Lettera di una sconosciuta Stefan Zweig
traduzione di Ada Vigliani
Adelphi Euro 9,00
Non ci sono più i romanzieri di una volta. Quelli che al ritorno “da una ritemprante vacanza di tre giorni in montagna” trovano ad aspettarli il fedele servitore, pronto ad accoglierli con un tè bollente e a portar loro la posta su un vassoio d’argento, per lo più biglietti di ammiratrici, da scorrere un po’ annoiati. Stefan Zweig è stato davvero un tipo così, scrittore di grande successo e proverbiale tombeur de femmes, salottiero e un po’ blasé. Ed è forse per questo che il protagonista della “lettera di una sconosciuta” gli è riuscito tanto vivo. Sullo sfondo di una Vienna festaiola ed estenuata, Zweig fa muovere il suo alter ego con tocco sicuro. Quello che ne veniamo a sapere è però filtrato da altri occhi, da uno sguardo femminile sovraccarico di pathos. Tutto comincia con la posta del mattino e con una confessione di una ventina di pagine “vergate alla svelta in una grafia affannosa e sconosciuta, un manoscritto piuttosto che una lettera”. Tra le finzioni epistolari del Novecento è questa una di quelle più riuscite, non fosse altro perché la dama misteriosa apre la propria confessione con una frase di sicuro effetto, “A te, che mai mi hai conosciuto”, per continuare poi con drammatico ossimoro, “Voglio raccontarti l’intera mia vita che cominciò davvero il giorno in cui ti conobbi”. L’intero racconto è irretito dal monologo della sconosciuta, che disegna in cerchi sempre più stretti un amore non corrisposto. Alla passione si unisce un cupo senso di sventura, giacchè – ed è chiaro da subito – quando lo scrittore legge, l’innamorata è già morta. Potrebbe sembrare un melodramma popolare, e in effetti fu proprio questo testo, pubblicato nel 1922, a contribuire in maniera decisiva alla celebrità di Zweig. Ma al di là del registro patetico e un po’ facile, lo scrittore ebreo viennese ricama acutamente sulle atmosfere, così da ricreare una sensazione di contagioso labirinto psicologico. Sessista e maschilista fino a essere impresentabile – “Ti ho amato con tutta l’abnegazione di uno sciavo, di un cane” – la lettera di una sconosciuta funziona come uno specchio di Narciso, in cui l’ego del romanziere scruta, tra il compiaciuto e l’atterrito, una oscillante immagine di se stesso. Nell’ambiguità tra la vita immaginata dall’altra e la vita vissuta, Zweig si permette il lusso di giocare con l’autobiografia. Anche la sua relazione sentimentale con Friderike von Winternitz, che poi divenne la sua prima moglie, era infatti cominciata con una lettera anonima di lei. Si dice che, quando uscì il racconto, Friderike ne rimase profondamente ferita.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore