Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 27/11/2009, a pag. 51, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo " Così porto alla sbarra il boia di Sobibor ".
John Demjanjuk, il boia di Sobibor
La Germania unita di Angela Merkel fa con coraggio i conti col suo più orribile passato. Lunedì, nell´aula A 206/II del tribunale di Monaco protetta dai migliori agenti dei corpi speciali tedeschi, e assediata da giornalisti di tutto il mondo, si aprirà il processo all´ultimo grande criminale nazista ancora in vita. Lui nega tutto, ma le prove lo schiacciano, e Berlino rifiuta di dimenticare. Lui è John Demjanjuk, oggi placido nonnetto di 89 anni estradato qui da Cleveland, Ohio. Dei milioni e milioni di vittime dell´Olocausto, 27.900 - secondo l´atto d´accusa del tribunale tedesco - le ha lui sulla coscienza. «È un caso decisivo, la prova di quanto la Germania prenda sul serio questo peso del passato, e dopo trent´anni frustranti di battaglie perdute oggi infine, grazie allo zelo ritrovato della giustizia tedesca, lo vedremo alla sbarra», dice a Repubblica Efraim Zuroff, "il nuovo Simon Wiesenthal", cioè l´erede di Wiesenthal alla guida del Centro per la caccia ai criminali nazisti, il temuto e spietato "sceriffo antinazi" che anche qui è un eroe dei media e della gente comune.
«Anni di frustrazione avranno un termine quando lunedì mattina, in terra tedesca, lo vedrò alla sbarra, giudicato da un tribunale della democrazia tedesca. Vederlo giudicato e punito dai tedeschi mi dà una sensazione stupenda», mi dice Zuroff. «Per anni», continua, «abbiamo raccolto prove e sporto appelli. Fu catturato una prima volta in Israele, si fece 7 anni di prigione, poi fu scagionato per insufficienza di prove. Invece no, era lui».
Ma Demjanjuk tornò negli Usa, a rifarsi una vita tranquilla da meccanico nell´Ohio. «Alla fine abbiamo incoraggiato i tedeschi, loro hanno chiesto la sua estradizione agli Usa e l´hanno ottenuta. Lo zelo ritrovato della Germania è ammirevole, come l´aiuto dello Office for special investigations americano».
Anni d´indagini, caccia alle prove e alle ultime vittime-testimoni sopravvissute, anni di lavoro dello "sceriffo antinazi" Zuroff e degli investigatori tedeschi. Così la lunga parabola della vita di John Demjanjuk è arrivata alla svolta fatale. Non se l´aspettava, probabilmente, lui che (dice l´atto d´accusa) da giovane si chiamava Ivan Demjanjuk, ucraino, prigioniero dei nazisti invasori e subito convinto collaborazionista, quando prestò servizio nei campi di sterminio di Treblinka, Trawniki e Sobibor. Percosse brutali appena i deportati sbarcavano dai treni della morte, botte e docce gelate quando venivano costretti a spogliarsi in pochi secondi. Poi pestaggi bestiali in ogni momento delle 14 o 16 ore giornaliere di lavoro forzato. «Ivan il terribile», come lo soprannominò il popolo dell´Olocausto, era tra i più spietati, tra i più zelanti esecutori degli ordini di Hitler.
«Non ho mai ucciso nessuno, non sono capace neanche di uccidere un pollo, coltivo il mio orticello nell´Ohio», si difende Demjanjuk. I suoi difensori si appellano anche alle sue cattive condizioni di salute. Ma la giustizia tedesca è irremovibile: le perizie dicono che è in grado di essere presente alle udienze. «I tedeschi sono cambiati», dice Zuroff, «prima non perseguivano i criminali nazisti con tanto zelo. È un cambiamento meraviglioso, segna in bene il loro Paese. Abbiamo insistito a lungo perché chiedessero la sua estradizione. Due anni fa consegnammo loro il nostro rapporto investigativo annuale. Hanno reagito. Abbiamo fornito loro i racconti di testimoni superstiti, gli americani anche. E i tedeschi si sono mossi».
La memoria dell´Olocausto rivive dunque da lunedì mattina, nell´aula A 206/II del tribunale della prospera, felice Monaco di Baviera. La memoria, narra Zuroff ricordando i suoi colloqui con i sopravvissuti a «Ivan il terribile», corre indietro al gelo, alle baracche e alle torture di Sobibor, «dove 250mila ebrei furono assassinati». E riemerge un altro capitolo dimenticato, «le macchie bianche» come le chiamavano a Mosca quando Gorbaciov aprì indagini e dossier sul passato. Sottolinea Zuroff: «È il ruolo spietato dei collaborazionisti, dei non tedeschi: l´Olocausto non fu solo un crimine tedesco e austriaco contro gli ebrei, ma dell´Europa intera. E specie da qualche parte in Europa orientale, in Ucraina, nei Paesi baltici o in Croazia, la collaborazione alla Shoah fu un fatto di massa».
Germania, fine novembre 2009: tornano in scena le pagine più buie della Storia. Il processo durerà fino a maggio. Demjanjuk rischia al massimo l´ergastolo: la Germania di oggi, al contrario di quella che lui è accusato di aver servito, non ha la pena di morte. «Il processo è un esempio», conclude Zuroff, «una speranza di incoraggiare la giustizia di ogni Paese a dare di più la caccia agli ultimi criminali. Come dicono i rabbini, a un buon evento ne segue un altro, e a un cattivo evento segue un altro misfatto. Spero che lo condannino, sarà un messaggio forte».
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