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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.11.2009 La memoria debole di Sergio Romano
Le leggi razziali 'malattia infantile' ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 novembre 2009
Pagina: 27
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Il razzismo degli italiani solo una malattia infantile»

A Sergio Romano, se fosse in buona fede, servirebbe una buona cura di fosforo (non ci fraintenda, intendiamo proprio quelle pillole che si acquistano in farmacia quando la memoria vien meno), ma purtroppo non è il caso suo. Dimenticare che in Italia ci sono state le leggi razziali, non è una dimenticanza dovuta alla mancanza di memoria, ma una linea che il nostro persegue con tenacia. La risposta al lettore di oggi sul CORRIERE della SERA , a pag, 27, è soltanto l'ultima delle serie. Da notare il titolo: " Il razzismo degli italiani solo una malattia infantile ". Ecco la lettera del lettore e la sua risposta:


Leggi razziali, malattia infantile ?

Qualche giorno fa sono stato scippato in autobus da un gruppo di zingare con bambini in braccio. Nel mio quartiere sono stato adottato da un paio di giovani nigeriani che mi seguono per decine di metri al fine di vendermi calzini di un tipo che non ho mai usato in vita mia. Le vicende dei cinesi sono note: dopo Prato ora è la volta di Como. Eppure, dato che ho molto viaggiato, tutte queste restano per me persone e riesco a vivere le loro situazioni anche sullo sfondo dei loro Paesi d’origine. Ma un italiano qualsiasi? Quelli elencati e molti altri costituiscono certo dei problemi per la gente comune che è disorientata da tanta varietà di comportamenti e di culture.

Si può parlare di razzismo?

Filippo Cortesi



Caro Cortesi,

Q
ualche giorno fa a Vene­zia la giuria di un pre­mio organizzato dai pro­prietari del ristorante Antico Pignolo ha premiato un bril­lante saggio di Guido Bar­bujani e Pietro Cheli ironica­mente intitolato «Sono razzi­sta, ma sto cercando di smet­tere » (edizioni Laterza). I due autori (professore di geneti­ca all’Università di Ferrara il primo, giornalista il secon­do) ricordano che la scienza, fra cui gli straordinari studi di Luca Cavalli Sforza, ha di­mostrato da qualche decen­nio che le razze non esistono. Esistono grandi comunità in cui è possibile trovare, entro certi limiti, cromosomi co­muni, ma lo stesso cromoso­ma appare in gruppi diversi. Il legame che unisce quelle comunità è quindi storico, re­ligioso e culturale, non razzia­le. Ma questo non impedisce
che il concetto di razza sia profondamente radicato nel­le nostre menti ed emerga quasi inconsapevolmente nel nostro linguaggio quoti­diano. Tanto per fare un esempio non avremmo attri­buito tanta importanza alla vittoria di Barack Obama nel­le ultime elezioni presidenzia­li americane se non avessimo pensato che il nuovo presi­dente fosse «diverso». E non saremmo così fisicamente in­fastiditi dal petulante accatto­naggio degli zingari, se non li considerassimo «diversi».

Nel corso della discussio­ne veneziana Riccardo Cali­mani, presidente della giuria dell’Antico Pignolo, ha ricor­dato che George Steiner, un
acuto critico letterario di ori­gine ebraica, ha avuto una re­azione «razziale» quando le sue notti erano continuamen­te turbate dai tamburi di un gruppo caraibico che suona­va accanto alla sua casa londi­nese. Una signora ha preso la parola per lamentare il teppi­smo e l’inciviltà degli extraco­munitari che schiamazzano intorno alla sua casa romana e un’altra signora ha parlato degli zingari usando due espressioni implicitamente razziali: loro e noi. Sono tutti fenomeni di razzismo?

Quando è venuto il mio turno, caro Cortesi, ho ricor­dato il caso di Henry James, scrittore americano, autore di raffinati romanzi e grande amante dell’Italia in cui fece lunghi viaggi e soggiorni. Ma quando ritornò a New York dopo un lungo soggiorno in Europa (era il 1905) scoprì una città dove era arrivato
nel frattempo un gran nume­ro di italiani che gli sembra­rono completamente diversi da quelli visti e conosciuti nella penisola. Secondo le de­scrizioni dei rapporti di poli­zia e delle autorità d’immigra­zione, questi italiani erano sporchi, analfabeti, supersti­ziosi e violenti. Erano certa­mente giudizi razziali. Ma fra il razzismo e le reazioni emo­tive di questo genere vi è un’importante differenza. Il primo è un odio viscerale, te­nace, nutrito da leggende e dottrine pseudo scientifiche. Le seconde sono sentimenti passeggeri dettati da paura, insicurezza, obiettive difficol­tà d’integrazione e accoglien­za, ma destinate a evaporare nelle generazioni successive. Il primo è un male cronico, le seconde sono soltanto le ma­lattie infantili della società multietnica.

Chi volesse rinfrescargli la memoria, usi la e-mail sottostante:


lettere@corriere.it

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