martedi` 22 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2009 D'Alema, che si dice all'interno dell'ex PCI
Raccontato da Federico Geremicca

Testata: La Stampa
Data: 08 novembre 2009
Pagina: 1
Autore: Federico Geremicca
Titolo: «Chi vuol mandare D'Alema in Europa»

Sulla candidatura a Ministro degli Esteri UE di Massimo D'Alema, sulla STAMPA di oggi, 08/11/2009, a pag.1-27, Federico Geremicca, ex firma dell'Unità, e quindi conoscitore degli affari interni dell' ex PCI, ci dà un ritratto di quel che si dice e pensa nell'attuale PD.  Da quanto scrive si direbbe che la voglia di vederlo fuori dalle scatole sia diffusa. Noi ci auguriamo che continui a fare danni in Italia, dove, almeno, già lo conoscono. L'UE è già abbastanza disastrata che non  è opportuno che arrivi un secondo Prodi  a fare danni.
In ogni caso, tocchiamo ferro.
Il titolo è " Chi vuol mandare D'Alema in Europa "

 La non dimenticata scampagnata con Hezbollah a Beirut

Va bene i paroloni e i grandi principi, come l’interesse dell’Europa, il prestigio dell’Italia, eccetera eccetera: ma c’è un bel po’ di gente che di questo se ne frega.
E’ da un paio di settimane, infatti, che in conciliaboli più o meno riservati, si arrovellano invece intorno a una domanda alla quale non trovano una risposta. E la domanda è: ma per le nostre faccende, è più «pericoloso» - oggi e domani in prospettiva - un D’Alema in giro per il mondo come ministro degli Esteri d’Europa, oppure un D’Alema che resta in patria, ma amareggiato e magari voglioso di regolare un altro po’ di conti? Certo, è un approccio molto particolare - il solito machiavellismo italiano - a una questione che reclamerebbe, forse, altri interrogativi. Eppure, questo approccio esiste, ed è diffuso. E dunque: meglio osservare da lontano l’ipotetica missione europea del líder máximo (missione che potrebbe però trasformarsi in una nuova e potente rampa di lancio) o farci i conti qui, quotidianamente, tra una grana e un sarcasmo?
Non sembri strano che nel giorno che battezza l’avvio dell’era Bersani e della presidenza Bindi, gli eletti dell’Assemblea nazionale Pd facciano anch’essi i conti con questo interrogativo. C’è da capirlo: in fondo, fatte le differenze, somiglia un po’ a quel «che ne sarà di noi» che serpeggiò nelle file dell’Ulivo quando si fece strada l’ipotesi che Romano Prodi potesse abbandonare la sua creatura per trasferirsi a Bruxelles. E non basta. Perché in questa fredda mattinata di novembre, infatti, c’è anche un’altra suggestione - paradossale suggestione - che aleggia nei saloni del Palafiera: visto che Veltroni ha disertato anche questo appuntamento, è possibile - per caso - che il Pd «antico, socialdemocratico e troppo di sinistra» finisca invece per essere un partito che fa contemporaneamente a meno (magari solo per un po’ e solo per le posizioni di prima fila) tanto di Massimo quanto di Walter, duellanti da una vita?
I due interrogativi si intrecciano. Ma in verità, è soprattutto quello che riguarda il futuro di D’Alema a tener banco in ogni conciliabolo. Cosa è più conveniente che accada, per le nostre faccende interne? Se lo sono chiesto - e se lo chiedono - davvero in tanti. Amici e nemici, naturalmente: da Bersani a Berlusconi, per capirsi. Si può supporre che, con D’Alema emigrato in Europa, il primo sarebbe forse più libero nella gestione del partito; e che il secondo, ovviamente, vedrebbe aperta una linea di credito non da poco con l’intero stato maggiore del Pd. Invece, seduto alla presidenza del Palafiera, affianco alla neo-presidente Bindi, Bersani nega di essersi mai posto l’interrogativo: «Se Massimo riuscisse, sarei felice per lui, per l’Italia e per l’Europa, che farebbe un buon affare - dice -. Quanto al resto, a me lui non dà fastidio da nessuna parte: né se resta qui né se va lì». Di Berlusconi, purtroppo, è più difficile dire. Ed è inutile chiedere proprio a D’Alema che ne pensi e se si fidi delle mosse del Cavaliere: «La fiducia non è una categoria politica», risponde dalla sua poltroncina in prima fila al Palafiera. Ma i toni verso il premier non sono severi come al solito.
Per capirlo, basta chiedere al candidato-mister Pesc della faccenda del vero o presunto veto polacco nei suoi confronti: la domanda, infatti, diventa per D’Alema l’occasione per una riflessione non estranea a certe argomentazioni di Berlusconi. «Quel che dispiace - spiega mentre lo avvicinano in tanti per fargli gli auguri - è che a porre la questione maliziosa sia stato proprio un giornalista italiano. Siamo bravissimi a farci del male da soli all’estero e a denigrare il nostro Paese». Sì, è una tesi cara al Cavaliere. Ma l’obiezione, stavolta, non irrita D’Alema: «Intanto, lui sostiene che a essere anti-italiana è l’opposizione, il che è falso. E comunque non è che solo perché una cosa la dice Berlusconi, vuol dire che sia sbagliata».
Molti, naturalmente - anche nel Pd - fanno il tifo perché l’operazione riesca e D’Alema, per i prossimi cinque anni, abbia altro da fare che creare fondazioni, avvicendare segretari e fare e disfare maggioranze. Ma anche i dalemiani di stretta osservanza - seppur con altre aspettative - fanno il tifo perché il loro leader traslochi in Europa. «Già, sono in tanti a sperare che Massimo si tolga dai piedi - ammette Livia Turco -. Come se una volta assunto il possibile nuovo incarico, non possa intervenire ugualmente sulle cose italiane». E Latorre, fedelissimo da sempre, aggiunge: «Si fanno delle illusioni: Massimo non abbandonerebbe comunque la politica italiana. E invece di star lì a fare calcoli, riconoscano anche loro - come avviene in Europa - la statura di un leader sempre troppo criticato». C’è altro che i dalemiani naturalmente non dicono: che se andasse in porto l’operazione-Europa, il percorso di D’Alema comincerebbe a somigliare in maniera impressionante a quello di Romano Prodi. Sempre un gradino più giù, è vero: ma la scala sembra proprio la stessa. Presidente del Consiglio come Prodi, anche se per solo un anno e mezzo; poi in Europa come lui, anche se con un ruolo appena meno di rilievo. Tutto qui? Tutto qui. Ma forse non è poco per chi ricorda che il professore tornò dall’Europa per ricandidarsi, battere Berlusconi e tornare a Palazzo Chigi...

Per inviare alla Stampa la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT