Nell'ultima settimana ci sono stati due discorsi palestinesi importanti (no, non è una battuta né un ossimoro, esistono anche discorsi palestinesi importanti, davvero, sono quelli che deludono gli illusi della pace subito). Il primo discorso l'ha fatto il "primo ministro" di Hamas Hanyeh, il quale festeggiando con una parata i 22 anni dell'organizzazione ha detto, papale papale, che la lotta (armata, naturalmente) del suo movimento non terminerà finché non sarà stata "liberata" tutta la "Palestina" - e per "Palestina" intende il territorio "dal fiume al mare", dunque Tel Aviv, Haifa, Askelon e tutto il resto. Con tanti saluti a quelli che pensano si stia ammorbidendo e non si possa fare la pace coi palestinesi senza di loro. Infatti non si può. Il secondo discorso l'ha fatto il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Amar dopo essersi fatto estendere dal comitato centrale dell'OLP il mandato di sei mesi "fino alle elezioni" (lui era già scaduto un anno fa, ma lasciamo stare). Cosa ha detto il prorogato, o come dicono gli americani per i politici finiti l'anatra zoppa (lame duck)? Ha confermato che non intende ripresentarsi alle elezioni. E poi ha fatto votare al comitato la scelta di non riprendere le trattative finché Israele non sospenderà tutte le costruzioni nei territori e a Gerusalemme Est e inoltre fino a che la comunità internazionale non avrà assegnato alla "Palestina" tutti i territori che Israele conquistò nel '67 Una nuova condizione dunque. A questo punto e solo a questo punto i Palestinesi si metteranno a trattare. Su che cosa, visto che apparentemente avranno ottenuto tutto? Semplice, sulla sorte del resto della "Palestina", secondo esattamente lo stesso programma politico di Hamas, salvo il fatto di tenersi per il momento in tasca le pistole. Il modo di raggiungere "pacificamente" questo risultato è già chiaro: "Noi chiederemo al consiglio di sicurezza dell'Onu – ha dichiarato uno dei membri del comitato centrale, Munib Masri, di stabilire la soluzione dei due Stati, con Gerusalemme Est capitale dello stato palestinese, di compensare i rifugiati palestinesi [cioè in realtà i loro figli, nipoti, bisnipoti, cugini ecc., per un totale di alcuni milioni] e di affermare il loro diritto a tornare nella loro patria", cioè quello che attualmente è Israele, e per loro dovrebbe diventare presto la "Palestina" numero due. "Se Israele invece continua a costruire, noi chiederemo la costituzione di uno stato unico, con un calendario stabilito." Cioè di nuovo la stessa cosa. In sostanza, la precondizione per trattare è il suicidio di Israele, e l'oggetto della trattativa riguarda la forma esatta del nodo a cui dovrebbe impiccarsi. Dato che i palestinesi sanno benissimo che gli israeliani in qualche momento possono illudersi e fare concessioni poco sagge (come avvenne a Oslo, secondo me), ma non sono proprio pazzi e hanno molto gusto per la vita, il senso di questi discorsi è che neanche l'AP vuole più le trattative, solo che invece ai razzi preferisce affidarsi alle delibere dell'Onu per cercare di logorare Israele e in prospettiva di distruggerlo. Vi sembra una follia? No, purtroppo non lo è. Perché forse voi non ci badate, ma viviamo in un tempo in cui l'Iran sta per tirar fuori la bomba atomica, mentre l'America è comandata da Obama e l'Europa dei governi, forse non quella dei popoli, è ormai smaccatamente antisraeliana. Quando accadrà i piani palestinesi sembreranno molto molto meno ridicoli.
Ugo Volli |