Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/12/2009, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il doppio no di Erdogan all'America ".
Erdogan
Seduto davanti al caminetto dello Studio Ovale il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha respinto la richiesta di Barack Obama di sostenere rigide sanzioni contro il nucleare iraniano, a meno di 24 ore di distanza dall’annuncio fatto da Ankara sulla contrarietà a mandare rinforzi in Afghanistan. Si tratta di un doppio rifiuto che impensierisce Washington perché da un lato la Turchia è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e dunque il suo voto servirà per varare eventuali nuove sanzioni a Teheran, e dall’altro guida il comando delle forze della Nato a Kabul e dunque dovrebbe essere in prima fila nel sostenere l’invio di maggiori truppe.
Obama ha tentato di creare una «relazione speciale» con Erdogan andando ad Ankara per rivolgere il primo messaggio all’Islam, favorendo una mediazione turca fra Siria e Israele, e facendo marcia indietro sul riconoscimento del genocidio armeno ma questi passi non stanno dando i frutti sperati perché, come osserva il politologo Soner Cagaptay del «Washington Institute», la Turchia ha scelto di «riorientare la politica estera a favore di Mosca e di interlocutori islamici come Iran, Sudan e Hamas». La Russia nel 2008 ha sostituito la Germania come primo partner commerciale di Ankara, i cui scambi con l’Occidente sono diminuiti del 50% parallelamente alla scelta di Erdogan di difendere il Sudan di Omar Bashir dall’imputazione di genocidio in Darfur e Hamas dall’accusa di lanciare razzi contro i civili nel Sud di Israele.
Se a ciò aggiungiamo che è stata la Turchia ad opporsi alla nomina del danese Rasmussen alla guida della Nato - a causa della pubblicazione di vignette su Maometto su un giornale di Copenhagen - e che il sindaco di Ankara, dello stesso partito di Erdogan, ha autorizzato una mostra di vignette anti-occidentali e anti-israeliane non è difficile mettere assieme il mosaico di un progressivo indebolimento del legame della Turchia con il «mondo libero» di cui Obama è leader. Dietro questa svolta del premier c’è, secondo fonti diplomatiche a Ankara, il braccio di ferro che ha intrapreso con i vertici delle forze armate, accusandoli di ripetuti tentativi di colpi di Stato al fine di ridurne l’influenza sulla vita pubblica ovvero il tradizionale ruolo di garanzia dell’identità laica della nazione che venne forgiata da Ataturk.
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