Elie Wiesel, sopravissuto alla Shoà, non sarà "troppo emotivo" e "non obiettivo" ?
Se qualche decina di anni fa vi avessero messo in un campo, avessero gasato i vostri parenti, vi avessero tatuato un numero sul braccio, sareste un testimone giusto degli eventi? Non sareste per caso "troppo emotivo" in merito? Strana domanda, eh? Be' ho trovato sui giornali una piccola vicenda che induce a pensare. Anche perché si svolge in Germania, il paese in cui settant'anni fa fiorirono i "volonterosi carnefici" del nazismo.
Dovete sapere che in occasione dei settant'anni della notte dei cristalli il governo tedesco ha nominato un comitato per la lotta all'antisemitismo. Tutto bene? Un'iniziativa da imitare? No, non tanto. Perché dentro la commissione è esplosa una specie di faida, con email nascoste e pubblicate clandestinamente, dichiarazioni infuocate, polemiche, minacce di esclusione. Non sappiamo cosa sia successo davvero, quale sia stato l'oggetto della lite. Due dichiarazioni sono però emerse da questa discussione e fanno capire qualcosa. Una è di Juliane Wetzel, una storica del gruppo, che avrebbe dichiarato di "non essere disposta a farsi ricattare da lobbies". L'altre è di Elke Gryglewski, della "House of the Wannsee Conference" (La casa della conferenza di Wansee, dove fu decisa la Shoà, trasformata in museo e centro per lo studio dell'antisemitismo) che avrebbe dichiarato che "i sopravvissuti all'Olocausto sono troppo emotivi e non obiettivi" su questi problemi e dunque non bisogna troppo tener conto di quel che dicono. Se ho capito bene, sembra che c'entri il fatto che fra i seminari di questo centro non si parli dell'odio per Israele, la più ovvia forma di antisemitismo contemporaneo. Gli onesti studiosi delle università tedesche pensano, se capisco bene, che quel che è accaduto settant'anni fa vada studiato scientificamente, senza interferenze emotive e senza riferimenti al presente; magari solo come una pedagogia del più generico e buonista senso di solidarietà umana. Il resto è "troppo emotivo".
Ma il problema che si pone è più vasto: a partire dal nome stesso "Olocausto", che il mondo ebraico non ha mai accettato per la sua risonanza di sacrificio religioso, si pone il problema di chi può oggi parlare di antisemitismo e Shoà: gli ebrei, sopravissuti o meno ma comunque "troppo emotivi" e "non obiettivi" naturalmente organizzati in "lobby", manco a dire legate a Israele o dei posati professori universitari, pastori protestanti, funzionari dello stato tedesco – naturalmente bene intenzionati e altamente morali? Insomma, gli eredi delle vittime o quelli dei carnefici? Si tratta di farne un monumento universale al rifiuto della cattiveria umana, o il ricordo di una persecuzione specifica, rivolta contro un popolo specifico? Questo è oggi il problema del ricordo della Shoà, non solo in Germania, ma anche in Italia e nel resto del mondo
Ugo Volli