Ebrei in Yemen
Lo scorso 31 ottobre il Dipartimento di Stato americano ha concluso una operazione clandestina di salvataggio degli ultimi ebrei – 60 – rimasti nello Yemen, portandoli negli Stati Uniti.
Il Wall Street Journal ha commentato questa notizia affermando che in tal modo si è posta la parola fine alla presenza ebraica nello Yemen, antica di 2.500 anni.
Una volta di più questo triste episodio – triste perché consegna alla storia un valore umano ed etico, quello della convivenza, denunciandone la non praticabilità – ci fa toccare con mano quanto sia difficile per gli ebrei vivere in uno stato islamico ed arabo.
In realtà nel corso della storia questa presenza ebraica è sempre stata tollerata dai regimi islamici ed ha anche portato ad importanti conquiste nel campo della scienza e della cultura: si pensi alla Spagna medievale. Ma è stata, appunto, solo tollerata, nel senso che gli ebrei non erano costretti a convertirsi ma dovevano pagare una speciale tassa e vestire in modo da essere riconosciuti. Se si pensa che negli stessi secoli nell’Europa cristiana gli ebrei venivano massacrati se rifiutavano la conversione il paragone è senz’altro a favore dell’Islam.
La vera svolta si è verificata nel 1947, con la creazione dello stato d’Israele. Da allora un pò per volta gli ebrei sono stati espulsi dal mondo arabo o costretti a fuggire; in totale sono stati circa 700.000, accolti ed integrati da Israele. Negli stessi anni circa alrettanti profughi palestinesi sono stati rinchiusi dagli stati arabi in miserevoli campi profughi che tuttora esistono, e quanti di loro sono andati a vivere in un paese arabo non sono stati integrati, anzi sono stati ermaginati.
In Israele gli arabi rimasti hanno dieci deputati alla Knesset che essi scelgono ed eleggono liberamente.