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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.11.2009 Se la Turchia è sempre più islamica è colpa dell'Europa
La tesi assurda di Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 novembre 2009
Pagina: 43
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La Turchia fra est e ovest. Un Paese stanco di aspettare»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/11/2009, a pag. 43, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " La Turchia fra est e ovest. Un Paese stanco di aspettare ".

Ecco come Sergio Romano descrive Ahmadinejad e al Bashir : " due personaggi che molti occiden­tali definirebbero fanatici o ad­dirittura criminali ". Non è una questione di definizioni, ma di realtà. Le elezioni in Iran, la repressione messa in atto da Ahmadinejad, i crimini contro l'umanità commessi da al Bashir e la condanna del tribunale internazione dell'Aja non lasciano spazio a nessun dubbio.
Per quanto riguarda la costante e radicale islamizzazione della Turchia, Romano scrive : "
Qual­cuno potrebbe sostenere che questa svolta islamica della politica estera turca è il risulta­to della presenza al potere di un partito musulmano(...). Ma si tratterebbe di una spiegazione parziale e fuorviante. La svolta è anche l’effetto della politica reticen­te e dilatoria che l’Unione eu­ropea, nel suo insieme, ha adottato verso la candidatura turca..".
Romano ha capovolto la realtà. Non sono le reticenze dell'Europa ad accettare l'ingresso della Turchia nella Comunità Europea ad aver avviato il processo di islamizzazione, ma il contrario.
La Turchia di Erdogan non condivide nessuno dei valori occidentali. Il deterioraramento dei suoi rapporti con Israele, unica democrazia mediorientale, la mancanza di libertà d'espressione, il tentativo di annullare la libertà di stampa, i processi agli scrittori, i delitti d'onore, costituiscono la prova che la Turchia è sempre meno laica e democratica.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:

 Sergio Romano

La Turchia continua a mandarci messaggi in controtendenza rispetto a un suo possibile ingresso nell’Ue: ammiccamenti con Iran, Siria e Sudan e, di converso, crepe con Israele, quello che un tempo fu un alleato anche militare. Ma Erdogan e il suo governo islamista dove vogliono andare a parare? E pensare che qualche nostro illustre politologo azzardò a paragonarlo al nostro De Gasperi...

Antonio Cesare Marinelli 


Caro Marinelli,

S
uppongo che lei si riferi­sca anzitutto alla riunio­ne della Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci), che si è recentemente tenuta a Istanbul. La Conferen­za si compone di 57 Paesi ed è una sorta di Onu dell’islami­smo.

Non ha grandi poteri, ma è pur sempre rappresenta­tiva di un mondo in cui vivo­no un miliardo e trecento mi­lioni di persone. Alla riunio­ne, presieduta dal presidente turco Abdullah Gul, hanno partecipato, tra gli altri, il su­danese Omar Al Bashir, colpi­to da un mandato di cattura per i massacri del Darfur dal Tribunale penale internaziona­le, e il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad: due personaggi che molti occiden­tali definirebbero fanatici o ad­dirittura criminali.

A una osservazione critica sulla ospitalità estesa a queste persone i turchi rispondereb­bero che il padrone di casa, quando ospita un incontro re­golato dalle consuetudini del­la diplomazia, non può chiede­re la fedina penale degli invita­ti se sono, come in questo ca­so, i legittimi rappresentanti
dei loro Paesi. Ma è certamen­te vero che la Turchia in que­sti ultimi tempi ha dimostrato più volte di essere meno occi­dentale e atlantica del passa­to. Ha criticato la guerra ira­chena degli Stati Uniti. Il suo presidente del Consiglio, Re­cep Erdogan, ha abbandonato clamorosamente una tavola rotonda del Foro mondiale di Davos in segno di protesta per le dichiarazioni con cui il pre­sidente israeliano Shimon Pe­res stava giustificando la guer­ra israeliana di Gaza. Il presi­dente della repubblica turca Abdullah Gul ha visitato Tehe­ran nel marzo scorso.

Mentre i rapporti fra la Tur­chia e Israele peggioravano,
quelli con la Siria, un tempo pessimi, sono andati progres­sivamente migliorando. Qual­cuno potrebbe sostenere che questa svolta islamica della politica estera turca è il risulta­to della presenza al potere di un partito musulmano che non condivide la politica laica e le tendenze occidentali di Ke­mal Atatürk, fondatore della repubblica. Ma si tratterebbe di una spiegazione parziale e fuorviante. La svolta è anche l’effetto della politica reticen­te e dilatoria che l’Unione eu­ropea, nel suo insieme, ha adottato verso la candidatura turca. I negoziati proseguono stancamente perché alcuni Pa­esi (Austria, Germania, Fran­cia) sono esplicitamente con­trari e altri preferiscono stare alla finestra. I maggiori paladi­ni della Turchia in seno all’Ue sono oggi probabilmente l’Ita­lia e la Gran Bretagna.

Queste difficoltà e reticen­ze hanno raffreddato i senti­menti europei del Paese e lo hanno spinto a ricercare al­tre sponde. Sapevamo che la fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica avevano schiuso alla Tur­chia le porte del Mar Nero, del Caucaso, del Caspio e del­l’Asia Centrale. Ma fu eviden­te, per parecchi anni, che il suo governo, pur tenendo d’occhio le occasioni offerte da queste regioni, avrebbe preferito l’ingresso nell’Unio­ne europea. Oggi la Turchia si è stancata di aspettare. Non dimentica di essere sta­ta in altri tempi l’Impero Ot­tomano e non intende starse­ne con le mani in mano sino al giorno in cui l’Unione eu­ropea avrà finalmente deci­so che cosa fare della sua candidatura.

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