Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/11/2009, a pag. 18, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Il Libano alla «guerra dell’hummus» ".
La trovata del Libano rasenta il ridicolo. Cercare di avere l'esclusiva per la cucina di alcuni piatti sostenendo che sono tipici libanesi.
La proposta viene dal nuovo ministro dell'Agricoltura (Hezbollah), il quale arriva a sostenere " Le nostre imprese sono troppo piccole per pagare le proprietà intellettuali invece il governo può intraprendere azioni legali. L’ha fatto la Grecia con la feta, dovrebbe farlo anche l’Italia con la pizza...". Certe trovate nazionaliste le lasciamo ad Hezbollah. Ci chiediamo se la parte non Hezbollah del governo Hariri sia in grado di arginare questa ridicola follia.
Ecco l'articolo:
Falafel e Hummus, i due piatti sui quali il Libano vorrebbe avere l'esclusiva
GERUSALEMME — Che l’alimento fosse infido, Nostro Signore lo sapeva già duemila anni fa. «Colui che intinge con me nel piatto, mi tradirà»: e fu proprio in una terracotta di hummus che (pare) Giuda finì per ficcare il suo fatale tozzo di pane. Che faccia litigare, accade da una sessantina d’anni: più o meno da quando Israele ha piantato bandiera ed è accusato d’essersi allargato, oltre che con la terra, pure col purè. Ceci & sesamo, aglio & olio. In tutto il Medio Oriente non c’è ricetta più semplice e contesa dell’hummus. Libanesi contro israeliani. Rivendicato come una colonia, difeso come il Litani. Con inconfessabili perversioni culinarie: raccontano che Sharon ne andasse matto, ma se lo faceva portare a casa da certi arabi del Sinai che lo preparavano come pochi. Con interminabili dispute pubbliche: l’ultima, consumata sul lungomare di Beirut a fine ottobre, quando trecento chef libanesi si sono esibiti in due tonnellate di morbido purè, sono entrati nel Guinness dei primati e — tiè! — agli occhi del mondo hanno fatto diventare il Paese dei Cedri, anche, il Paese dei Ceci. Pane al pane, hummus all’hummus. L’esibizionismo dei 300 non nasce dal nulla: «È una grande vittoria morale! — s’è esaltato il presidente della locale camera di commercio, Rabih Sabra —. Destinata a mostrare all’opinione pubblica che questo piatto e molti altri appartengono al Libano e solo al Libano!».
L’inizio d’una controffensiva: il nuovo ministro dell’Agricoltura, uno dei due hezbollah del nuovissimo governo Hariri che per altre ragioni preoccupano Israele, è stato incaricato di promuovere in sede internazionale una battaglia giudiziaria per il marchio Doc dell’hummus, ma anche dei felafel (le polpette di fave), del tabulé e del fattush (due tipi d’insalata), del kibbeh (le crocchette di carne), insomma per tutelare la mesah libanese. «Le nostre imprese sono troppo piccole per pagare le proprietà intellettuali — dice Sabra —, invece il governo può intraprendere azioni legali. L’ha fatto la Grecia con la feta, dovrebbe farlo anche l’Italia con la pizza... » .
Impegnati a ricordare che gli Hezbollah hanno migliaia di razzi puntati su Israele (l’ha detto ieri il generale Gabi Ashkenazi) o a temere un attacco israeliano quanto prima (l’ha scritto ieri il giornale al-Nahar), non è detto che i due governi abbiano tutto il tempo che serve a questa battaglia gastronomica. Il golpe del Guinness però non è piaciuto e gl’israeliani hanno risposto con l’aiuto, tanto per cambiare, dell’America: a una fiera del New Jersey, un loro cuoco ha appena vinto il premio per il miglior felafel del mondo. E poco importa se nel 2008 un presentatore della tv francese fu costretto a scusarsi per aver definito le polpettine «un tipico piatto ebraico»: anche al ministero dell’Agricoltura israeliano, dove già c’è una «procedura di tutela » dell’ortofrutta sperimentata nelle serre del deserto, non spiacerebbe istituire una specie di copyright alimentare. «Non capisco che cosa vogliano i libanesi — protesta Abu Shukri, 42 anni, il più famoso chef d’hummus d’Israele —. Questi sono piatti che appartengono a tutto il Medio Oriente. E il loro hummus è diverso dal nostro: nel mondo di sono 40 tipi diversi di ceci, i loro non sono quelli che usiamo noi. Se poi vogliono la sfida, siamo pronti...». Il primo gennaio, la rappresaglia: ad Abu Gosh, alle porte di Gerusalemme, le brigate del cecio sono mobilitate a preparare almeno 400 tonnellate di hummus. Per il verdetto del Guinness. Più rispettato d’una risoluzione Onu.
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