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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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L'obiettivo di Israele è la difesa dei propri cittadini 26/11/2009

Riportiamo da LIBERO di oggi, 26/11/2009, a pag. 21, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Israele ha neutralizzato la minaccia di Hamas e si prepara a punire l'Iran ".

 
Sergio Minerbi

I problemi legati al conflitto israelo-palestinese sollevano domande che rimangono sovente senza risposta. Provo ad elencarne qualcuna. Perchè Abu Mazen non ha voluto giocare la carta del riconoscimento del carattere ebraico dello Stato d’Israele ? Perchè Israele non annette quelle comunità popolate da soli ebrei nella Cisgiordania ? Certo, sarebbe un atto unilaterale, ma non si vede quale impedimento possa rappresentare, perchè nella soluzione dei due Stati, prevista nel processo di pace, quelle città entrerebbero comunque a far parte d’Israele. Nel caso di una nuova guerra, con Hamas al sud e Hezbollah al nord, e l’Iran, un nodo che entro breve dovrà essere sciolto, quali sono le prospettive di un coinvolgimento israeliano ? E in caso di guerra, Israele è pronta a difendersi e, se sarà il caso, attaccare ? Queste domande se le pongono i cittadini come gli esperti di strategia militare, le risposte però non sempre arrivano al grande pubblico. Le abbiamo poste all’ambasciatore Sergio Minerbi, attento osservatore della politica mediorientale, oltre ad essere uno dei massimi esperti delle relazioni israelo-vaticane. Secondo Minerbi, che arrivò 18enne in Terra d’Israele giusto in tempo per combattere nella guerra d’Indipendenza nel 1948, Abu Mazen ha scelto di non riconoscere Israele come Stato ebraico per due motivi. Il primo, è fare in modo che la Palestina non venga divisa in due Stati, come votò l’Onu nel 1947, decisione subito respinta dai governi arabi. Se riconoscesse l’ebraicità di Israele, sarebbe come riconoscerne il diritto all’esistenza, cosa che il mondo arabo, in gran parte, continua a rifiutare. Il secondo è legato al ritorno dei profughi che lasciarono Israele nel ’48, nella convinzione che il nuovo Stato sarebbe stato spazzato via dalla coalizione degli aggressori. Se ne andarono circa seicentomila persone, convinte di ritornare entro breve tempo, con in più l’appropriazione delle proprietà degli ebrei che nel frattempo erano stati “gettati in mare”, come recitava la retorica araba. Un ritorno impossibile, visto che quei profughi di allora sono oggi circa quattro milioni. Abu Mazen, come Arafat prima di lui, e in linea con Hamas, è quindi convinto che è ancora possibile prendersi tutto, magari ricevendolo come regalo dall’Onu, visto che da sempre, tra una risoluzione l’altra, è questo a cui mira. Si aggiungano i media internazionali, definiti da Minerbi l’ “artiglieria pesante” dei palestinesi, che martellano l’opinione pubblica mondiale, per convincerla che l’unico mezzo per mettere fine a quella che chiamano “tragedia”, è dare loro tutta quella terra che un tempo si chiamava Palestina. Invece la divisione è possibile, anche perchè la maggior parte degli insediamenti è a ridosso della linea verde, il che facilita un accordo da punto di vista geopolitico. Quello che manca è la volontà palestinese di sedersi intorno a un tavolo. Un aspetto poco noto è l’attività del movimento islamico all’interno di Israele, soprattutto di quella parte che si definisce “sezione nord”, che nei giorni scorsi ha riaperto al questione delle moschee sul Monte del Tempio, con la falsa accusa a Israele di volerne la distruzione. Mentre è vero che sono state le autorità palestinesi a operare scavi sotto la moschea Al Aqsa, le cosidette “ stalle di Re Salomone”, per distruggere tutti i reperti archeologici, eliminati poi in una discarica, e comprovanti l’esistenza storica del tempio ebraico. Non solo Abu Mazen si è lasciato trascinare da questi estremisti, approvando i disordini che ne sono seguiti, ma persino Mubarak ha lanciato dal parlamento egiziano, parole di fuoco contro Israele. Da segnalare il silenzio dell’Unesco sulle scempio archeologico avvenuto. Sui pericoli di nuovi attacchi, Minerbi sostiene che bisogna distinguere tra Hamas e Hezbollah e l’Iran. Sui primi due, Israele ha imparato la lezione del 2006, quando l’impreparazione dell’esercito era dovuta alla convinzione che fosse sufficiente l’aviazione per risolvere i problemi di terra. A questo andava anche aggiunta la mancata coordinazione del flusso di informazioni , come verificò la Commissione Vinogradov, istituita a fine guerra per capirne le cause. Che non si siano più verificati attacchi è la prova che le forze di difesa sono ritornate al loro livello abituale sotto la guida di Gaby Ashkenazi, un militare che parla poco, buona cosa, sottolinea Minerbi. In quanto all’Iran, Israele esaminerà tutte le risorse diplomatiche possibili, ma se non si arriverà niente, cosa molto probabile, si percorreranno altre strade, dove il plurale ne sottintende una sola, perchè il dovere di un governo è proteggere i propri cittadini. Ed è quello che Israele farà.

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