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La ristampa del libro di Meotti 11/11/2009
Cara IC,
ho letto or ora il  bellissimo commento a Non smetteremo di danzare di Giulio Meotti.
Sono davvero felice che sia in arrivo la ristampa: non immaginavo un successo così rilevante. Ciò significa che, al di là delle apparenze, coloro che ragionano non sono l'esigua minoranza che si potrebbe pensare a prima vista. Qualche merito l'avrà anche una certa I.C.,suppongo.....
Una bella soddisfazione  per Giulio, persona di primordine, sul serio, non è mia abitudine profondermi in lodi, ma "il ragazzo" se le merita
Come regalo e attestazione di amicizia e stima, mando a IC il commento al libro che scrissi, qualche settimana fa, per il mio "blog"; che è molto piaciuto a Meotti, tanto che lo ha  pubblicato sul suo.
Un cordiale saluto.
                                             Mara Marantonio (Bologna)
 
 
 

GIULIO MEOTTI NON SMETTEREMO DI DANZARE

 

Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele

 

Ed. Lindau, Settembre 2009, pp. 352

 

“Una delle più grandi vittorie del terrorismo è stata la cancellazione delle vittime. Parlare nuovamente di loro è una vendetta contro i crimini perpetrati su donne, vecchi e bambini ebrei. E’ il significato più puro e intangibile della memoria”  “La gente del mondo non sa che cosa è successo ai nostri figli”  “Israele è un Paese di immigrati, sebbene abbiamo abitato questa terra per migliaia di anni”.

 

L’associazione verbale “Martire” / “Israele” fa inevitabilmente pensare, per una sorta di riflesso condizionato, ai terroristi suicidi islamici, denominati -a Occidente- “Kamikaze”, in modo improprio, e -nei Paesi musulmani-“Martiri”. Difficile invece mettere in connessione, per così dire, positiva, “Martire” con “Cittadino israeliano”.

Giulio Meotti, giovane giornalista (redattore dal 2003 del quotidiano il Foglio), ha compiuto un’operazione tanto insolita quanto coraggiosa.

Con questo saggio, uscito a inizio autunno con Lindau, egli ha inteso dar volto e voce ai circa 2000 israeliani uccisi dalla furia genocidaria del terrorismo islamista durante gli anni della c.d. “seconda Intifadah”, in realtà vera e propria guerra, cioè dal settembre 2000 in poi. Guerra, quella mossa dal terrorismo, definita da Giulio “a fari spenti”, termine assai più significativo dell’asettico “guerra asimmetrica”, caro ai politologi.

Nella sua introduzione l’A. spiega come, da parte dell’integralismo islamico, sia in atto, e non da ieri, il tentativo di annullare gli Ebrei, in quanto Ebrei, e di conseguenza in quanto Stato -nonostante i sofisticati “distinguo”, veri pret à porter ad uso e consumo degl’ingenui-; Stato democratico, unico nel Medio Oriente, del quale dev’essere nullificata la vita, la storia. La parabola esistenziale di Israele è negata come dato di fatto, al punto da volerne cancellare addirittura il nome. Quel terrorismo che, paradossalmente rafforzatosi dopo l’11 settembre 2001, ha come scopo precipuo l’eliminazione dell’EBREO, ovunque questi si trovi.

Peraltro tale tentativo, forte di robuste e lontane radici, in larga parte, non è adeguatamente ostacolato dal mondo occidentale, poiché in quest’ultimo sono sempre vive, magari sottotraccia, forze che, avendo sempre perseguitato il popolo ebraico fino all’estremo della Shoah, hanno operato quella falsificazione (storica, politica, mediatica) che consente loro di rimuovere la colpa inventando crimini commessi, oggi non tanto dagli Ebrei, come singoli, bensì dagli Ebrei come collettivo, cioè come Stato di Israele. Tale falsificazione, poi, ha un’efficace ricaduta sul comune sentire, sulla pubblica opinione, distratta e poco incline a indagini serie ed approfondite.

Se il fine ultimo dell’istituzione “Yad Vashem” è ridare esistenza e nome a coloro che ne erano stati espropriati nell’anonimato dei campi di sterminio; così, col suo libro, Meotti ha inteso (ri)dare un nome, una vita palpabile alle vittime israeliane del terrorismo, troppo presto dimenticate, complice il clima di odio nei confronti del loro Paese. Dunque uno…Yad Vashem a forma di libro, per non dimenticare.

Nel ricomporre ogni figura, raccogliendone con rispetto e amore ciascun frammento, attraverso gl’incontri con familiari e amici, ricostruendo, fino all’ultimo tragico istante, quelle presenze spezzate, Giulio ci narra una cinquantina di storie (tutte emblematiche per diversi aspetti), talora intrecciate l’una all’altra, per lo più legate da un filo d’Arianna paradossale, che porta, in un tragico cammino a ritroso, alla Shoah, vissuta direttamente dagli uccisi o dai loro congiunti.

Egli non si addentra in disquisizioni di carattere politico su un tema i cui aspetti di fondo non sono di carattere territoriale, bensì religioso e direi esistenziale; tuttavia compie una precisa scelta di campo, senza timore di apparire politicamente scorretto.

Nondimeno nel libro non vi è una riga, come afferma l’A.,”discriminatoria o contro i palestinesi. Non è un libro contro”. E’ un’opera di giustizia nei confronti di un attore della vicenda, il popolo israeliano, per lo più trascurato dagli organi di informazione. Il giornalista svolge il suo compito con la passione di chi non è parte per nascita di quel mondo al quale si è avvicinato per scrivere quest’opera, tra l’altro documentatissima e ricca di significative immagini, frutto di una ricerca durata cinque anni. Non me ne voglia Meotti se affermo che il suo stupendo entusiasmo (da me condiviso) contrasta un poco con lo spirito ironico e smitizzante, tipico degli israeliani nel loro complesso, perfino nei momenti più drammatici (e non prerogativa di questo o quello scrittore).

“Martiri” perché testimoni del loro impegno nella quotidianità: andare in bus a scuola o al lavoro, gioire perché sono in arrivo due gemelli, far due chiacchiere al caffè con la figliola in procinto di sposarsi, celebrare il Seder di Pesach, studiare, esplorare le grotte vicino a casa, dormire nel lettino col succhiotto in bocca, compiere il dovere di soldato….quella vita normale che il nemico vorrebbe toglierti per sempre. Ma è proprio tale spirito smitizzante -unito ad un ethos nazionale in grado di far sì che le tante “tribù”, sovente in contrasto tra loro, di cui è composto il Popolo di Israele riescano ad essere un tutt’uno- che consentirà di continuare a danzare, com’è scritto sul monumento commemorativo dei 21 adolescenti immigrati dalla Russia, uccisi, la sera dell’1 giugno 2001, davanti alla discoteca sul lungomare di Tel Aviv: “Scegli la vita, non smetteremo di danzare” “Lachaim, lo nafsik lirkode”. (28 ottobre 2009


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