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La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2009 Yoani Sanchez, rapita e picchiata dagli agenti di Fidel Castro
dedicato a Gianni Minà e Gianni Vattimo, laudatores del tiranno cubano

Testata: La Stampa
Data: 08 novembre 2009
Pagina: 1
Autore: Yoani Sanchez
Titolo: «Io, rapita dagli agenti di Castro»

La STAMPA ospita da tempo gli articoli della coraggiosa blogger cubana Yoani Sanchez. Oggi, 08/11/2009, la notizia è il suo rapimento  e le percosse che le zelanti squadracce di Fidel Castro le hanno inflitto. La notizia buona è che quasi tutti i giornali oggi ne riprendono le vicende. Peccato che a nessuno sia venuto in mente di intervistare Gianni Minà o Gianni Vattimo, che del dittatore cubano sono gli italici cantori. Oltre a tutto Vattimo è un regolare collaboratore della stessa STAMPA.
 Ecco il racconto di Yoani Sanchez, uscito in prima pagina sul quotidiano torinese, con il titolo :
" Io, rapita dagli agenti di Castro "

 Yoani Sanchez

Abbiamo visto arrivare a bordo di un’auto nera - di fabbricazione cinese - tre robusti sconosciuti: «Yoani, sali» mi ha detto il primo afferrandomi con forza per un polso. Gli altri due trattenevano Claudia Cadelo, Orlando Luís Pardo Lazo e un’amica.
Stavamo andando a una marcia contro la violenza. Ironia della vita, quella che doveva essere una giornata di pace e concordia si è trasformata in una serata carica di botte, grida e male parole. Gli stessi «aggressori» hanno chiamato una pattuglia che si è portata via gli altri miei due compagni, Orlando e io eravamo condannati all’auto con targa gialla (privata, non identificabile, ndt), lo spaventoso terreno dell’illegalità e dell’impunità per l’Armageddon.
Mi sono rifiutata di salire e abbiamo preteso che si identificassero e mostrassero un mandato giudiziario. Non ci hanno fatto vedere nessuna carta. I curiosi si accalcavano intorno e io gridavo: «Aiuto, ci vogliono sequestrare», ma loro hanno fermato chi voleva intervenire con un grido che rivelava tutto il fondamento ideologico dell’operazione: «Non vi intromettete, sono dei controrivoluzionari». Di fronte alla nostra resistenza verbale, hanno preso il telefono e hanno detto a qualcuno che doveva essere il loro capo: «Cosa facciamo? Non vogliono salire sull’auto». Immagino che all’altro lato la risposta sia stata categorica, perché ci hanno riempito di botte e spintoni, mi hanno caricato con la testa verso il basso e hanno tentato di infilarmi nell’auto. Ho afferrato la porta, ricevendo colpi sulle mani, sono riuscita a togliere un foglio che uno di loro portava in tasca e me lo sono messo in bocca. Mi sono presa un’altra scarica di botte perché lo restituissi.
Orlando era già dentro, immobilizzato da una mossa di karate che lo faceva stare con la testa verso il pavimento. Uno ha messo le sue ginocchia sul mio petto e l’altro, dal sedile anteriore mi colpiva nella zona dei reni e sulla testa per farmi aprire la bocca e liberare il documento. Per un istante, ho temuto che non sarei più uscita da quell’auto. «Sei arrivata fino a qui, Yoani», «Adesso la finirai di fare pagliacciate», ha detto quello che era seduto accanto all’autista e che mi tirava i capelli. Mi hanno detto che se continuavo a fare quello che faccio mi avrebbero fatta sparire. Nel sedile posteriore si poteva assistere a uno spettacolo molto strano: le mie gambe verso l’alto, il volto arrossato per la pressione e il corpo indolenzito, all’altro lato c’era Orlando conciato male da un picchiatore professionista. In un gesto di disperazione sono riuscita ad afferrare, dai pantaloni, i testicoli di questo personaggio. Ho affondato le unghie, supponendo che lui avrebbe continuato a schiacciare il mio petto fino all’ultimo respiro. «Uccidimi adesso», gli ho gridato, col fiato che mi restava, ma quello davanti ha detto: «Lasciala respirare».
Sentivo Orlando ansimare e le botte continuavano a cadere su di noi, ho pensato di aprire la porta e gettarmi fuori, ma all’interno non c’era una maniglia. Eravamo nelle loro mani ma ascoltare la voce di Orlando mi rincuorava. In seguito lui mi ha detto che gli accadeva lo stesso ascoltando le mie parole rotte dai singhiozzi… perché gli dicevano «Yoani è ancora viva». Ci hanno lasciati in pessime condizioni, scaraventati in una strada, una donna si è avvicinata: «Cosa vi è successo?». «Un sequestro», ho risposto. Ci siamo messi a piangere abbracciati in mezzo al marciapiede, pensavo a Teo, non sapevo come avrei potuto spiegargli quel che avevo passato. Come potrò dirgli che vive in un paese dove succedono queste cose, come potrò guardarlo e raccontargli che sua madre è stata malmenata in mezzo alla strada perché scrive un blog dove esprime le sue opinioni in kilobytes. Come potrò descrivergli il volto autoritario di chi ci ha fatto salire su quella macchina, il piacere sui loro volti mentre ci percuotevano, alzavano la mia gonna e mi trascinavano seminuda verso l’auto.
Sono riuscita a vedere, nonostante tutto, il livello di agitazione dei nostri aggressori, la paura del nuovo, delle cose che non possono distruggere perché non le comprendono, il terrore del gradasso che sa di avere i giorni contati. Per fortuna ne sono uscita viva, ma forse sto peggio moralmente che fisicamente, sono una persona non violenta che combatte con le parole. Mi sono resa conto che il governo ha paura delle cose che scrivo. In ogni caso non mi lascerò intimorire. Non mi passa neppure per la testa di fare il loro gioco, di abbandonare il blog e di ritirarmi in buon ordine.
Traduzione di Gordiano Lupi
leggi il blog di Yoani Sanchez
www.lastampa.it/generaciony

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