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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.12.2009 La cultura ebraica secondo Ruth R. Wisse
L'intervista di Alessandra Farkas

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 dicembre 2009
Pagina: 51
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «Una risata yiddish salverà l’America»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/12/2009, a pag. 51, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Una risata yiddish salverà l’America ".

 
Alessandra Farkas

NEW YORK — «Senza di lei la letteratura yid­dish rischiava di scomparire», ha detto Cynthia Ozick, uno degli autori immortalati in The Mo­dern Jewish Canon. A Journey through Langua­ge and Culture (University Of Chicago Press, 2000), il libro di critica letteraria in cui la settan­tatreenne Ruth Wisse sostiene che «conoscere la letteratura yiddish è fondamentale per capire l’ebraismo moderno».
Il suo
Canone — mai tradotto in Italia — in­clude autori quali Sholem Aleichem, Franz Kafka, Vasilij Grossman, Isaac Bashevis Singer e suo fratello Israel Joshua Singer, oltre a Elie Wie­sel, Saul Bellow e Philip Roth. Più di un classico della letteratura ebraica viene rivisitato dalla Wisse in chiave critica. Come Exodus di Leon Uris («troppo commerciale») e il musical Fidd­ler on the Roof di Jerry Bock («americanizza­to »), tratto da Aleichem.
Considerata dagli americani la massima auto­rità in materia di letteratura yiddish — che inse­gna ad Harvard dal 1993, dopo decenni tra Mc­Gill, Stanford, New York University e Università di Tel Aviv — la Wisse è autrice di classici quali
The Liberal Betrayal of the Jews , dove imputa il revival dell’antisemitismo ai liberal ebrei. E Jews and Power , storia della politica ebraica da re Davide a oggi, definito «un testo indispensa­bile per capire la rinascita di Israele» da Angelo Pezzana, fondatore dell’influente sito ebraico In­formazioneCorretta.com.
«Mi considero il prodotto della millenaria cul­tura yiddish, che nel XIX secolo si diffuse dall’Eu­ropa agli Stati Uniti», spiega la Wisse, nata nel 1936 a Czernowitz, la città dell’Ucraina (un tem­po parte della Romania e prima ancora dell’Im­pero austro-ungarico) che ha dato i natali a intel­lettuali e letterati del calibro di Aharon Appel­feld, Gregor von Rezzori e Paul Celan.
Tra il 1870 e la Seconda guerra mondiale la popolazione ebraica di Czernowitz superava il 30 per cento del totale e nel 1908 la città fu sede della prima conferenza sulla lingua yiddish. «Nella nostra casa si parlava lo yiddish e si legge­vano gli innumerevoli classici di quella lingua», precisa l’autrice. Suo padre, di origine lituana, possedeva una fabbrica di gomma. Aveva ricevu­to dal re di Romania una medaglia per meriti sul lavoro e per questo nel 1940, quando i sovietici stavano avanzando, gli fu consentito di lasciare il Paese.
In un primo momento la famiglia vive da apo­lide a Lisbona, per emigrare poi a Montreal, do­ve il padre nel frattempo aveva acquistato un’in­dustria tessile in disuso. Dopo aver studiato let­teratura yiddish alla Columbia University di New York, nel 1969 la Wisse consegue un PhD in letteratura inglese alla McGill di Montreal, con una tesi dal titolo
Shlemiel as Hero in Yiddish and American Fiction («Lo sciocco co­me eroe nella fiction yiddish e ameri­cana »). «Tranne la Columbia, nessuna università nordamericana a quei tem­pi offriva corsi di letteratura yiddish o studi ebraici», ricorda. Ispirata dal po­eta yiddish Abraham Sutzkever, di cui, nel lontano 1959, aveva organizzato il primo e trionfale book tour nordameri­cano, la Wisse convince il dipartimen­to di inglese alla McGill a introdurre prima un corso di letteratura yiddish e poi un programma di studi ebraici che comprendeva l’apprendimento del Tal­mud. Il resto è storia.
Il merito di far conoscere all’Ameri­ca la cultura yiddish, secondo molti, è
suo. «Non è così — si schermisce lei — nel mondo da cui provengo questo tipo di letteratura era già studiata e ve­nerata ». Alla vigilia della Seconda guerra mondiale lo yiddish era parlato da quasi 13 milioni di persone. Oggi es­se raggiungono a malapena un milio­ne. «Purtroppo molti di coloro che lo usavano sono morti o sono stati uccisi e gli ebrei ultraortodossi che attual­mente lo parlano non vogliono avere nulla a che fare con la tradizione laica che da ormai due secoli lo caratterizza».
Anche se gli ebrei hanno inventato lo yiddish per mantenere vivo il giudaismo, servendo Dio a modo loro, la letteratura yiddish degli ultimi 200 anni è
veltlech , ovvero laica e mondana e spesso rifiuta la religione. «Paradossalmente, chi sarebbe interessato ad apprenderla — dice la Wisse — non può perché non conosce la lin­gua.
Ecco perché la mia missione ad Harvard non è solo dissotterrare i grandi del passato, ma anche renderli accessibili, aumentando la cono­scenza dell’idioma».
Ad Harvard i suoi studenti non sono solo ebrei. «Tra i migliori ho avuto due professori ci­nesi. È un fenomeno nuovissimo: Pechino vuole diffondere la letteratura yiddish nel Paese». Pe­rò anche lei tiene ai distinguo: «Io adoro lo yid­dish, ma riconosco che è solo uno strumento. Non un Dio, come sostenevano i socialisti ebrei guidati da Chaim Zhitlowsky, fondatore del Par­tito socialista rivoluzionario russo e leader del cosiddetto yiddishismo, il movimento secondo cui lo yiddish conteneva l’essenza del giudaismo ed era più importante dell’ebraismo stesso».
Il suo
Canone , tradotto anche in cinese, non s’ispira al Canone Occidentale di Harold Bloom: «Il mio approccio è diverso. Io non opero solo scelte personali, ma cerco di includere i classici universalmente riconosciuti, ponendomi la domanda: 'Che cosa contraddistingue la grande letteratura ebraica?'». Molti critici hanno contestato l’idea di un Canone Ebraico , accusandola di «essenziali­smo », «nazionalismo» e «sciovini­smo ». «Si sbagliano — ribatte lei —. Nazione per me è l’estensione del con­cetto di famiglia. Il nazionalismo è una necessità: tutti noi apparteniamo ad un gruppo, a una comunità, e il sen­so di identità è molto importante».
Quando il libro uscì, le critiche più accese vennero da Cynthia Ozick. «Mi attaccò violentemente — ricorda — ma fu l’inizio di una grandissima ami­cizia ». Eppure è lei la prima a ricono­scere «i limiti oggettivi» del suo
Cano­ne : «Gli esclusi sono più degli inclusi e gli autori sefarditi mancano del tut­to. Ma è solo perché la letteratura ebraica è troppo vasta e il mio scopo era aprire la conversazione, lasciando ad altri il compito di portarla avanti».
Ed è proprio ciò che hanno fatto al­cuni suoi studenti di Harvard, che a gennaio hanno pubblicato un saggio di 721 pagi­ne dal titolo
Arguing the Modern Jewish Canon (Harvard University Press), dove suggeriscono l’inclusione nel Canone di numerosi altri autori. Ma i veri eredi della grande tradizione yiddish, secondo la Wisse, sono i comici ebrei, da Mel Brooks a Woody Allen, passando per Groucho Marx e Jerry Seinfeld: il prodotto dell’intreccio post-assimilazione tra identità ebraica e cultura americana.
«Negli anni Settanta quasi l’80 per cen­to dei comici americani — spiega — era­no ebrei. Il fatto che l’humour ebraico re­sta una delle caratteristiche più impor­tanti e distintive della cultura Usa forni­sce la misura di quanto profonda e ca­pillare sia stata l’influenza degli ebrei in questo Paese». Il pioniere della
co­mic revolution ? «Saul Bellow: ha cam­biato la direzione della fiction ameri­cana, trasformando il 'timore e tremo­re' di Kierkegaard nell’ebraicissimo 'ilarità e tremore'. Forse la sua più grande eredità letteraria».
Anche i fratelli Coen sono tra i de­bitori dell’autore di
Herzog . «Il loro ultimo film, A Serious Man , è an­che il più ebraico: un adattamento del Libro di Giobbe in chiave comi­ca. La prima volta che un film hol­lywoodiano contiene dialoghi in yiddish sottotitolati». Isaac Bashe­vis Singer meritava il Nobel? «An­che suo fratello Israel Joshua — replica la Wisse — era uno scrit­tore di enorme talento. Ha ragio­ne Bloom: non puoi permettere alla giuria del Nobel di dettare gli standard della grande lettera­tura mondiale. Il comitato del Nobel non legge nelle lingue delle minoranze che premia e sicuramente non ha letto Imre Kertész in ungherese. Perlopiù ri­sponde alla pressione culturale e a petizioni di gruppi. Il Nobel è quello che è. Ha sempre avu­to un connotato politico e sarebbe ingenuo cre­dere il contrario». D’altronde anche lei è attiva nel dibattito politico, da posizioni conservatri­ci. Nel gennaio 2009 ha pubblicato sul «Wall Street Journal» un commento dal titolo «Bush ha distrutto un dittatore, Clinton ne ha installa­to uno. Quale tra i nostri due ultimi presidenti ha reso il mondo più sicuro?», in cui attacca Clinton per aver aiutato Yasser Arafat nella sua ascesa politica e loda Bush per aver destituito Saddam Hussein.
Anche se negli ultimi tempi non perde occa­sione per dare addosso ai liberal ebrei, la sua vera crociata resta la battaglia per il futuro dello yiddish. «Non farà la fine del sanscrito — assi­cura — ed è in una posizione migliore rispetto ad altri idiomi, perché è stato assorbito dal­l’ebraico in Israele, dal tedesco in Germania e persino dall’inglese in America. Pertanto non
morirà mai».

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