Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/11/2009, a pag. 5, il commento di Kurt Volker dal titolo " Così i magistrati mettono a rischio la sicurezza di tutti ". L'autore è stato ambasciatore Usa alla Nato, durante il rapimento di Abu Omar era direttore degli affari europei al Consiglio per la Sicurezza Nazionale guidato allora da Condoleezza Rice.
Nicolò Pollari
Dalla prospettiva di un giudice italiano, l’incriminazione di funzionari americani da parte di un tribunale di Milano deve sembrare una materia del tutto ovvia: un iman estremista è stato prelevato dalle strade di Milano e spedito in Egitto. Il procuratore raccoglie le prove e conclude che la Cia ha qualcosa a che fare con il caso, e quindi decide che quelle persone coinvolte debbano essere processate. Ma per quanto ovvia la logica possa apparire, il caso stesso porta alla mente una serie di altre questioni che sia l’opinione pubblica che i magistrati responsabili dovrebbe considerare.
Primo, c’è la questione della protezione dei cittadini. Pochissimi dubitano che Abu Omar fosse un iman radicale che predicava un’ideologia estremista nel cuore di una delle maggiori città italiane (ed europee). Ed era ricercato dalle autorità della sua patria, l’Egitto. Così, in un mondo dove gli insegnamenti degli estremisti possono forgiare le menti degli adepti, e alcuni di loro possono andare a commettere attentati contro persone innocenti, sorge una domanda fondamentale. Come possono le autorità di governo agire preventivamente per proteggere la popolazione, piuttosto che perseguire i colpevoli solo dopo che hanno compiuto un atto terroristico?
Secondo, c’è la questione di un tribunale nazionale che porta a processo funzionari del suo più importante alleato. Ricordate che il governo degli Stati Uniti non ha mai ammesso alcun coinvolgimento in quello che è accaduto nelle strade di Milano. In realtà, per quanto ne sappia, l’unica dichiarazione ufficiale degli Stati Uniti sul caso è stata che gli Stati Uniti hanno pienamente rispettato la sovranità italiana. Una semplice dichiarazione, ma le parole pesano.
In altre parole, essendo questa la posizione americana, le ipotesi del tribunale sembrano essere o che i funzionari statunitensi hanno agito senza il permesso del governo americano - e quindi presumibilmente in modo illegale - oppure (e forse è questo il vero bersaglio dei giudici) anche il governo italiano era coinvolto, quindi ha agito illegalmente. Eppure gli Usa non hanno mai ammesso il coinvolgimento, e il governo italiano si è appellato al «segreto di Stato». Così, in effetti, perseguendo queste due ipotesi, la corte si sta inserendo nel regno delle relazioni diplomatiche, o accusando il più importante alleato dell’Italia di violare la sovranità italiana, oppure usando questa accusa per un caso interno contro il governo italiano. In entrambi gli scenari, è un approccio ad alto rischio che minaccia la cooperazione tra Stati Uniti e Italia, una materia molto più importante che il destino di questo particolare iman estremista.
Terzo, ed ultimo, c'è il ruolo dei servizi di intelligence nel far rispettare la legge e garantire la pubblica sicurezza. Con la sua esperienza nella lotta al crimine organizzato, l’Italia conosce forse meglio di qualunque altra nazione l’importanza di raccoglie buone informazione per combattere il crimine, proteggere i cittadini, e assicurare il rispetto della legge. Gli Stati Uniti sono probabilmente i più importanti alleati dell’Italia nel raccogliere informazioni e combattere il crimine e il terrorismo. E quali sarebbero le conseguenze del fatto che agenti americani dell’intelligence vengano perseguiti in un tribunale italiano? Si può solo desumere che ciò raffredderà la cooperazione futura tra Stati Uniti e Italia. E di conseguenza ciò vorrebbe dire un declino della sicurezza per i cittadini italiani e americani.
Le vere vittime nel condurre questo processo non sarebbero l’iman egiziano, o i funzionari americani. Piuttosto, le vere vittime sarebbero i cittadini dei nostri due Paesi.
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