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Il Foglio Rassegna Stampa
24.11.2009 Cosa pensa Abu Mazen, e l'arrivo delle maschere antigas per gli israeliani
intervista ad Hafez Barghouti, la cronaca di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 24 novembre 2009
Pagina: 1
Autore: La redazione-Giulio Meotti
Titolo: «L'Abu Mazen stanco-La maschera d'Israele»

Sul Foglio di oggi, 24/11/2009, a pag.1, due articoli che riprendiamo. La posizione di Abu Mazen, nell'opinione del direttore ndel quotidiano dell'Anp, e la prossima distribuzione delle maschere antigas, nella cronaca di Giulio Meotti.
Ecco gli articoli:

" L'Abu Mazen stanco "  il direttore del giornale dell'Anp spiega i timori del rais palestinese.

Gerusalemme. Abu Mazen è stanco, non vede una soluzione allo stallo diplomatico sulla questione israelo-palestinese, dice che l’Amministrazione Obama si è messa a dialogare direttamente con Hamas. Così non si può più andare avanti, dichiara il rais palestinese: alcuni esperti dicono che Abu Mazen vorrebbe dimettersi subito, anche se a gennaio le elezioni cui lui non si ricandida comunque non ci saranno. L’Autorità palestinese tenta la strada alternativa: intende richiedere al Consiglio di sicurezza dell’Onu il riconoscimento di uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967, e di nuovo Abu Mazen minaccia di dimettersi se non otterrà una risposta positiva. Stati Uniti e Israele sono contrari, l’Unione europea giudica la richiesta “prematura”: c’è un processo di pace in corso, procediamo con questo. L’insofferenza di Abu Mazen può essere un tattica, avvertono alcuni commentatori, ma lo stallo è concreto e la crisi sul congelamento degli insediamenti tra Gerusalemme e Washington crea più di una preoccupazione. Hafez Barghouti, informato direttore di Gerusalemme. Abu Mazen è stanco, non vede una soluzione allo stallo diplomatico sulla questione israelo-palestinese, dice che l’Amministrazione Obama si è messa a dialogare direttamente con Hamas. Così non si può più andare avanti, dichiara il rais palestinese: alcuni esperti dicono che Abu Mazen vorrebbe dimettersi subito, anche se a gennaio le elezioni cui lui non si ricandida comunque non ci saranno. L’Autorità palestinese tenta la strada alternativa: intende richiedere al Consiglio di sicurezza dell’Onu il riconoscimento di uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967, e di nuovo Abu Mazen minaccia di dimettersi se non otterrà una risposta positiva. Stati Uniti e Israele sono contrari, l’Unione europea giudica la richiesta “prematura”: c’è un processo di pace in corso, procediamo con questo. L’insofferenza di Abu Mazen può essere un tattica, avvertono alcuni commentatori, ma lo stallo è concreto e la crisi sul congelamento degli insediamenti tra Gerusalemme e Washington crea più di una preoccupazione. Hafez Barghouti, informato direttore dial Hayat al Jadida, il quotidiano dell’Anp, spiega al Foglio perché “le elezioni non ci saranno. Hamas non ha dato il permesso per far votare a Gaza, gli israeliani non hanno dato una risposta sulla partecipazione dei palestinesi residenti a Gerusalemme”. Barghouti se la prende un po’ con tutti: inizia con Hamas “che si preoccupa soltanto dei suoi interessi” e che tratta con Israele “per distruggere l’Anp”. Poiché in Cisgiordania il gruppo islamista non è forte, “non vuole le elezioni, le perderebbe”, e rischia pure a Gaza, “lì la gente non dimentica il sangue versato”. Poi è la volta di Israele, che “vuole trasformare questo conflitto in un conflitto religioso come fanno al Qaida, il Jihad islamico e Hamas, ma sarà un danno per loro non per noi, perché noi cerchiamo una soluzione umanitaria secondo le leggi internazionali”. Con queste premesse, è difficile immaginare un futuro per l’Anp. Resta nell’aria il ritorno di Marwan Barghouti, il leader della Seconda Intifada condannato a cinque ergastoli da Israele. Ma, chiede il direttore di al Hayat al Jadida, “Come può una persona in prigione guidare un popolo?”.

Giulio Meotti: " La maschera d'Israele "

 

Hussein bombardava Tel Aviv con i missili scud, l’allora viceministro degli Esteri israeliano, Benjamin Netanyahu, compariva sulla Cnn con una maschera antigas. Ora Netanyahu, primo ministro dello stato ebraico, si appresta a lanciare la più vasta distribuzione di maschere antigas a tutta la popolazione israeliana. Non accadeva dalla prima guerra del Golfo. La distribuzione di nuove maschere antigas fa parte del piano di autodifesa del “fronte interno” in caso di attacco iraniano. Da due anni Israele è impegnato a ritirare le maschere obsolete che non sono più in grado di proteggere dai nuovi veleni. In ogni casa israeliana si conservano sempre maschere antigas dentro a brutte scatole di cartone color caki. Generalmente nella stanza meno visibile, come a voler esorcizzare il pericolo. Israele deve ora fare di nuovo i conti con l’incubo di una guerra non convenzionale. “Abc” è come viene indicata la nuova maschera, perché deve far fronte ad attacchi atomici, batteriologici e chimici. Nei forum su Internet circolano già domande simili: “Ma questa maschera starà alla mia bambina di sette anni?”. Israele è l’unico paese dopo la Seconda guerra mondiale che deve proteggere in massa i propri cittadini. L’Home Front Command, il dipartimento dell’esercito che si occupa della popolazione civile, originariamente voluto da David Ben Gurion per rispondere agli attacchi egiziani, inizierà a distribuire le maschere a partire dalle zone maggiormente a rischio. Non si conosce la reale portata della “biologia nera” nelle mani dei mullah iraniani, dei quali è nota invece la bramosia atomica. Di certo però Teheran possiede la tecnologia missilistica in grado di colpire Israele. Nel settembre di due anni fa, un team misto siriano e iraniano perse numerosi ingegneri e ufficiali nell’esplosione in Siria di una testata che conteneva agenti chimici patogeni, fra cui il “VX”, il gas sarin che brucia la pelle e soffoca. Dany Shoham del Besa center for strategic studies, fra i massimi esperti israeliani di armi non convenzionali, giudica realistico un attacco biochimico iraniano combinato ad azioni terroristiche di Hamas e Hezbollah. Il capo dell’intelligence militare israeliana, il generale Amos Yadlin, ha appena annunciato che Hamas ha testato con successo un missile iraniano con una gittata di sessanta chilometri da Gaza. Può colpire Tel Aviv. Nel 1991 le maschere antigas furono indossate dagli israeliani per andare al lavoro e a scuola. Ancora si ricordano le immagini di genitori con la maschera e che all’interno di una stanza sigillata leggevano fiabe al figlio con in testa una specie di casco da astronauta per proteggerlo dai gas nervini. L’Home Front Command seguirà la mappa delle aree più a rischio per distribuire le maschere. Gli abitanti di Kiryat Shmona e delle alture del Golan devono poter trovare un rifugio “immediatamente”, essendo a tiro di Hezbollah e della Siria. A loro andrà quindi la precedenza.(segue dalla prima pagina) Lo scorso marzo, otto terroristi di Hezbollah sono morti in una fattoria libanese a seguito delle lesioni riportate dopo il contatto con un gas nordcoreano. In caso d’attacco chimico, gli israeliani di Haifa avrebbero un minuto di tempo per cercare un rifugio, quelli di Tel Aviv due, a Gerusalemme tre. Le città del sud, da Sderot a Beersheba, hanno quindici secondi. Anche loro sono in “zona rossa”. Dopo il lancio di missili iracheni nel 1991, una legge israeliana aveva cercato di far dotare le abitazioni di una “stanza antipanico”, un luogo dentro alla casa al sicuro da attacchi chimici e sigillato da teli di plastica. Ma gli interventi risultarono troppo costosi. E così pochissime famiglie hanno provveduto. Nel nuovo kit contro il gas, stavolta gli israeliani non troveranno la siringa d’atropina che hanno conosciuto nel kit del 1991. Questione di costi, non di scarsa utilità. L’atropina ha una vita media di cinque anni, dopo di che va sostituita. Nell’ultimo anno Israele ha già speso un’eresia per prepararsi al peggio, dirottando milioni di euro dall’addestramento di truppe verso la difesa della popolazione, in particolare per l’acquisto di maschere antigas. Tre mesi fa, per la prima volta nella storia d’Israele, tutta la popolazione ha preso parte a un’esercitazione di massa. E a metà gennaio l’Home Front Command ospiterà una grande conferenza internazionale sulla medicina d’emergenza, mentre su Internet spiega come trattare i sintomi di queste armi alle vie respiratorie, al sistema nervoso e alla pelle. La prima difesa contro Teheran e i suoi ascari, Hamas ed Hezbollah, resta il micidiale sistema antimissile israeliano Arrow 2. Nel frattempo sarà lanciato un nuovo sistema di allarme. Creato dalla compagnia high-tech “eVigilo”, il sistema dovrà avvertire simultaneamente gli israeliani via telefono cellulare, radio, sirena e televisione. Anche tutti i computer connessi alla rete riceveranno all’improvviso un pop-up, un banner d’avviso, in caso di attacco. Per creare un rifugio nelle pareti domestiche, si deve scegliere la zona più interna della casa, stanze senza finestre e senza porte con l’esterno. Tra un mese Israele simulerà un gigantesco attacco biochimico. L’esercitazione, anche questo un fatto senza precedenti, è condotta dalla National Emergency Authority, l’ente nato dopo la seconda guerra del Libano e anche noto con il nome della matriarca biblica “Rachele”. D’altronde il motto dell’Home Front Command, una frase dell’ex primo ministro David Ben Gurion, sta lì a ricordarci che in Israele “tutto il popolo è l’esercito, tutta la terra è il fronte".

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