Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/12/2009, a pag. 31, la risposta di Sergio Romano a due lettori dal titolo " Referendum: svizzeri e noi. Quando i popoli sbagliano ".
Le due lettere a Sergio Romano analizzano il referendum svizzero dal punto di vista costituzionale e del suo funzionamento. Solo nella seconda lettera c'è un breve accenno al contenuto del referendum. Romano, invece, dedica metà della sua risposta alla questione dei minareti e arriva a scrivere che il referendum : "discrimina tra svizzeri cristiani e svizzeri musulmani costringendo i secondi a praticare la loro fede con prudenza, con discrezione e con la minore visibilità possibile ". La sua interpretazione è eccessiva. Il referendum si riferiva alla costruzione di nuovi minareti. Per quanto riguarda le moschee esse non sono in dubbio come non lo è la libertà di culto.
In ogni caso, in Svizzera ci sono 4 minareti e 200 moschee. I musulmani non sono discriminati.
Romano descrive il referendum per ciò che non è: una caccia alle streghe.
Romano, inoltre, dimentica volutamente di scrivere che in tutto il mondo è in atto un jihad fondamentalista che si propone il dominio mondiale del Califfato. Questo obiettivo ha bisogno di diffondere la propria ideologia ed è dimostrato che uno dei luoghi dove questo avviene sono proprio i centri religiosi musulmani. Ecco lettere e risposta di Sergio Romano:
Le scrivo a proposito del referendum svizzero. A prescindere dall’esito del voto, credo che il referendum in questione sia una lezione di democrazia per noi italiani: il giorno dopo la votazione, la volontà espressa dal popolo diventa subito legge esecutiva.
Da noi, i referendum vengono fatti in modo che chi vota per dire sì deve votare no, e chi vuol dire no deve votare sì, dopodiché il Parlamento legifera come vuole: vedasi certi referendum come sul finanziamento ai partiti, sulla privatizzazione della Rai e altri. Come mai? Se è la Costituzione che ci impone certe cose la si potrebbe anche modificare.
Mario Calzolari
Perugia
Quella che è stata accolta è una iniziativa costituzionale e non, come viene ripetuto in Italia, un referendum. La differenza è sostanziale: il referendum, nella nostra democrazia, viene promosso contro una proposta di legge, mentre l’iniziativa serve a introdurre nella Costituzione una modifica. Da noi, infatti, la Costituzione può essere modificata quando la maggioranza del popolo e dei cantoni lo vuole. Quanto al merito, il popolo non ha in alcun modo limitato la libertà di professare il credo da parte dei musulmani, bensì ha unicamente voluto proibire l’edificazione di strutture che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione e cultura. Fa poi sorridere l’accusa che il nostro sarebbe un popolo razzista: non si deve infatti sottacere che da noi la popolazione straniera supera il 22%, e convive pacificamente, contro una media europea del 4,5%.
Igor Bernasconi
legale@ticino.com
Cari lettori,
Calzolari ha ragione. I referendum svizzeri (o iniziative costituzionali, come quello sui minareti) sono molto più chiari ed efficaci dei referendum italiani, spesso complicati dalla opacità dei quesiti e aggirati dalla scaltrezza della classe politica. Ma l’iniziativa svizzera sui minareti, paradossalmente, è fin troppo chiara ed efficace. Introduce nella Costituzione un divieto che potrebbe essere in stridente contrasto con le norme internazionali sottoscritte dalla Confederazione e procurarle parecchi grattacapi. In una intervista al Corriere del Ticino del 30 novembre, Eveline Widmer-Schlumpf, guardasigilli e ministro degli Interni, ha detto che il divieto di edificazione potrebbe essere considerato «violazione della libertà di religione e del divieto di discriminazione garantiti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni unite». E quando l’intervistato ha chiesto se la Svizzera non corra il rischio di essere condannata dalla Corte dei diritti dell’uom o, la signora Widmer-Schlumpf ha ricordato che un eventuale processo richiederebbe probabilmente alcuni anni, ma ha aggiunto che nell’ipotesi di una condanna il Paese potrebbe avere soltanto due scelte: tornare alle urne per un nuovo voto o uscire dal Consiglio d’Europa.
Anche Igor Bernasconi ha ragione: il voto non compromette la libertà di culto dei musulmani in Svizzera. Ma discrimina tra svizzeri cristiani e svizzeri musulmani costringendo i secondi a praticare la loro fede con prudenza, con discrezione e con la minore visibilità possibile. Con tutte le differenze del caso, così accadde nei Paesi protestanti dopo la Riforma, quando il culto cattolico era confinato negli appartamenti privati o nelle cappelle di alcune rappresentanze diplomatiche. E così accadde nella Roma papale dove i protestanti non potevano essere sepolti in terra benedetta e soltanto nel 1817 ebbero il diritto di creare un cimitero «acattolico» accanto alla piramide Cestia. La Svizzera è certamente una democrazia e il suo governo ha il dovere di rispettare la volontà del popolo. Ma anche i popoli possono sbagliare.
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