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Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.12.2009 Costruire la pace senza le interferenze di Obama
Tom Gross capovolge la disinformazione imperante

Testata: Informazione Corretta
Data: 12 dicembre 2009
Pagina: 1
Autore: Tom Gross
Titolo: «Costruire la pace senza l'interferenza di Obama»

Informazione Corretta analizza i media italiani, raramente quelli stranieri. Facciamo oggi uno strappo alla regola, pubblicando un articolo uscito sul WALL STREET JOURNAL il 02/12/2009 di Tom Gross, analista del Medio Oriente, già corrispondente da Gerusalemme dell'inglese Sunday Telegraph.
Una versione della realtà palestinese in contro tendenza rispetto alla vulgata alla quale ci hanno abituato i nostri giornali.
(traduzione di Emanuel Segre Amar)
Ecco il pezzo:

Tom Gross - "Costruire la pace senza l'interferenza di Obama"
Una Palestina che promette bene, indipendente, si sta sviluppando con calma e tranquillità, con l'assistenza di Israele.



 In questo periodo è difficile accendere la radio o la TV, o prendere un giornale senza imbattersi in qualche esperto che ci prospetti un futuro funesto per la pace tra israeliani e palestinesi, o che ci illustri delle tristi condizioni di vita degli stessi palestinesi. Anche i commentatori considerati neutrali ci ripetono continuamente questa storiella. "Ben poco sta cambiando per i palestinesi sul territorio", ho sentito dire dal corrispondente dal Cairo della BBC Christian Fraser, e perfino ripetuto per tre volte nello spazio di 45 minuti, poche sere or sono. In effetti nulla è più lontano dalla verità. Io ho passato nella West Bank proprio la giornata nella quale è stata data quella notizia alla BBC; ero nella città più grande, Nablus. La città in effetti scoppia di energia, di vita e prosperità, in un modo che non ho mai visto prima in tanti anni che vado in giro per quelle regioni. Quando mi sono seduto nell'ufficio di Ahmad Aweidah, un gentile banchiere dall'educazione inglese che dirige la Borsa valori palestinese, egli mi ha rivelato che il mercato di Nablus è risultato essere il secondo al mondo, per i risultati ottenuti, nel corso del 2009, dopo quello di Shanghai (l'ufficio di Aweidah guarda proprio verso il palazzo residenziale del miliardario palestinese Munib al-Masri, l'uomo più ricco della West Bank). Mi sono poi incontrato con Bashir al-Shakah, direttore del nuovo cinematografo di Nablus, tutto splendente di luci, dove proprio in quei giorni si proiettavano quattro degli ultimi successi di Hollywood. Molti spettacoli registravano il tutto esaurito, mi ha detto, aggiungendo orgoglioso che aveva anche già organizzato un festival cinematografico dopo aver inaugurato il suo locale nel mese di giugno. Gironzolando per il centro di Nablus mi accorgevo che negozi e ristoranti erano pieni di gente; per le strade si vedevano tante belle automobili, modelli costosi come Mercedes e BMW, in un numero ben superiore a quello che si potrebbe vedere, tanto per fare un esempio, nei centri di Gerusalemme o Tel Aviv. La cosa poi più importante è il fatto che abbia potuto recarmi da Gerusalemme a Nablus senza incontrare alcun check point. Il governo di Benjamin Netanyahu li ha rimossi tutti da quando i servizi di sicurezza israeliani (con l'incoraggiamento e l'aiuto del Presidente George W. Bush) sono riusciti, negli ultimi anni, a sconfiggere l'Intifada, a ricreare le condizioni di sicurezza nella West Bank, e a porre le condizioni per far nascere il boom economico che si sta rivelando in questo periodo. (Ho poi trovato un posto di frontiera nel viaggio di ritorno, alla sera, nei sobborghi di Gerusalemme, ma la giovane soldatessa si è limitata a fare un piccolo cenno con la testa a me ed ai due palestinesi che viaggiavano con me). Anche ad Hebron, dove sono stato di recente, i negozi ed i ristoranti erano pieni di gente, e mi sono stupito di vedere delle ville simili, per dimensioni, a quelle che si vedono in Costa Azzurra o a Bel Air; sono sorte sulle colline che circondano la città. La vita è poi perfino migliore a Ramallah, dove è difficile trovare un tavolo in un buon ristorante. Non si vede altro che nuovi fabbricati residenziali, banche, società commerciali, rivenditori di auto di lusso e centri benessere e per la bellezza. A Qalqilya, un'altra città della West Bank, un tempo dormitorio per terroristi e kamikaze, si sta facendo il primo raccolto di fragole, giusto in tempo per il ricco mercato europeo delle vacanze di Natale. Gli agricoltori locali sono stati istruiti da esperti israeliani che hanno fornito anche impianti di irrigazione e pesticidi. Una nuova cittadina, Ruwabi, sta per essere costruita subito a nord di Ramallah. Il mese scorso il Fondo Nazionale Ebraico ha aiutato a piantare 3000 nuovi alberi in una foresta che i palestinesi intendono creare nella periferia della città nuova. E gli esperti israeliani aiutano i palestinesi anche a sviluppare progetti per nuovi parchi e per centri di divertimento. Gli osservatori incominciano anche loro ad accorgersi dei cambiamenti. L'agenzia palestinese dell'OLP Wafa ha comunicato la settimana scorsa che il terzo trimestre del 2009 ha fatto segnare il record di turisti nei territori amministrati, facendo registrare 135.939 nottate negli 89 alberghi che sono attualmente aperti. Quasi la metà degli ospiti arriva da Europa e Stati Uniti. La crescita economica della Palestina, in questo anno dominato ovunque da una grave crisi, ha fatto segnare un impressionante aumento del 7%, secondo l'IMF, anche se il primo ministro Salam Fayad, già dipendente della World Bank e della IMF, dice che nella realtà è dell'11%, grazie anche ai risultati economici del confinante Stato di Israele. Anche a Gaza i negozi ed i mercati sono pieni di cibo e di merci. Ma mentre le fotografie pubblicate dal Palestine Today venerdì scorso mostrano le celebrazioni per il sontuoso Eid, queste stesse immagini non si vedranno alla BBC, su Le Monde o sul New York Times. No, Gaza non è un "campo di concentramento", né vi è una "crisi umanitaria come nel Darfur", come ci racconta la giornalista Lauren Booth (che, per inciso, è la cognata di Tony Blair). A giugno sul Washington Post Jackson Diehl ha riferito di una conversazione col presidente palestinese Mahmoud Abbas che gli aveva spiegato le ragioni per le quali aveva rifiutato l'offerta di Ehud Olmert dell'anno scorso: gli era stato offerto il 97% della West Bank (con l'aggiunta di un 3% delle terre di Israele di ante 1967 da aggiungersi a titolo di compensazione). "Nella West Bank abbiamo delle buone condizioni di vita - disse Abbas a Diehl - la gente vive una vita normale". E' stato uno dei rari momenti di franchezza, quello di Abbas con il giornalista occidentale. Il presidente della Borsa di Nablus, Ahmad Aweidah, è andato anche oltre spiegandomi il perché non ci sia premura di proclamare la nascita dello stato palestinese; il fatto è che i palestinesi hanno bisogno della protezione dell'esercito israeliano per difendersi da Hamas, dal momento che le loro forze di sicurezza non sono ancora pronte per farlo da sole. Il punto è che uno stato di Palestina si sta costruendo con calma, con l'assistenza di Israele. Se l'amministrazione Obama ed i politici europei non si immischiano in modo tanto grossolano come hanno fatto nel passato, e non fanno delle richieste irrealistiche per far concludere il processo di pace più in fretta del dovuto, io ho fiducia che il risultato possa essere positivo. (L'ultima volta che un presidente americano, Bill Clinton nel 2000, ha cercato di accelerare le cose in modo irrealistico, il risultato è stato un colpo di vento scatenatosi letteralmente sul muso di tutti, ed un rinvio delle speranze di pace per alcuni anni. Israeliani e palestinesi non troveranno mai un accordo che li soddisfi sui loro confini. Ma questo non significa che non potranno vivere in pace. Non tutti i tedeschi ed i francesi sono d'accordo su chi debba controllare l'Alsazia e la Lorena. Polacchi e russi, sloveni e croati, britannici ed irlandesi, e così tutti i popoli della terra hanno delle dispute sui loro confini. Ma questo non impedisce loro di convivere. Nello stesso modo - almeno finché i giornalisti di parte ed i gruppi che difendono i diritti umani non inducono in errore i politici occidentali facendo prendere loro delle decisioni errate - questo stato di cose non impedirà anche ad israeliani e palestinesi di coesistere.


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