Obama e i prigionieri di Guantanamo E' un errore giudicarli come criminali comuni. Analisi di Christian Rocca e John Yoo
Testata: Il Foglio Data: 25 novembre 2009 Pagina: 5 Autore: Christian Rocca - Amy Rosenthal Titolo: «Ritorno a Guantanamo Bay - Il professor Yoo (amico di Cheney) ci dice che il processo ai terroristi è un disastro»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/11/2009, a pag. I, gli articoli di Christian Rocca e Amy Rosenthal titolati " Ritorno a Guantanamo Bay" e " Il professor Yoo (amico di Cheney) ci dice che il processo ai terroristi è “un disastro”". Ecco gli articoli:
Christian Rocca : " Ritorno a Guantanamo Bay "
Khalid Sheikh Mohammed, architetto dell'attentato alle Torri Gemelle
Il delicato viaggio in Asia di Barack Obama e il primo passo in avanti sulla riforma sanitaria al Senato di Washington hanno oscurato la notizia del licenziamento in tronco, mascherato con una cortese lettera di dimissioni, di uno dei più importanti e decisivi consiglieri della Casa Bianca. Greg Craig era il White House Counsel, il consigliere giuridico del presidente, la persona che plasma gli aspetti legali di ogni atto e politica presidenziale. Rispettato per integrità morale e capacità giuridiche, due anni fa Craig è stato uno dei primi nomi di peso di Washington a schierarsi con Obama, creando un mini terremoto nel Partito democratico perché è stato sempre considerato un clintoniano di ferro, tanto da aver difeso il quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti ai tempi dell’impeachment al Senato seguito allo scandalo sessuale con la stagista Monica Lewinsky. Obama l’ha sostituito alla Casa Bianca con Bob Bauer, il suo avvocato personale nonché legale del Partito democratico sulle questioni dei finanziamenti elettorali. A Washington dicono che Bauer non ha le competenze necessarie a ricoprire il ruolo e non è passato inosservato il fatto che Bauer sia sposato con Anita Dunn, la stratega della comunicazione della Casa Bianca, appena dimessasi dall’incarico forse proprio per far posto al marito, più che per la sua dichiarazione di guerra alla tv conservatrice Fox News (guerra comunque persa: Fox è in crescita di ascolti, ha risposto alla Dunn ripescando un video in cui la consigliera del presidente sosteneva che il presidente Mao fosse uno dei suoi “filosofi politici preferiti” e la settimana scorsa Obama ha concesso al canale di Murdoch una lunga intervista). L’importanza dell’avvicendamento di Craig non è una semplice questione di poltrone o di intrecci politici e personali. L’uscita di scena dell’avvocato della Casa Bianca segnala un cambiamento di strategia politica da parte del presidente sulla guerra al terrorismo in un momento in cui la sua popolarità è scesa al 48 per cento e sembra aver perso la maggioranza degli elettori indipendenti che un anno fa lo avevano eletto alla Casa Bianca. Greg Craig avrebbe preferito un posto di politica estera o di sicurezza nazionale nell’Amministrazione Obama, ma è stato convinto dal presidente ad accettare il ruolo di consigliere legale della Casa Bianca perché da lì avrebbe potuto definire le nuove regole della guerra al terrorismo che Obama aveva promesso in campagna elettorale. Così è stato. Al secondo giorno di presidenza, grazie al lavoro di Craig e del suo team di giovani cervelli presi nelle migliori università americane, Obama è stato in grado di annunciare la chiusura di Guantanamo, di cancellare il programma di interrogatori avanzati elaborato dalla Cia e di promettere una revisione completa dell’architettura giuridica della guerra al terrorismo lanciata da George W. Bush e Dick Cheney. Ad aprile sono cominciati i primi problemi per la Casa Bianca, anche grazie al deciso intervento di Cheney nel dibattito sulle politiche di sicurezza nazionale adottate dal presidente. Craig aveva facilmente convinto Obama a togliere il segreto di stato ai memo, i pareri legali, del dipartimento di Giustizia di Bush che autorizzavano le tecniche di interrogatorio “avanzate” sui terroristi catturati in Afghanistan e in giro per il mondo. La decisione è stata molto combattuta dentro l’Amministrazione, aprendo una crisi con gli apparati di intelligence, ma alla fine è stata presa non solo perché in linea con le promesse elettorali di Obama ma anche perché gli strateghi della Casa Bianca pensavano che la pubblicazione di questi documenti avrebbe accontentato l’ala sinistra del mondo liberal e chiuso una volta per tutte le polemiche con la precedente amministrazione. E’ successo il contrario. La pubblicazione di quei pareri legali ha scatenato le associazioni dei diritti civili a chiedere in tribunale la desecretazione di altri documenti, di fotografie, di memorandum e di quant’altro potesse imbarazzare Bush e soci. Il primo risultato è stato che Cheney e l’ala dura del mondo conservatore hanno riconquistato voce, convinti che le scelte buoniste di Obama avrebbero imbrigliato le attività antiterrorismo della Cia e messo in pericolo la sicurezza dell’America e dei suoi alleati. La situazione è diventata incontrollabile e rischiava di impantanare l’Amministrazione in una polemica infinita sul passato, mettendo a rischio le capacità dell’apparato di sicurezza nazionale di difendere il paese e quelle di Obama di realizzare il suo programma di governo. A poco a poco Obama ha deciso di cambiare posizione, di ribaltare le promesse di trasparenza fatte in campagna elettorale e di non seguire più i consigli di Craig. Nel giro di poche settimane, il presidente ha messo il segreto di stato sui documenti del passato, difendendo la decisione in tutti i tribunali del paese. La Casa Bianca, inoltre, ha lasciato intendere che Guantanamo non sarebbe stato chiuso entro l’anno, ha puntato sul potenziamento del carcere nella base militare afghana di Bagram per la detenzione dei terroristi catturati in battaglia, ha confermato il rinnovo delle extraordinary rendition (cattura clandestina e trasferimento in paesi terzi di sospettati di terrorismo), ha spiegato che avrebbe continuato a usare le corti militari di Bush per processare i terroristi di Guantanamo e che almeno una settantina dei detenuti non avrebbe ricevuto alcun processo e sarebbe rimasto rinchiuso a tempo indefinito. “Il presidente – ha scritto Time venerdì scorso – si è allontanato dalle promesse che aveva fatto in campagna elettorale e si è avvicinato a posizioni più moderate, alcune delle quali preferite da George W. Bush”. Allo stesso modo, continua Time, Obama ha affidato la responsabilità di ridefinire l’architettura giuridica della guerra al terrorismo a Rahm Emanuel, il suo chief of staff, e a John Brennan, il vice consigliere antiterrorismo che negli anni di Bush è stato il numero due del direttore della Cia George Tenet. La scelta di Emanuel e Brennan, e il conseguente ridimensionamento di Craig, hanno convinto il White House Counsel a dimettersi, dopo mesi di smentite ai giornalisti che avevano anticipato la crisi nel rapporto tra Obama e il suo consigliere giuridico. L’approccio di Emanuel è più politicizzato, il suo obiettivo è trovare una mediazione tra le richieste dell’ala sinistra del partito, delusa da alcune decisioni della Casa Bianca molto simili a quelle di Bush, e l’esigenza del comandante in capo di mantenere sicuro il paese e non perdere il consenso di moderati e indipendenti. La mediazione però non sempre garantisce risultati accettabili. La prima decisione del nuovo corso, infatti, è stata di annunciare un prossimo processo nei confronti di Khalid Sheikh Mohammed (KSM), l’architetto degli attacchi dell’11 settembre, e di altri nove terroristi di al Qaida oggi detenuti a Guantanamo. Il ministro della Giustizia, Eric Holder, ha spiegato che KSM e altri quattro prigionieri implicati nella strage dell’11 settembre tra qualche mese saranno processati nella Corte federale di New York, con le regole e le garanzie previste per tutti i cittadini americani. Altri cinque detenuti, invece, non avranno diritto alle stesse garanzie, ma saranno giudicati nelle corti militari di Guantanamo istituite dall’Amministrazione Bush e approvate dal Congresso con il voto contrario dell’allora senatore Obama. Altri 75 detenuti, dicono fonti dell’Amministrazione, non riceveranno alcun tipo di processo e resteranno in carcere a tempo indeterminato, per ora a Guantanamo e, una volta chiuso il carcere sull’isola di Cuba, probabilmente in una prigione dell’Illinois. Obama quindi porta davanti a una Corte penale i terroristi più terribili, ma soprattutto quelli per cui reputa sia più facile dimostrare la colpevolezza di fronte a una giura popolare, esaudendo una promessa di campagna elettorale e accontentando l’ala sinistra del movimento che lo ha eletto. Ma, allo stesso tempo, conferma l’impostazione giuridica dell’Amministrazione Bush, non solo utilizzando quelle corti militari speciali che aveva contrastato da senatore e sospeso all’inizio della sua presidenza, ma anche confermando la negazione di ogni tipo di diritto giuridico e processuale a un gruppo consistente di “nemici combattenti”. Ufficialmente Obama non c’entra nulla con questa decisione di processare KSM e gli altri quattro a New York, almeno così ha detto al Senato e altrove Holder, ma nessuno ci crede veramente e semmai questa insistenza a escludere Obama dalla scelta sembra uno stratagemma per proteggere il presidente e far ricadere la colpa, qualora le cose dovessero andare male, soltanto sull’attorney general. La scelta di portare i responsabili dell’11 settembre a pochi passi da Ground Zero è a dir poco controversa. Ai repubblicani ha fornito altre munizioni per criticare Obama e urlare al paese che il nuovo presidente vuole combattere la guerra al terrorismo con la procedura penale, invece che con quella militare. I commentatori di destra ricordano che il processo newyorchese ai responsabili del primo attentato alle torri gemelle del 1993 non ha fermato al Qaida, malgrado la condanna dei responsabili, anzi ha addirittura aiutato Bin Laden visto che il governo americano è stato costretto dai giudici a depositare documenti, liste di nomi e prove della pianificazione islamista per colpire New York. Inoltre, sostengono i contrari al processo federale, buona parte delle prove raccolte contro i prigionieri di al Qaida non è utilizzabile in un tribunale, perché raccolte in un teatro di guerra e non in un’operazione di polizia giudiziaria, oppure perché ottenute attraverso tecniche di interrogatorio che la stessa Amministrazione Obama ha definito “tortura”. I conservatori si chiedono se d’ora in poi i militari che catturano un terrorista in Afghanistan o in Pakistan dovranno leggergli i diritti, a cominciare da quello di rimanere in silenzio e di avere un avvocato, come aveva chiesto lo stesso KSM quando è stato catturato in Pakistan. La Cia, invece, lo ha messo a Bagram e lui ha cominciato a parlare e a dare un quadro dell’organizzazione di al Qaida soltanto dopo essere stato sottoposto al waterboarding, all’annegamento simulato. Già adesso, ha confermato Holder al Senato, squadre di avvocati governativi sono impegnate a gestire le continue richieste della Cia e dei militari sul campo che non sanno che cosa fare con i prigionieri, ma la risposta dell’Amministrazione non è sempre coerente. A volte, ha ribadito Holder, leggiamo al catturato i “Miranda rights”, altre volte no. E’ proprio questa la preoccupazione principale dei conservatori e dei sostenitori della guerra al terrorismo di Bush, quella che gli obamiani abbiano abbandonato l’idea stessa che quella contro il terrorismo sia una guerra. “Siamo in guerra”, ha ripetuto più volte Holder al Senato, provando a contenere le critiche dei senatori repubblicani. Gli opinionisti di sinistra, a loro volta, ricordano che anche Bush negli anni scorsi, senza che nessuno avesse avuto niente da dire, ha processato in corti penali federali alcuni terroristi, a cominciare dal famigerato ventesimo dirottatore dell’11 settembre, Zacarias Moussaoui, catturato (in America, non in guerra) un mese prima dell’attacco. In realtà, allora, a protestare erano stati i democratici come il senatore di New York Charles Schumer, oggi gran sostenitore dei processi a Manhattan, ma tre o quattro anni fa contrarissimo al processo federale a Moussaoui proprio perché non voleva che fosse considerato un precedente legale per poi processare a New York i responsabili dell’11 settembre. L’Amministrazione prova a smontare le accuse di chi sostiene che sta per mettere New York di nuovo in pericolo portando i terroristi in città e attenua le critiche sui costi dell’operazione, ma soprattutto sottolinea l’importanza dell’esempio che gli Stati Uniti daranno al mondo, non solo musulmano, giudicando in una corte ordinaria gli autori del principale attacco terroristico della storia americana. La motivazione morale però regge solo a metà, non solo perché altri detenuti saranno giudicati nelle corti militari o neppure processati, ma perché al Senato Holder ha spiegato che se i cinque terroristi dovessero essere assolti per qualche motivo procedurale, come è capitato a O.J. Simpson, non verranno affatto rilasciati, ma tornererebbero a Guantanamo. Obama e Holder, inoltre, hanno già garantito al pubblico americano che i cinque terroristi saranno certamente condannati alla pena di morte. “E’ un processo farsa”, ha commentato Cheney, invocando i processi staliniani. L’Amministrazione Obama spera che KSM e gli altri chiederanno di essere condannati e giustiziati, come hanno già fatto negli anni scorsi nelle corti militari da buoni aspiranti martiri, ma due giorni fa i loro avvocati hanno spiegato che a New York si dichiareranno “non colpevoli”, pur senza negare che cosa hanno fatto. Il loro obiettivo è spiegare al mondo perché l’America si meritava l’attacco.
Amy Rosenthal : " Il professor Yoo (amico di Cheney) ci dice che il processo ai terroristi è “un disastro”"
John Yoo
John Yoo, professore di Legge a Berkeley, ha pubblicato un articolo sul Wall Street Journal in cui dichiarava che processare Khalid Sheikh Mohammed (KSM) – che si è autoproclamato la mente degli attacchi dell’11 settembre alle Torri gemelle e al Pentagono – in un tribunale federale a New York sarebbe stata un’“intelligence bonanza” per al Qaida. Yoo ha lavorato al dipartimento di Giustizia americano dal 2001 al 2003 con George W. Bush e ha scritto nel 2005 “The Powers of War and Peace: Foreign Affairs and the Constitution after 9/11” (University of Chicago Press). Al Foglio dice che la decisione di Obama di usare le categorie del diritto civile piuttosto che quelle del diritto di guerra contro al Qaida è semplicemente “un’idea terribile”. Yoo spiega che “dare a KSM e ai suoi compagni terroristi gli stessi diritti costituzionali di qualunque altro cittadino americano accusato di un crimine banalissimo mette a rischio i segreti di intelligence più importanti della nostra nazione. KSM può chiedere che il governo gli inoltri tutte le informazioni che ha in mano e gli dica come le ha ottenute, oppure si rischia un processo sbagliato o un’assoluzione. Le talpe sovietiche come Aldrich Ames e Robert Hanssen usarono la stessa tattica – comunemente chiamata ‘graymail’ (da un gioco di parole con il termine “blackmail”, “ricattare”, ndr) – per far scendere il governo a patti sulla pena di morte. Di norma, tali informazioni non danneggiano lo stato perché il crimine si è già concluso e la polizia ha trovato un sospetto. Ma il rilascio di informazioni di intelligence può essere disastroso quando si informa il nemico di ciò che sai, delle tue capacità e delle tue intenzioni nel bel mezzo delle ostilità”. In più, “trattare gli attacchi dell’11 settembre come una questione criminale piuttosto che come un atto di guerra danneggerà gli sforzi americani per combattere il terrorismo – dichiara Yoo – I militari e gli agenti dell’intelligence sul campo seguiranno le regole per acchiappare i criminali, non quelle per combattere le guerre. Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, la Corte Suprema ampliò di molto i diritti degli avvocati che difendevano i criminali, i verdetti dei giudici che si liberavano di prove o confessioni cambiarono le regole seguite dalla polizia. Oggi i risultati sono il cosiddetto “Miranda warning”, i diritti costituzionali di cui si viene informati al momento dell’arresto, e i mandati giudiziari. Così le nostre operazioni militari e di intelligence si atterranno a regole legate al diritto civile, inadatte agli ambiti di guerra, se crederanno che i membri di al Qaida saranno giudicati da corti civili”. Il processo “danneggerà la sicurezza nazionale americana – dichiara l’esperto di diritto – Al Qaida avrà ancora più ragioni per attaccare gli Stati Uniti, e non soltanto perché il luogo del processo farà ritornare New York un bersaglio. Il dipartimento di Giustizia ha annunciato che quattro altri membri di al Qaida saranno giudicati da commissioni militari” (corti militari speciali istituite la prima volta dall’Amministrazione Bush nel 2001 e approvate dal Congresso nel 2006, cui lo stesso Yoo ha lavorato). Spiegando perché l’Amministrazione Obama processerà alcuni affiliati ad al Qaida a Guantanamo e altri a New York, Yoo ci dice che “il secondo gruppo ha preso parte all’attacco dell’ottobre del 2000 contro l’USS Cole nello Yemen. Così, l’Amministrazione Obama ha stabilito che i terroristi che hanno commesso i crimini di guerra più gravi ricevano la protezione del Bill of Rights, i primi dieci emendamenti della Costituzione. Coloro che attaccano bersagli militari americani all’estero no”. Il messaggio è disastroso. “I terroristi penseranno che il posto più sicuro in cui operare sono gli Stati Uniti”. Yoo spiega che “l’unico beneficio nel processare KSM e altri terroristi in tribunali civili è quello di migliorare l’immagine internazionale dell’America”. Yoo vorrebbe ricordare al presidente una cosa: “La posizione che l’America ha nel mondo non ha sofferto del fatto che, dopo la Seconda guerra mondiale, Truman usò commissioni militari nella Germania occupata e in Giappone, e nemmeno ne ha risentito quando durante la Guerra civile Lincoln le usò per processare le spie e i sabotatori confederati. La vittoria dell’America in guerra, a volte contro l’opinione del resto del mondo, è stata più importante per la sua posizione nel mondo. Sconfiggere al Qaida farà molto di più per le relazioni internazionali americane che non processare KSM in un tribunale civile”. Molti vedono questa mossa come il ripudio della guerra al terrorismo dell’Amministrazione Bush. Yoo, che è molto vicino all’ex vicepresidente Dick Cheney, dice: “E allora?”, prima di ricordare all’attuale Amministrazione che “è l’azione degli stati che conta, non l’opinione che si riscuote all’estero. Il presidente ha fatto viaggi per chiedere scusa per supposti misfatti americani, dichiarando che avrebbe chiuso Guantanamo e che avrebbe lasciato l’Iraq in fretta, promettendo di ridurre le attività economiche in modo da ridurre l’inquinamento e venendo meno agli accordi per costruire uno scudo antimissile nell’Europa dell’est”. Secondo Yoo, piegarsi alle opinioni della comunità internazionale non ha dato grandi benefici. “I nostri alleati della Nato cercano un disimpegno in Afghanistan. La Russia e la Cina sono state di ben poco aiuto nel fermare l’Iran nel suo programma nucleare”. L’Amministrazione Obama, secondo Yoo, “deve ancora imparare che affari interni e politica estera sono due cose differenti. Fare scorta di popolarità internazionale non si traduce nel potere necessario a convincere gli alleati o gli avversari a cambiare le loro politiche. Si racconta che Charles de Gaulle abbia detto che le nazioni non hanno amici, ma soltanto interessi. Sarebbe ora che Obama facesse più attenzione all’interesse nazionale, piuttosto che a farsi degli amici”.
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