Grand Hotel Vicki Baum
Sellerio Euro 14
Nelle sue memorie pubblicate postume nel ’64, scriveva: “ Sono un’ottima scrittrice di seconda categoria”. Eppure tra le due guerre mondiali Vicki Baum era stata una firma da bestseller in tutta Europa e negli Usa. Nata a Vienna da una famiglia ebrea piccolo borghese, approdò a Berlino alla fine degli anni Venti, col marito direttore d’orchestra. Lavorava in una casa editrice, le chiesero di scrivere un romanzo sulla “donna moderna” della repubblica di Weimar. Nacque così il suo primo successo, seguito nel ’29 da Grand Hotel, storia d’un gruppo di personaggi brillantemente alla deriva in un albergo berlinese. Portato a teatro a Londra e a Broadway, divenne nel ’32 un film da Oscar. La gente dormiva fuori dal cinema per vedere la Garbo e John Barrimore nei panni dei ricchi decadenti europei. Ora il romanzo torna per Sellerio: è demodé come una macchina d’epoca, eppure l’occhio di Baum per i dettagli, il suo indugiare sui particolari per rendere l’odore, il rumore, la mimica facciale del lusso, ha acquisito una valenza non triviale. Nell’albergo in cui la ballerina Grusinskaya cova il suo declino e il barone Felix un’allegra dissolutezza si avverte il sentore buono del manzo che annega nel burro e della cipria delle signore. Fuori dalla porta scorrevole, come un refolo di vento gelido, resta la Germania che di lì a poco inneggerà a Hitler. Grusinskaya e i baroni non possono accorgersene. Ma Vicki Baum sì: alla vigilia del nazismo salpò per l’America, salvando la vita e il talento.
Lara Crinò
La Repubblica delle donne