Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
"Contesi, non occupati. Così si insegna la storia"
"Restituisci subito questo giocattolo a Filippo!" Il povero bambino cui viene rivolta questa intimazione dirà "sì mamma", oppure "no" e si prenderà un rimbrotto, oppure si metterà a piangere, sentendo di essere oggetto di un'ingiustizia, perché il giocattolo è suo, non di Filippo, cui per qualche ragione la madre ritiene di darlo a lui, perché è più piccolo, o figlio di un amica, o perché vuole che il suo bambino impari a essere "buono". Il bambino potrà piangere e rifiutarsi ma difficilmente sarà in grado di capire di essere stato incastrato da un meccanismo linguistico di "presupposizione" che gli studiosi di pragmatica chiamano "implicatura". Qualcosa che si debba "restituire" infatti per definizione appartiene all'altro. Per citare il classico esempio di Bertarand Russell, se io dico "l'attuale re di Francia è calvo", voi potete accettare questa frase come vera o negarla come falsa, ma anche in questo caso l'esistenza di un re di Francia è data per scontata.
Perché vi racconto questi scampoli di filosofia del linguaggio (che dopotutto è il mio mestiere?) Perché la propaganda funziona spesso a questo livello. Il caso dei territori e del blocco delle costruzioni negli insediamenti funziona assolutamente in questa maniera. I palestinesi chiedono che siano loro "restituiti" i territori "occupati", che siano bloccati o addirittura abbattuti gli insediamenti "abusivi", o in maniera più colorita e efficace sul piano propagandistico le "colonie". Israele rifiuta di farlo e rimanda la questione a una trattativa di pace. Ma come il bambino che non vuole "restituire" il giocattolo a chi non è affatto il suo vero proprietario, così in questo caso resta stabilito nel discorso che i palestinesi avrebbero "diritto" ai territori, ne sarebbero i "legittimi" proprietari. Si parli di Gilo e dei suoi appartamenti, di case rubate dagli arabi ai loro proprietari ebrei fra il '49 e il '67 e restituite dai tribunali ai loro legittimi proprietari, della presenza ebraica a Ebron, che è durata ininterrottamente da quattromila anni fino ai pogrom del '29: dappertutto sembra che gli arabi abbiano un diritto esclusivo a tutto ciò che sta al di là della linea di armistizio del '49, la famosa linea verde e che gli ebrei di lì debbano assolutamente sparire.
Ci sono mille ragioni per negare questa pretesa, oltre ai diritti storici di un ininterrotto legame molte volte millenario: che la "linea verde" è una linea armistiziale non diversa da quella stabilita alla fine della guerra del '67; che non c'era prima in quei territori né c'è mai stato uno Stato palestinese cui essi sarebbero stati sottratti, che Giordania ed Egitto li occuparono alla fine del mandato britannico contro la decisione dell'Onu; che essi furono nel '67 fra gli stati aggressori contro Israele e che il diritto internazionale all'autodifesa implica anche il trasferimento di territori a scopi difensivi; che la deliberazione della Società della Nazioni che diede inizio al mandato britannico negli anni Venti riguardava l'intero territorio di Israele, West Bank e Gaza e Giordania e che una divisione fu fatta allora dagli inglesi; che il comportamento aggressivo e terrorista delle organizzazioni palestinesi, il loro rifiuto di accettare davvero il diritto di Israele e la loro incapacità di esercitare quel monopolio delle armi che è il presupposto di ogni Stato richiede il controllo sul territorio, eccetera eccetera. Il fatto fondamentale è che lo stato giuridico dei Territori non è di essere "occupati", ma di essere "contesi" e destinati a essere attribuiti con una trattativa fra stati interessati.
Ma qui scatta la presupposizione, l'implicatura o l'"effetto giocattolo", debitamente alimentato non solo dalla propaganda palestinese ma anche da tutti coloro che in Occidente ritengono che gli arabi vadano favoriti in quanto sono "più deboli", "Terzo mondo vittima del colonialismo" o più cinicamente perché controllano il petrolio. Questa valutazione è chiaramente stata accettata dai mezzi di comunicazione e dal loro pubblico: tutti credono che Israele si rifiuti di "restituire" ai palestinesi quel che è "loro".
Noi siamo adulti, non abbiamo le difficoltà di espressione del bambino del mio esempio. Dobbiamo quindi non solo discutere il rifiuto di Israele di sottoporsi alle pressioni di chi vuole che "restituisca" le "colonie"; ma non stancarci mai di spiegare e rispiegare perché il senso implicito del "restituire" è sbagliata sul piano storico, giuridico e morale, perché non vi è alcun "diritto" di cui i palestinesi siano titolari sul territorio conteso, ma solo una pretesa.
Ugo Volli