A me piacerebbe sapere chi finanzia le Ong israeliane. Ma si sa, sono un utopista 04/12/2009
Cari amici, avete letto di quella proposta, credo di Brunetta, che diceva: obblighiamo le televisioni a mettere nei titoli delle trasmissioni televisive i compensi pagati a conduttori e giornalisti? Non per farci i fatti loro, ma per far capire alla gente quanto sono disinteressati i punti di vista di Santoro Lerner Fazio Vespa e compagnia. E' un'idea interessante. Ma io ne avrei un'altra, forse più urgente, a proposito di disinteresse. Obblighiamo le organizzazioni politiche a scrivere sui loro materiali propagandistici se hanno ricevuto finanziamenti stranieri, quanto e quali. Così sappiamo se qualcuno cerca di manipolare le nostre opinioni, chi e con quanti soldi. E sappiamo anche chi pensa con la propria testa e chi con il portafoglio dei finanziatori. Vi sembra un'idea poco attuale? Sì, avete ragione. In Italia il tema è stato importantissimo fino al crollo del socialismo reale. Ci sono tantissimi documenti che mostrano come il Pci e fino a una certa fase anche il Psi vivessero di gentili contributi sovietici e come invece democristiani e soci prendessero soldi americani. Infatti, pochi anni dopo la caduta del muro di Berlino, finiti i finanziamenti, sono iniziate a venir fuori le storie di corruzione, con l'esito di mani Pulite. Ma se in Italia non succede più, in Israele la campagna di manipolazione continua, anzi. E gli europei, da pagati che erano, sono diventati pagatori. Solo che non pagano tanto i partiti (l'elettorato ebraico riserva a quelli che la pensano come l'Europa meno del 10 per cento dei voti, sostanzialmente l'elettorato arabo e pochi sedicenti intellettuali che prendono Haaretz come la Bibbia), ma le Organizzazione Non Governative. L'istituto NGO monitor ha documentato che negli ultimi tre anni sedici ONG israeliane hanno preso solo dall'Unione Europea 31 milioni di shekel, cioè circa 6 milioni di euro dai paesi europei e dall'Unione – questi ultimi, soldi nostri. Naturalmente tutte organizzazioni "per la pace", che denunciano le malefatte dell'esercito israeliano, "lottano" contro la barriera di protezione, "proteggono" gli arabi di Gerusalemme che hanno occupato case di ebrei o ne hanno costruite di abusive dallo sfratto ecc. Sei milioni in tre anni vi sembrano pochi? Mah, ci sono almeno altrettanti e forse molti di più soldi che vengono da governi come quello spagnolo, norvegese, inglese, olandese, svedese ecc. E in realtà la maggior parte di queste ONG non fanno niente di speciale se non produrre un po' di carta, o meglio tradurre la propaganda palestinese in inglese aggiungendoci un titolo altisonante in ebraico (B'tzelem, a immagine; Yesh Din, c'è la giustizia). Costituiscono così una fonte utile ai giornalisti e ai politici europei per dire che anche in Israele c'è chi riconosce "atrocità" e "violazioni dei diritti umani", e che dunque sono giuste le lamentele palestinesi e i (pre)giudizi europei. Forniscono persone da intervistare per l'Unità e il Manifesto (o El Pais e Liberation). Insomma, svolgono la stessa funzione che in Italia ha (probabilmente gratis) gente come Gad Lerner e Moni Ovadia: se lo dicono loro... E dunque non ottengono in cambio solo soldi, ma anche celebrità, attenzione, rispetto. Qualcuno dei loro dirigenti è un ex politico trombato, altri giornalisti falliti. Qualcuno finisce nel grande giro delle Ong internazionali, tipo Humar Right Watch, o Amnestsy International (Amnesy per gli amici, data la sua attenzione al mondo arabo), dove girano ben altre somme. Ecco, a me piacerebbe che a fianco delle loro appassionanti denunce si potesse leggere che l'ONG tal dei tali, la quale sostiene che Israele ha fatto questo o quest'altro di male ha ricevuto tot euro dall'Unione Europea, tot dall'ambasciata inglese, tot dal governo svedese. E che questa notizia comparisse anche sugli articoli di giornale che ne traggono spunto, dalle delibere dell'Unione Europea che ne sono ispirate, sui giornaletti parrocchiali che piangono a proposito di Gaza. Altro che lo stipendio di Vespa. Ma si sa, sono un utopista. Non accadrà. Peccato.