regali. Un contenzioso che va avanti da anni con incidenti e schermaglie. Ma che oggi assume un significato diverso vista la contrapposizione tra Teheran e la comunità internazionale.
Bagdad non ha reagito subito allo schiaffo ma è apparsa piuttosto imbarazzata. Prima ha dato l’annuncio del presunto attacco, quindi ha negato, infine ha sottolineato che «nel pomeriggio gli iraniani erano ancora sul posto». E denunciando «la violazione» ha chiesto «l’immediato ritiro dei soldati». La soluzione, per il governo, passa attraversa «la via diplomatica». Dai mullah, invece, è arrivata una smentita: «Non occupiamo alcun pozzo iracheno». Più sensibili, certamente, i mercati, con il prezzo del petrolio salito a 74 dollari.
Le mosse dell’Iran si inseriscono in un sentiero di provocazioni.
Una serie di passi che investono la sfera interna (azioni brutali contro il dissenso), esterna (il nodo nucleare) e regionale (interferenze in altri Paesi, come lo Yemen). Muovendosi da un «tavolo» all’altro, gli ayatollah attirano comunque le attenzioni, mantengono l’iniziativa, costringono la diplomazia internazionale a inseguirli. E a quanti si aspettano segnali di cooperazione il regime replica con calci negli stinchi. Il presunto sconfinamento in Iraq è stato seguito ieri dall’ennesimo annuncio sul programma atomico. Teheran ha affermato di aver testato nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio destinate ad entrare in servizio nel 2011. Un indizio evidente che Ahmadinejad e i suoi si preoccupano ben poco dei moniti lanciati dagli Usa.
Infine, dimostrando di voler mantenere la pressione su chi contesta, un team di hacker, presentatosi come «Cyber esercito dell’Iran», ha messo fuori uso per oltre un’ora il servizio di micro blogging Twitter. Chi ha cercato di entrare nel sito è stato «rimbalzato» su una pagina web dove c’era una bandiera verde e slogan pro Hezbollah. L’attacco è interpretato come una ritorsione nei confronti di Twitter, usato da giovani e studenti iraniani per aggirare la censura imposta dal regime durante le proteste nelle strade.
Le autorità hanno allora creato un’unità speciale, controllata dai pasdaran, che ha iniziato a combattere la sua guerra cibernetica per soffocare la controinformazione. Negli ambienti dell’intelligence si sostiene che Teheran oltre a mobilitare i «guardiani della rivoluzione » si sarebbe rivolta ad hacker stranieri (si parla dell’Est Europa), ingaggiati a suon di dollari come «mercenari del web».
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