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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.11.2009 Possiamo fidarci dell'Iran e del suo nucleare?
Romano elude la domanda, ma lascia intendere di sì

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 novembre 2009
Pagina: 51
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Iran: il senso del tempo e quello degli affari»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/11/2009, a pag. 51, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Iran: il senso del tempo e quello degli affari ".

La lettrice ha posto a ha Sergio Romano due domande molto chiare sulla situazione iraniana. La prima riguarda i negoziati ( " Per quanto tempo ancora dovranno continuare questi tira e molla? "), la seconda mette in discussione l'idea che le intenzioni dell'Iran siano buone sul serio (" Secondo lei possiamo fidarci di loro? ").
Romano non ha risposto a nessuna delle due. Per la prima domanda si è limitato a specificare (con tono ammirato) che gli iraniani sono instancabili negoziatori e che quella che stanno conducendo con l'occidente è una partita a scacchi. 
Per quanto riguarda l'ipotesi di fidarsi dell'Iran, Romano non scrive una parola sul fatto che, mentre la partita a scacchi continua, gli ayatollah proseguono con il loro programma nucleare. Nemmeno una sillaba sui rischi per Israele e occidente connessi al nucleare iraniano. Ritenere che, alla fine, sarà la necessità di tecnologie per raffinare il petrolio a far cedere l'Iran  è ridicola e Romano non può spacciarla per realistica.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:

 
Sergio Romano

Che sta succedendo in Iran?

Sembrava che finalmente i negoziati con il mondo occidentale facessero passi avanti, ma gli iraniani si sono inventati ulteriori distinguo. Per quanto tempo ancora dovranno continuare questi tira e molla? Secondo lei possiamo fidarci di loro?
Sandra Sala , Monza

Cara Signora,

I
l senso del tempo in Iran è alquanto diverso dal no­stro e ricorda per molti aspetti un gioco che fu inven­tato, a quanto pare, proprio dai persiani. Una partita a scac­chi non è un match di foot­ball, in cui tutto deve svolger­si nell’arco di due tempi seve­ramente misurati dal cronome­tro dall’arbitro. È un lungo duello in cui il tempo che inter­corre tra una mossa e l’altra può essere la carta vincente
del giocatore che dà prova di maggiore pazienza e freddez­za. Ma oltre a essere instanca­bili negoziatori, gli iraniani so­no abili uomini d’affari, pronti a cogliere rapidamente, se ne­cessario, la buona occasione. Per darle una idea del modo in cui queste due caratteristiche — senso del tempo e senso de­gli affari — possano intrecciar­si, racconterò ciò che accadde dodici anni fa quando un tribu­nale di Berlino condannò i re­sponsabili di un fatto di san­gue, accaduto in un bar della città, attribuendone la respon­sabilità ai servizi segreti irania­ni e addirittura al leader supre­mo, l’ayatollah Khamenei. L’episodio è stato raccontato da Ludovico Ortona, allora am­basciatore d’Italia a Teheran, in una «Lettera» del Circolo di studi diplomatici, l’istituzione romana di Palazzetto Venezia.

Subito dopo la sentenza co­minciò
un complicato balletto degli ambasciatori. In segno di protesta contro le attività dei servizi iraniani in territorio te­desco, la Repubblica federale ri­chiamò il suo ambasciatore a Berlino «per consultazioni», una formula che può prelude­re, in alcuni casi, alla rottura dei rapporti. Per solidarietà con la Germania, tutti gli amba­sciatori dell’Ue rientrarono in patria. Due settimane dopo Khamenei dette un segnale di­stensivo dichiarando che avreb­be visto con piacere il rientro a Teheran degli ambasciatori eu­ropei; ma aggiunse che l’amba­sciatore tedesco sarebbe dovu­to rientrare per ultimo. Inaccet­tabile, naturalmente. Si apriro­no negoziati confidenziali du­rante i quali, come racconta Or­tona, fu presa in considerazio­ne anche la possibilità che tutti gli ambasciatori rientrassero a Teheran con lo stesso aereo e che quello della Repubblica fe­derale fosse l’ultimo a scende­re dalla scaletta. Tutto questo accadde paradossalmente men­tre gli iraniani eleggevano alla presidenza della Repubblica Mohammad Khatami, vale a di­re l’uomo che negli anni se­guenti avrebbe lanciato agli Sta­ti Uniti segnali che Washin­gton non volle raccogliere.

La situazione si sbloccò im­provvisamente quando andò in porto un negoziato paralle­lo fra l’industria petrolifera francese Total e il governo ira­niano per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero nel Golfo Persico. Il governo di Teheran capì che in quelle cir­costanze la presenza dell’am­basciatore
francese sarebbe stata indispensabile e smise improvvisamente di creare ostacoli insuperabili. Gli amba­sciatori rientrarono alla spic­ciolata e l’ambasciatore tede­sco rientrò per ultimo ma in­sieme all’ambasciatore di Fran­cia. E tutti, alla fine, tirarono un sospiro di sollievo.

Anche oggi, forse, sarebbe utile aprire con l’Iran, accanto alle trattative sul problema nu­cleare, un parallelo negoziato economico. Gli iraniani riesco­no ad aggirare alcune delle re­strizioni imposte dalle sanzio­ni internazionali, ma vi sono almeno due settori in cui la tec­nologia americana è presso­ché indispensabile: l’aeronau­tica (i loro Boeing hanno biso­gno di ricambi) e la raffinazio­ne del petrolio. Se il tempo gio­ca con gli iraniani, la tecnolo­gia
gioca con l’Occidente.

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