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L'ostilità (non nuova) di Cremonesi 17/11/2009

Copia di lettera inviata al direttore del Corriere della Sera dopo la pubblicazione ieri dell'articolo di Lorenzo Cremonesi. Invitiamo i lettori di Ic di seguirne la traccia, e scrivere a loro volta al Corriere.

Da: Segre Fast Web <segreamar@t>
Data: Mon, 16 Nov 2009 23:10:21 +0100
A: "lettere@corriere.it" <lettere@corriere.it>
Conversazione: All'attenzione del Direttore de Bortoli: articolo di Lorenzo
Cremonesi
Oggetto: All'attenzione del Direttore de Bortoli: articolo di Lorenzo
Cremonesi

Gentile Direttore,
la lettura dell'articolo di Cremonesi pubblicato oggi mi spinge a scriverle
perché alcune idee in esso contenuto non sono condivisibili, ed anzi le
considero errate e fuorvianti per il lettore.
Già in passato Cremonesi è stato al centro di accese discussioni con
numerosi lettori del Corriere; chiunque scriva sulle vicende del Medio
Oriente non può esimersi dal fare un'attenta valutazione di tutte le realtà,
nessuna esclusa, e le parole conseguenti devono esserne un'analisi accurata.
Altrimenti il risultato sarà inevitabilmente viziato da gravi errori.

Ha ragione Cremonesi quando scrive che il "processo di pace ... è morto da
un pezzo". Forse bisognerebbe però chiedersi se quel processo di pace non
fosse solo uno specchietto per le allodole, perché in realtà non era voluto
dai negoziatori palestinesi. Il "ricco" Arafat poteva infatti non avere
alcun interesse a firmare accordi con Israele, che lo avrebbero messo nelle
condizioni che portarono alla morte di Sadat; non si dimentichino le fatwe
dei leaders religiosi estremisti musulmani che non ammettono nessun dialogo
col nemico ebreo, e quindi, men che mai, nessun accordo con lo Stato di
Israele, che semplicemente non deve esistere. E questa è tuttora la
posizione anche di Mahmoud Abbas, che Cremonesi chiama "colomba". Non si
potrà infatti non convenire con me, se solo si guardano le trasmissioni che
passano regolarmente nelle televisioni da lui controllate, che lo Stato di
Israele, lo Stato ebraico, non deve esistere, dal momento che i confini del
futuro stato di Palestina vengono sempre, invariabilmente indicati dal
Giordano al mar Mediterraneo, dal Libano al mar Rosso. E se poi si legge
quanto sta scritto nella costituzione del Fatah si troveranno gli stessi
principi ispiratori.
Del "braccio di ferro" di Netanyahu con Obama, in realtà, non tutto è
chiaro; a parte il fatto che non necessariamente Obama è nel giusto, non
risulta che l'attuale governo abbia rilasciato alcuna nuova licenza di
costruzione (ed in un paese democratico e civile è difficile per un governo
negare un'autorizzazione già regolarmente concessa da precedenti
amministrazioni).
E va anche detto che non tutti i partiti della destra israeliana fanno parte
della attuale coalizione; quindi l'affermare che "Yigal Amir sia figlio di
quelle forze che oggi influenzano Benjamin Netanyahu" non è davvero
corrispondente alla realtà, e non si dovrebbe leggere in un quotidiano con
l'autorevolezza del Corriere.
Inoltre manca del tutto l'analisi della spaccatura, che dura da molti anni,
tra le forze laiche palestinesi (OLP e poi Fatah), e quelle religiose
(Hamas). Nessun accordo che non sia tattico e di breve durata è possibile
tra di loro; basta leggere lo Statuto di Hamas. Ma senza questa analisi non
si possono valutare le azioni di Sharon ieri, quando decise il ritiro con
mossa unilaterale, e di Netanyahu oggi, quando pretende un processo di pace
aperto a tutte le discussioni e libero da pre-condizioni.
Distinti saluti

Emanuel Segre Amar


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