Non avremmo dedicato nemmeno una riga a quella disgustosa proposta di trasformare la casa dove nacque Hitler in un museo. Ma il CORRIERE della SERA di oggi, 14/11/2009, a pag. 20 pubblica un servizio di Francesco Battistini dal titolo " La casa di Hitler ? La compri Israele ", su una mezza pagina, per cui siamo costretti a farlo. Il pezzo è corretto, ha fatto bene Battistini a riportare l'opinione di Dina Porat, una delle storiche della Shoà più autorevoli. Basterebbero le sue parole per chiudere la vicenda. Abbiamo però una curiosità, che riguarda l'Ong italiana che ha lanciato la proposta. I responsabili dicono che potrebbero mettere in quella casa diventata museo " 200 opere opera della Shoà, un numero inferiore solo allo Yad vashem ". A quali opere si riferiscono ? La frase è perlomeno ambigua, anche se disgustosa quanto la proposta. Chi sono questi egregi signori ?
Ecco l'articolo:

GERUSALEMME — La trama è un po’ alla Tarantino. C’era una volta a Braunau, in un verde paesino dell’Austria, la casa natale di Hitler che era rimasta senza proprietà. In tutti quegli anni era stata usata come biblioteca, scuola, banca, studio tecnico, officina, istituto per disabili, finché un giorno la signora Gelinde Pommer non decise di metterla sul mercato. Si fece vivo qualche neonazista, che sognava di trasformarla in una Predappio tutta lumini e nostalgia. Si mosse un eccentrico milionario, che ne avrebbe fatto volentieri un hotel. Ma ecco spuntare dal nulla quei bastardi senza gloria degli ebrei scampati alla Shoah, pronti a rovesciare la storia. E da antichi schiavi, a trasformarsi in nuovi padroni. Lanciando un provocatorio appello che ieri campeggiava sul Jerusalem Post : «Perché il governo d’Israele non compra la culla del Male Assoluto?».
Hire Hitler, trattasi nazicasa. La proposta choc è d’una Ong italiana, EveryOne, ed è piaciuta alle ricche comunità ebraiche americane. Che hanno subito contattato l’organizzazione e fatto partire un tam-tam di email a Shimon Peres, a Bibi Netanyahu, ai ministri e ai parlamentari della Knesset. «Sono state spedite più di 500 richieste », spiega Roberto Malini, copresidente dell’Ong, in collegamento con associazioni israeliane: «La casa costa due milioni di euro e se il governo decide l’acquisto, noi ci mettiamo dentro 200 opere della Shoah, la più grande raccolta d’arte dopo quella di Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Sarebbe il modo migliore per rovesciare il significato di quel luogo».
Israele che paga per conservare la casa di Hitler. Come fa la Georgia con quella di Stalin. O la Spagna con quella di Franco. Tace la Gerusalemme dei palazzi, nel riposo del sabato. Prende tempo il portavoce di Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri: «Proposta da valutare ». Si dividono i lettori sul blog del Post : «Idea disgustosa.
Quel posto va bruciato» (Narick, Usa); «idea meravigliosa: far diventare la casa d’un assassino il memoriale delle sue vittime» (Steven, Usa); «ci voglio vivere dentro » (Potato Land); «datela a qualche organizzazione di carità » (Ben, Australia); «è una presa in giro delle vittime, d’Israele e della Shoah!!! » (Aliza); «compràtela e fateci un wc pubblico» (Golden Nugget, Australia); «tiràtela giù e fateci una sinagoga » (Edward, Usa)... Scettica anche Dina Porat, storica dell’Università di Tel Aviv e del comitato scientifico di Yad Vashem: «Lo Stato non può comprare un posto simile. Sarebbe una provocazione: noi dobbiamo ricordare la nostra storia, non mettere mano in quella altrui. Dovrebbe essere l’Austria, patria di Hitler e di Eichmann, a dare a quel luogo il giusto significato». Già, il significato: ma quale? «È solo la casa dov’è nato Hitler — dice la professoressa Porat —. Null’altro. Non c’è memoria, lì. La memoria sta ad Auschwitz ». Malini però difende l’idea: «Questa è l’Auschwitz dello spirito umano ». E ha senso farne un museo, ribaltandone il significato? «È l’immagine della banalità del male. La memoria della Shoah non sta solo nei capelli ammassati e nei forni dei lager. È anche la banale casa di un banale uomo in un banale paesino. Da dove si scatenò tutto».
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