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La Stampa Rassegna Stampa
01.12.2009 Il boia di Sobibor a processo
Cronache di Alessandro Alviani, Giuseppe Zaccaria

Testata: La Stampa
Data: 01 dicembre 2009
Pagina: 19
Autore: Alessandro Alviani - Giuseppe Zaccaria
Titolo: «L'ultimo processo a un nazista - Le tre vite del boia di Sobibor»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/12/2009, a pag. 16,gli articoli di Alberto Alviani e Giuseppe Zaccaria titolati "  L'ultimo processo a un nazista " e " Le tre vite del boia di Sobibor  ".

Alberto Alviani : " L'ultimo processo a un nazista "

È partito nel modo più inatteso, con l’imputato trasformato in vittima dal suo difensore, quello che si annuncia come l’ultimo grande processo per crimini nazisti celebrato in Germania. Alla sbarra non c’è un gerarca delle SS, bensì, per la prima volta, un ex prigioniero di guerra di origini non tedesche, John Demjanjuk, accusato di aver contribuito in qualità di guardiano del lager di Sobibor (nell’allora Polonia occupata dai nazisti) allo sterminio di 27.900 ebrei.
«Un collaborazionista che tra il marzo e il settembre del 1943 prelevò gli ebrei appena scaricati dai treni e li condusse immediatamente nelle camere a gas», attacca il pubblico ministero. Una vittima, anzi di più: «un uomo che va messo sullo stesso piano dei sopravvissuti ai campi di concentramento», ribatte il suo avvocato Ulrich Busch, provocando un’ondata di indignazione nell’aula del tribunale di Monaco di Baviera in cui si svolge il processo. Una sala troppo piccola per contenere i pochissimi sopravvissuti, le decine di parenti delle vittime arrivati in Germania dall’Olanda e dagli Stati Uniti e i 270 giornalisti accreditati.
Lui, John Demjanjuk, 89 anni e una vita che l’ha portato già una volta a scampare d’un soffio al braccio della morte, ripete la stessa scena che l’aveva già visto protagonista in primavera, quando alcuni ufficiali statunitensi lo prelevarono dalla sua abitazione nell’Ohio per estradarlo in Germania: immobile su una sedia a rotelle (soffre di una malattia al midollo osseo), un berretto e una coperta celeste che lo copre dal collo fino ai piedi, la bocca aperta e gli occhi chiusi. Una scena che non cambia per tutta la prima giornata del processo. Tre ore in tutto, suddivise in due fasi da 90 minuti: così hanno deciso i medici che ieri mattina l’hanno visitato per l’ennesima volta, attestando che, malgrado i suoi problemi di salute, è in grado di seguire il dibattimento.
In aula Demjanjuk dà un’impressione diversa: assente, dolorante, in silenzio anche quando i giudici gli rivolgono la parola. A rispondere, per lui, ci pensa il suo avvocato, Ulrich Busch. Il quale tenta subito di ricusare il tribunale. Quello che sta avvenendo, attacca, è del tutto arbitrario, in quanto molti dei gerarchi nazisti e dei superiori di Demjanjuk portati in tribunale nei decenni scorsi sono stati assolti dai tribunali tedeschi. «Come potete affermare che quelli che diedero gli ordini erano innocenti e chi li riceveva è colpevole?».
Demjanjuk, è la sua linea, non era un criminale, un Trawniki - come vengono chiamati i circa tremila prigionieri di guerra sovietici obbligati dai nazisti a partecipare allo sterminio degli ebrei e addestrati a tal scopo nel campo polacco di Trawniki - bensì una vittima, perché fu costretto a collaborare «per salvare la pelle». Una parola, «vittima», che manda in collera Thomas Blatt e Jules Schelvis, due sopravvissuti all’inferno di Sobibor che hanno deciso di costituirsi parte civile. Ci pensa l'avvocato di parte civile Cornelius Nestler a ristabilire le differenze: «I Trawniki uccidevano. Gli ebrei no».
Il processo non si annuncia facile. L'impianto accusatorio si basa tutto su un documento, il tesserino delle SS numero 1393 con foto che confermerebbe la presenza di Demjanjuk a Sobibor. Si tratta di uno scambio di persona, ribattono avvocati e familiari dell'ucraino.
Non sarebbe la prima volta: nel 1993 una condanna a morte pronunciata da un tribunale israeliano venne cancellata dopo che nuove prove dimostrarono che non era lui il brutale guardiano di Treblinka noto come «Ivan il Terribile». Demjanjuk ha sempre taciuto sulle accuse che gli vengono rivolte, per cui servirà un lento e complesso lavoro di ricostruzione. Il processo durerà fino a maggio, la pena potrebbe arrivare a 15 anni di carcere.

Giuseppe Zaccaria : " Le tre vite del boia di Sobibor "

Senza avvedersi del grottesco, l’agenzia France Presse ieri ha scritto che Ivan Nikolayevich Demjanjuk detto John adesso «rischia» una condanna a vita, il che, se applicato a un uomo di 89 anni avvolto in un lenzuolo azzurro che sbava su una sedia a rotelle, non acquista proprio i caratteri della minaccia.
Questo scarto della storia formalmente è già morto almeno tre volte: prima come soldato dell’Armata rossa catturato dai soldati tedeschi della Wehrmacht, poi come boia dei lager sfuggito agli Alleati e infine in quanto condannato alla pena capitale da un tribunale israeliano. In realtà fino a oggi della vita di Ivan «John» Demjanjuk si sa veramente poco, cioè quanto è emerso dai verbali di processi interminabili e finora inutili.
Di sicuro c'è il fatto che fra il 1942 e il 1943 fu impiegato come guardia nel campo di sterminio di Sobibor, in Polonia. Un anno prima, come soldato di Stalin, era stato catturato dai tedeschi e in quanto ucraino, dunque intimamente nemico dei Soviet, aveva accettato di buon grado, anzi sollecitato, un arruolamento nelle SS e una rapida «scuola di formazione» come boia. Con questo scampando per la prima volta a morte sicura.
I sopravvissuti a quei crimini (o meglio: i loro eredi, visto, che ci si riferisce a 66 anni fa) lo descrivono molto attivo nel girone dei dannati. Secondo l'accusa, Demjanjk avrebbe attivamente contribuito ad assassinare con il gas 27.900 ebrei. Era preciso, determinato e tetragono, come nei campi nazisti riuscivano a essere solo tre categorie di boia: gli ucraini, i carinziani e gli sloveni.
C’è anche chi lo ricorda in altri due lager, ma di questo non esistono prove sufficienti. Anche perché, con la vittoria alleata, il gorilla dalla fronte bassa che appare nelle foto della scuola macellai delle SS sarebbe sprofondato nel nulla, riuscendo a scampare anche alla seconda morte.
Ricomparirà sette anni più tardi a Cleveland, Ohio, con un visto d’ingresso e un posto da operaio in un’industria automobilistica. E sarebbe volentieri scomparso nel «melting pot» americano se non fosse stato per gli investigatori del cacciatore di criminali nazisti Simon Wiesenthal, che a metà degli Anni 80 lo rintracciarono, ottenendo dagli Stati Uniti una rapida estradizione in Israele, dove il 25 aprile del 1988 una Corte l'avrebbe condannato a morte identificandolo come il boia che gli internati di Treblinka chiamavano «Ivan il Terribile».
E invece no, il destino e l'accortezza dei giudici di Israele per la terza volta gli avrebbero evitato di morire: prove acquisite in extremis consentirono al tribunale di escludere che Ivan Demjanjuk fosse «quell'Ivan» e l'uomo senza carattere e senza storia tornò libero. Solo per qualche anno, però, perché nel 2001 nuove prove l'avrebbero riportato davanti ai giudici come sterminatore professionale nei campi di Sobibor, Majdanek e Flossemburg. Rispetto alla sua partecipazione agli stermini di massa compiuti negli ultimi due lager forse gli indizi non sono sufficienti, ma riguardo a Sobibor le testimonianze appaiono, come si usa dire, genuine e concordanti. E dunque Demjanjuk ha perso la cittadinanza americana per aver mentito sul suo passato e oggi compare come apolide dinanzi al tribunale di Amburgo.
Con ogni probabilità sarà lui l'ultimo nazista a essere processato per l'Olocausto, anche se è molto dubbio che questo residuo d'uomo afflitto da demenza senile comprenda quanto gli sta accadendo intorno. Nella lista dei ricercati dal Centro Wiesenthal lui era il numero uno. Il due, tre e quattro, se sono ancora vivi, hanno di molto superato i novant’anni.

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