Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2009, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Iran, il monito dell’Onu. «Vogliamo chiarimenti» " e l'intervista di Alessandra Farkas a Shirin Ebadi dal titolo " Shirin Ebadi: «Mi hanno sequestrato il Nobel» ". Ecco gli articoli:
Guido Olimpio - " Iran, il monito dell’Onu. «Vogliamo chiarimenti» "
Logo dell'AIEA
WASHINGTON — Il confronto sul nucleare iraniano non promette nulla di buono. Ieri l’Aiea ha sollecitato Teheran a fornire «maggiori chiarimenti » sull’impianto di Fordow, a Qom. Per tutta risposta il regime ha alzato il tono: l’Agenzia «è ripetitiva» nelle sue richieste — è stata la reazione — «continueremo ad arricchire l’uranio» perché «i nostri diritti non sono negoziabili ». Uno scambio che pone in luce come gli ayatollah non abbiano alcuna intenzione di rinunciare ai sogni atomici.
Il nuovo braccio di ferro segue l’ispezione da parte dei funzionari Aiea nel centro di Fordow. Alla fine di ottobre gli specialisti sono entrati nell’impianto, la cui esistenza è emersa solo qualche settimana fa, per capire di cosa si tratta. E al loro rientro hanno compilato un rapporto diffuso ieri. Secondo le foto satellitari in possesso dell’Agenzia la realizzazione dell’impianto è cominciata tra il 2002 e il 2004, quindi, dopo una pausa, è ripresa nel 2006. Attività tenute segrete che costituiscono, come ha sottolineato l’Aiea, «una violazione». La visita all’impianto, però, non è stata ritenuta soddisfacente, così come la versione delle autorità iraniane per le quali il centro non sarà operativo prima del 2011. L’Aiea ha così chiesto nuove informazioni in quanto vuole comprendere perché lo hanno costruito e come si colloca all’interno del piano di Teheran. L’Agenzia internazionale non esclude, a questo punto, che gli iraniani abbiano un programma segreto.
Informazioni sulle ricerche clandestine sarebbero state raccolte dall’intelligence occidentale che si è avvalsa di satelliti spia e fonti interne. Una di queste potrebbe essere il generale Alì Asgari scomparso nel 2007 durante un viaggio in Siria. Una tesi sostiene che si sia consegnato agli americani o agli israeliani, un’altra — rilanciata in questi giorni da Teheran — accusa il Mossad di averlo rapito. Una guerra di ombre che si salda a forti pressioni diplomatiche sull’Iran. Ieri è stato annunciato un ritardo nel completamento del reattore di Bushehr, impianto che viene realizzato con l’assistenza determinante dei russi.
Mosca, forse, ha rallentato volutamente i lavori per lanciare un messaggio al suo «cliente ». E tra pochi giorni, è previsto il cambio della guardia al vertice dell’Aiea. L’egiziano Mohammed El Baradei, accusato di essere troppo morbido con i mullah è alla fine del mandato. Al suo posto arriverà il giapponese Yukiya Amano.
Alessandrea Farkas - " Shirin Ebadi: «Mi hanno sequestrato il Nobel» "

Shirin Ebadi
NEW YORK — «Ho invitato il segretario generale dell’Onu a visitare l’Iran per vedere coi propri occhi il tragico deterioramento delle libertà nel mio Paese». Alla vigilia della risoluzione contro le violazioni dei diritti umani in Iran che l’Assemblea generale Onu si appresta a votare in settimana, Shirin Ebadi abbandona i toni soft per attaccare il regime «che uccide i minorenni, perseguita donne e minoranze religiose e mette all’indice la libertà di parola».
Lei manca dal suo Paese dalle contestatissime elezioni dello scorso giugno.
«Vivo in uno stato di esilio effettivo », spiega l’attivista 62enne, premio Nobel per la Pace nel 2003, in un incontro col Corriere all’Hotel Tudor, a due passi dall’Onu. «Mi hanno confiscato l’appartamento, la pensione che ricevo dal ministero della Giustizia e il conto in banca mio e dei miei famigliari, ormai sotto costante minaccia. E se non bastasse mi hanno sequestrato tutti i premi, incluso il Nobel e la Legion d’Onore».
Ha paura di tornare in Iran?
«Nulla mi spaventa più, anche se minacciano di arrestarmi per evasione fiscale al mio rientro. Sostengono che debbo al governo 410 mila dollari in tasse arretrate per il Nobel: una fandonia visto che la legge fiscale iraniana stabilisce che i premi siano esentasse. Se trattano così una persona ad alto profilo come me, mi chiedo come si comportano di nascosto con uno studente o cittadino qualunque».
Quando ha intenzione di rimpatriare?
«Tornerò, forse accompagnata da Ban Ki-moon, quando avrò finito il mio lavoro all’estero e sarò più utile nel mio Paese. Sono stati i miei colleghi di Teheran a chiedermi di restare: 'Adesso ci sei più utile fuori', hanno detto. Uno dei miei compiti è perorare la risoluzione Onu che i partner commerciali iraniani vorrebbero bloccare in quanto 'politicizzata'. Un’accusa falsa come dimostra l’ultimo rapporto di Ban Ki-moon: un uomo che non si può certo accusare di parzialità».
A cosa serve una risoluzione puramente simbolica?
«A mettere in guardia il governo di Teheran e a dare al popolo che soffre la conferma che l’Onu è con lui. Bisogna riportare la calma nel Paese e io sento il dovere di intervenire per fermare l’escalation di violenza » .
Teme che i media internazionali abbassino la guardia?
«Sì. Migliaia di prigionieri languono in carcere, torturati e stuprati. Nessuno conosce il vero numero delle vittime».
La commissione Onu per i diritti umani a Ginevra fa la sua parte?
«Cerca di farla ma la composizione del consiglio è tale da legargli le mani. Vorrei spingerlo a fare di più perché, lo ripeto, la violazione dei diritti umani nel mio Paese è diventata sistematica e diffusissima. Se la Comunità internazionale tace, il popolo sarà dimenticato ed è proprio ciò che vuole il governo».
L’amministrazione Obama sta facendo abbastanza?
«Non ho ancora incontrato il presidente Obama né i membri della sua amministrazione ma la mia posizione è ben chiara: nel dialogo con l’Iran non si può parlare solo di nucleare, ignorando la questione ben più pressante dei diritti umani. Le due sono interdipendenti».
È ottimista sulla ripresa del dialogo tra Washington e Teheran?
«Obama ha inaugurato un nuovo corso rispetto all’ostile sbarramento di Bush, ma bisogna aspettare per vedere quali decisioni in concreto verranno prese».
È ancora in contatto con i suoi famigliari in Iran?
«Parlo tutti i giorni con mio marito e con i miei colleghi del Centro per la difesa dei diritti umani. No, non sono in contatto con gli esuli iraniani in America e nel resto del mondo: non sono un leader politico né un leader del movimento d’opposizione né loro mi riconoscono come tale. Sono solo un difensore dei diritti umani, un semplice avvocato che difende pro bono i perseguitati politici » .
Quando tornerà in Iran avrà molto da fare.
«Ne sono certa e mi preparo già ad accettare tutti i casi che mi capiteranno, coadiuvata da una ventina di illustri colleghi, la maggior parte delle quali donne».
È vero che la rivoluzione estiva è stata guidata dalle donne? « Basta andare su Youtube per capirlo. Non a caso Neda ne è diventata il simbolo. Tantissime donne sono dietro le sbarre mentre ogni sabato sera il comitato delle Madri in Lutto dell’Iran si riunisce in un parco. Protestano in silenzio, vestite di nero e con le foto dei figli imprigionati o uccisi. Molte città, tra cui Firenze e Venezia, hanno creato comitati di solidarietà analoghi e io mi appello a tutte le donne del mondo perché facciano lo stesso».
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