Riportiamo da LIBERO di oggi, 05/11/2009, a pag. 25, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’Iran va in piazza e la polizia islamica spara ancora sulla folla ".
Elicotteri che si abbassano sui manifestanti, pasdaran che scendono con le funi in tenuta di guerra, manganellano con ferocia e a lanciano lacrimogeni, spari ad altezza d’uomo: scene di ordinaria barbarie nelle strade di Teheran. L’opposizione al regime ha tentato ieri di trasformare le celebrazioni per il 30° anniversario dell’occupazione dell’ambasciata Usa di Teheran, in una mobilitazione di piazza. Mentre il comizio ufficiale per rivendicare l’atto barbaro della presa in ostaggio di 52 diplomatici, detenuti per 444 giorni, a partire dal 4 novembre 1979, alcune migliaia di manifestanti dell’Onda Verde, hanno sfilato attorno alle università All Hurra e Sharif e attorno alla piazza Haft Tir. Gli slogan: “Khamenei assassino”, “Morte al dittatore” e anche - questa è una novità - “Morte alla Russia”, considerata, a ragione, un potente supporter del regime, a cui fornisce tutta la tecnologia nucleare e un costante padrinato nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, teso a impedire nuove sanzioni.
Dispersi dai pasdaran e dai bassiji, i manifestanti, tra cui si sono notati alcuni mullah, si sono divisi in piccoli gruppi, guidati da Mehdi Karroubi (condidato sconfitto alle presidenziali e alleato di Hossein Moussavi), che è stato malmenato da alcuni bassiji che gli hanno anche sfondato a calci la macchina. Si è sparsa voce su Twitter che tra i 50 arrestati vi sia anche la madre di Neda, la ragazza uccisa dai bassiji nel giugno scorso mentre manifestava, la cui agonia ripresa da un cellulare ha sconvolto per giorni tutta la blogosfera.
Questa voce è stata poi corretta con la notizia dell’arresto non della madre, ma di un parente di Neda. Circa 200 manifestanti riformisti hanno preso d’assedio la sede dell’agenzia d’informazione ufficiale Irna, che ha peraltro dovuto cessare per alcune ore le sue trasmissioni a causa del blocco totale di Internet deciso dalle autorità per impedire la circolazione delle informazioni e soprattutto la loro uscita dal paese (segno tangibile della radicalità della repressione). Manifestazioni di oppositori ed arresti si sono avuti anche a Isphan e Shiraz.
Da parte loro, i manifestanti del comizio di regime davanti alla ex ambasciata Usa (deserta dal 1979), gridavano “Marg bar Amerikà”, “Morte all’America” mentre ascoltavano il comizio di Haddad Adel, ex presidente del Majlis, il parlamento, fiduciario dell’ayatollah Khamenei.
Comizio di aperta sfida all’America, di piena rivendicazione di quel gesto di pirateria internazionale e occasione per lanciare a Obama una sfida aperta. Haddad Adel ha infatti intimato a Washington di cambiare politica nei confronti del programma nucleare iraniano e ha avvertito: «Nessuno nella repubblica islamica può scendere a patti sul diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare». Dopo le parole durissime contro l’atteggiamento Usa nella trattativa di Ginevra dell’ayatollah Khamenei di martedì, questa sfida ha un chiaro significato: l’Iran non ha nessuna intenzione di firmare quell’accordo - che comunque sempre martedì Hillary Clinton ha definito «non ulteriormente negoziabile» - si accinge a dire un “no” formale, e proverà, probabilmente con successo, a rilanciare comunque una pseudo trattativa che avrà il solo scopo di allungare i tempi e fare in modo che l’arricchimento dell’uranio al 90% (indispensabile per la bomba A), venga portato a termine.
Sconcertanti, ancora una volta, a fronte di questo quadro, le parole concilianti di Obama che ha scritto in un comunicato: «Da 30 anni ormai sappiamo contro chi è schierato il governo iraniano; adesso la questione è sapere a quale tipo di futuro ambisce. È giunto il tempo per il governo iraniano di decidere se vuole rimanere ancorato al passato o se vuole fare la scelta di aprire le porte a maggiori opportunità, prosperità e giustizia per il suo popolo». Atteggiamento rinunciatario e attendista, ribadito ieri sera dal suo portavoce Robert Gibbs che ha emesso un comunicato pilatesco: «Gli Usa auspicano che le violenze non dilaghino e osservano da vicino la situazione».
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