Pubblichiamo l'articolo di Piera Prister dal titolo " Se mai ti dimentico, Gerusalemme ", seguito dall'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Il soldato Shalit e una scelta straziante ", a pag. 29 del CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2009. Ecco gli articoli:
Piera Prister : " Se mai ti dimentico, Gerusalemme "
Ci aveva commosso la vicenda dei tre soldati israeliani caduti nelle mani di Hamas e di Hezbollah e c’eravamo tutti mobilitati per il loro rilascio. Poi e’ arrivata la notizia che le salme di due di loro, di Ehud Goldwasser e Eldad Regev sarebbero state riconsegnate ai familiari e riportate nel grembo della madre Israele per l’ultimo corale compianto in cambio della rimessa a piede libero di molti terroristi palestinesi autori di tante cruente stragi. Ora ci sono trattative in corso per il rilascio di Gilad Shalit, l’unico rimasto in vita. Chissa’ che non venga liberato proprio in coincidenza con Chanukah, la festa delle luci di dicembre che piace tanto ai bambini e che celebra Giuda Maccabeo, l’eroe morto in battaglia nell’anno 160 prima dell’era volgare e che guido’ la rivolta degli Ebrei contro l’ellenizzazione del tempio di Gerusalemme e contro l’oppressione di Antioco IV, il re cattivo di Siria.
E di fatto in questa impari trattativa, Israele mostra al mondo la sua grandezza morale e civile e in particolare, la sua gratitudine per ogni singolo soldato che combatte per la difesa e la sopravvivenza del suo paese. E’ un legame profondo di reciprocita’ quello che lega il soldato alla sua patria e a Gerusalemme, di mutua riconoscenza e di mutuo affetto nelle alterne vicende della guerra che mai finisce e che e’ sempre in corso, il soldato sa che anche nei momenti peggiori della sua vita non si sentira’ solo, non si sentira’ abbandonato, sa che i suoi compagni non si arrenderanno mai, che lo staranno cercando e che continueranno a farlo fino a che non sara’ ricondotto a casa. E’ questa la certezza che lo fara’ combattere nei momenti gloriosi della vittoria come e’ anche la dolcezza degli affetti che gli infondera’ coraggio nei momenti desolati della disperazione. E’ anche un soldato nobile quello israeliano che sente dentro di se’ la legge mosaica da onorare, che uccide non per il gusto di uccidere e che non si accanisce contro civili, donne e bambini. Bene ha fatto Israele che non ha dimenticato il suo soldato Shalit e che e’ disposto ancora a rilasciare altri criminali pur di riaverlo, anche forse quelli che hanno fatto saltare a brandelli la gente negli autobus e nelle pizzerie. Ed e’ tutta un’intera nazione che si stringe intorno a Bibi Netanyahu e lo guida nei passi di questa transazione.
Sappiano gli odiatori quale altissimo prezzo sia disposto a pagare Israele stesso per la liberta’ di uno solo dei suoi soldati e quale grande affetto illumini tutta la nazione riverberandosi come una luce sul mondo, a dimostrazione che Israele desidera la vita e la pace contro tutti i guerrafondai amanti della morte e negazionisti della sua esistenza. La forza e la grandezza di Israele e’ basata sul coraggio e l’ardimento dei suoi soldati che la rendono invincibile. La guerra e’ sempre guerra ma e’ nobile se e’ una guerra di difesa volta a riaffermare il diritto di Israele ad esistere nelle forme e nella sostanza della sua costituzione democratica. Gerusalemme, la gemma di Israele e’ sempre li’, eterna. L’hanno messa a ferro e fuoco e ne deportarono gli abitanti i Babilonesi, l’hanno rasa a terra spargendovi sopra il sale i Romani. Tutti hanno cercato di conquistarla, i Persiani e gli Arabi, i Crociati e i Turchi. Ma Gerusalemme e’ risorta piu’ bella che mai. Grazie anche al suo popolo, a quegli ebrei che, anche se distanti ai quattro cantoni della terra, in schiavitu’ o in esilio, non l’hanno mai dimenticata.
Come quegli ebrei schiavi in Babilonia che, seduti all’ombra dei salici ricordavano con nostalgia i bei tempi andati quando vivevano in liberta’ e il loro pensiero librandosi sulle ali dorate, spiccava alto un volo percorrendo grandi spazi nel cielo sopra il fiume Giordano e le torri atterrate di Gerusalemme, per posarsi a destinazione sulla terra di Sion. Cosi’ risvegliavano nel petto le patrie memorie. E’ un legame profondo e reciproco, un patto inviolabile, quello che unisce il popolo alla sua terra, il soldato alla sua patria e che si rinnova da millenni.
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Il soldato Shalit e una scelta straziante "
Per salvare il soldato Gilad Shalit, Israele è pronto a liberare 1.400 militanti palestinesi. Uno contro 1.400: una dismisura impensabile in un Paese come il nostro, che pure sprofondò nello psicodramma collettivo quando venne rifiutata ogni trattativa per liberare l’ostaggio Aldo Moro. Un prezzo elevatissimo per una comunità che ogni giorno deve affrontare i dilemmi esistenziali più radicali: la vita e la morte, la sopravvivenza e l’onore, la pace e la guerra. E che sente di proteggere la vita di un caporale del proprio esercito rapito nel 2006 a Gaza da guerriglieri di Hamas come un valore supremo. Anche a costo di rimettere in circolazione un numero altissimo di nemici, tra cui (lo ha ricordato Fiamma Nirenstein) Ibrahim Hammed, noto per aver assassinato 73 civili israeliani, o Abdullah Barghouti, «l’ingegnere che ha confezionato quasi tutti gli ordigni che hanno seminato stragi a Gerusalemme tra il 2001 e il 2003». Una scelta lacerante. Una dismisura inconcepibile per chi non conosce la minaccia quotidiana, l’odio assoluto, il disprezzo razzista, la volontà di annientamento di chi ha rapito Shalit e di chi inneggia senza sosta, e pubblicamente, per i rapitori di Shalit.
Israele, in questi giorni, è squassata da interrogativi inimmaginabili dai popoli abituati alla pace e alla normalità. Protestano i parenti dei civili assassinati da chi sta per essere liberato dopo condanne somministrate al termine di regolari processi. Si teme che il rilascio di un numero così elevato di militanti e terroristi suoni come un incoraggiamento ai professionisti dei rapimenti, come un salvacondotto per uccidere di nuovo e seminare lutti infiniti.
Ma la drammaticità della scelta rende ancora più evidente la ragione simbolica e morale di una decisione straziante: nessun soldato con la stella di Davide verrà lasciato solo, nessun altro Shalit verrà abbandonato alla sua sorte. Per riavere i resti di Ehud Goldwasser ed Eldad Regev, Israele accettò di scambiare cinque miliziani di Hezbollah: le due salme vennero accolte con solenni cerimonie funebri, in Libano ci furono invece scene di tripudio per l’accoglienza degli «eroi». Nel 1985 la liberazione di tre israeliani ebbe come corrispettivo quella di 1.150 palestinesi. Nel 2003 il rapporto fu di tre contro venti. Secondo un calcolo di fonte israeliana, dal 1980 a oggi il totale degli scambi tra prigionieri ammonta a settemila palestinesi contro diciannove militari di Israele. Oggi è il turno di una trattativa per Shalit che colpisce per la straordinaria sproporzione numerica dello scambio e per una decisione che si sottrae ai parametri etici di chi, fortunatamente, non vive nell’assillo della sopravvivenza quotidiana e nella certezza che a pochi metri della propria frontiera esistono gruppi armati che scommettono sulla tua scomparsa dalla faccia della terra. Nella solitudine e nell’indifferenza del mondo.
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