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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.11.2009 La casa di Hitler un museo, una proposta disgustosa
La cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 novembre 2009
Pagina: 20
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «La casa di Hitler ? La compri Israele»

Non avremmo dedicato nemmeno una riga a quella disgustosa proposta di trasformare la casa dove nacque Hitler in un museo. Ma il CORRIERE della SERA di oggi, 14/11/2009, a pag. 20 pubblica un servizio di Francesco Battistini dal titolo "  La casa di Hitler ? La compri Israele ", su una mezza pagina, per cui siamo costretti a farlo. Il pezzo è corretto, ha fatto bene Battistini a riportare l'opinione di Dina Porat, una delle storiche della Shoà più autorevoli. Basterebbero le sue parole per chiudere la vicenda. Abbiamo però una curiosità, che riguarda l'Ong italiana che ha lanciato la proposta. I responsabili dicono che  potrebbero mettere in quella casa diventata museo  " 200 opere opera della Shoà, un numero inferiore solo allo Yad vashem ". A quali opere si riferiscono ? La frase è perlomeno ambigua, anche se disgustosa quanto la proposta. Chi sono questi egregi signori ?
Ecco l'articolo:

GERUSALEMME — La tra­ma è un po’ alla Tarantino. C’era una volta a Braunau, in un verde paesino dell’Au­stria, la casa natale di Hitler che era rimasta senza pro­prietà. In tutti quegli anni era stata usata come biblio­teca, scuola, banca, studio tecnico, officina, istituto per disabili, finché un gior­no la signora Gelinde Pom­mer non decise di metterla sul mercato. Si fece vivo qualche neonazista, che so­gnava di trasformarla in una Predappio tutta lumini e nostalgia. Si mosse un ec­centrico milionario, che ne avrebbe fatto volentieri un hotel. Ma ecco spuntare dal nulla quei bastardi senza gloria degli ebrei scampati alla Shoah, pronti a rovescia­re la storia. E da antichi schiavi, a trasformarsi in nuovi padroni. Lanciando un provocatorio appello che ieri campeggiava sul Jerusa­lem Post : «Perché il gover­no d’Israele non compra la culla del Male Assoluto?».

Hire Hitler, trattasi nazica­sa. La proposta choc è d’una Ong italiana, EveryOne, ed è piaciuta alle ricche comuni­tà ebraiche americane. Che hanno subito contattato l’or­ganizzazione e fatto partire un tam-tam di email a Shi­mon Peres, a Bibi Netan­yahu, ai ministri e ai parla­mentari
della Knesset. «So­no state spedite più di 500 ri­chieste », spiega Roberto Ma­lini, copresidente dell’Ong, in collegamento con associa­zioni israeliane: «La casa co­sta due milioni di euro e se il governo decide l’acquisto, noi ci mettiamo dentro 200 opere della Shoah, la più grande raccolta d’arte dopo quella di Yad Vashem, il mu­seo dell’Olocausto di Gerusa­lemme. Sarebbe il modo mi­gliore per rovesciare il signi­ficato di quel luogo».

Israele che paga per con­servare la casa di Hitler. Co­me fa la Georgia con quella di Stalin. O la Spagna con quella di Franco. Tace la Ge­rusalemme dei palazzi, nel ri­poso del sabato. Prende tem­po il portavoce di Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri: «Proposta da valuta­re ». Si dividono i lettori sul blog del
Post : «Idea disgusto­sa.

Quel posto va bruciato» (Narick, Usa); «idea meravi­gliosa: far diventare la casa d’un assassino il memoriale delle sue vittime» (Steven, Usa); «ci voglio vivere den­tro » (Potato Land); «datela a qualche organizzazione di ca­rità » (Ben, Australia); «è una presa in giro delle vitti­me, d’Israele e della Sho­ah!!! » (Aliza); «compràtela e fateci un wc pubblico» (Gol­den Nugget, Australia); «ti­ràtela giù e fateci una sinago­ga » (Edward, Usa)... Scettica anche Dina Porat, storica del­l’Università di Tel Aviv e del comitato scientifico di Yad Vashem: «Lo Stato non può comprare un posto simile. Sarebbe una provocazione: noi dobbiamo ricordare la nostra storia, non mettere mano in quella altrui. Do­vrebbe essere l’Austria, pa­tria di Hitler e di Eichmann, a dare a quel luogo il giusto significato». Già, il significa­to: ma quale? «È solo la casa dov’è nato Hitler — dice la professoressa Porat —. Null’altro. Non c’è memoria, lì. La memoria sta ad Au­schwitz ». Malini però difen­de l’idea: «Questa è l’Au­schwitz dello spirito uma­no ». E ha senso farne un mu­seo, ribaltandone il signifi­cato? «È l’immagine della banalità del male. La memoria della Shoah non sta solo nei ca­pelli ammassa­ti e nei forni dei lager. È anche la ba­nale casa di un banale uo­mo in un ba­nale paesino. Da dove si scate­nò tutto».

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