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Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.11.2009 L'ultima menzogna di Sergio Romano
l'invito a scrivere al Corriere per protestare

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 novembre 2009
Pagina: 1
Autore: Sergio Romano
Titolo: «E adesso Bersani faccia una mossa»

L'editoriale di Sergio Romano sul CORRIERE della SERA di oggi, 01/11/2009, dal titolo " E adesso Bersani faccia una mossa " contiene una valutazione del tutto errata per quanto riguarda la politica estera del governo Berlusconi. Di un tale rilievo che ci chiediamo come il primo quotidiano d'Italia possa mettere in prima pagina una opinione che capovolge la realtà dei fatti. Scrive infatti Romano, in merito alla candidatura di D'Alema a Ministro degli Esteri della Ue :
Dimo­stra che il governo approva a posteriori la qualità del la­voro fatto da D’Alema alla Farnesina durante il gover­no Prodi e riconosce la con­tinuità della politica estera italiana da un governo all’al­tro"
Mai menzogna fu più grossolana e plateale, essendo vero il contrario. Tutti i governi Berlusconi, dal 1994 in poi, hanno creato una cesura fra la politica mediorientale dei vari centro-sinistra, a guida Prodi o D'Alema, instaurando con Israele un rapporto di grande solidarietà e amicizia. Con Berlusconi è accaduto, per la prima volta, di sentire parole e atti appropriati nei confronti del terrorismo palestinese, che mai si udirono prima, essendo la linea D'Alema-Prodi la diretta prosecuzione di quella Craxi-Andreotti di sciagurata memoria.
Questo rappresenta per Romano una " continuità con la politica estera italiana da un governo all'altro " ! Se il Corriere voleva lanciare un messaggio a Bersani, ha fatto male a rivolgersi al suo arabista ufficiale, che ancora una volta ha dimostrato da che parte sta, con il risultato di rifilare ai lettori del Corriere una bufala grande come una casa.
Ci auguriamo che i lettori di IC scrivano al direttore Ferruccio De Bortoli, per chiedergli se una simile menzogna possa coesistere con il concetto di informazione corretta sul giornale che dirige.
Ecco l'articolo:

 Sergio Romano

La possibilità che Massimo D’Alema venga scelto a rap­presentare la politi­ca estera dell’Unione Euro­pea dopo la ratifica del Trat­tato di Lisbona è oggi pro­babilmente modesta. Co­me ha ricordato Franco Venturini sul «Corriere» di ieri, vi sono già altre candi­dature e la scelta dipende anche dal colore politico della persona che verrà chiamata alla presidenza del Consiglio europeo. Ma l’appoggio del governo Ber­lusconi, annunciato nelle scorse ore, è comunque un segnale interessante. Dimo­stra che il governo approva a posteriori la qualità del la­voro fatto da D’Alema alla Farnesina durante il gover­no Prodi e riconosce la con­tinuità della politica estera italiana da un governo all’al­tro. Ammette che vi sono questioni su cui maggioran­za e opposizione possono lavorare insieme. In una si­tuazione in cui basta che uno dica una cosa perché l’altro dica l’opposto, que­sta, per gli italiani stanchi di vivere con l’arma al pie­de, è una buona notizia.

Lasciamo da parte per un momento il futuro di D’Alema e chiediamoci piuttosto se non sia possibi­le partire da questo segnale per imboccare una strada migliore di quella su cui stiamo segnando il passo.

Il Partito democratico ha un nuovo segretario, scelto da un numero considerevo­le di iscritti ed elettori. Pier Luigi Bersani ha perso Fran­cesco Rutelli e dovrà supe­rare altri ostacoli. Ma è in sella e ha il diritto di essere considerato a tutti gli effet­ti il principale leader dell' opposizione. Può ignorare la mossa del governo Berlu­sconi e continuare lo steri­le gioco delle reciproche scomuniche. Ma può anche cogliere l’occasione per di­re al governo e al Paese qua­li sono le questioni su cui il Pd è disposto ad affrontare la maggioranza al tavolo del confronto e della colla­borazione. Suggerimenti in­coraggianti vengono da En­rico Letta e lo stesso Bersa­ni ha già dato qualche indi­cazione in questo senso. Ma dovrebbe essere più concretamente esplicito e mettere nero su bianco.

Esiste la legge sulla rifor­ma universitaria. Esiste la riforma della giustizia. Esi­ste il problema delle pen­sioni su cui, prima o dopo, occorrerà tornare. Ed esi­ste, infine, quello delle ri­forme istituzionali, dalla trasformazione del Senato in Camera delle regioni al rafforzamento dei poteri del premier, su cui, a giudi­care dall’intervista di Lucia­no Violante al «Foglio» di ieri, le posizioni di maggio­ranza e opposizione sono molto meno lontane di quanto sembri.

Qualcuno sosterrà che è tempo perso e che Berlu­sconi preferisce lo scontro al dialogo. E’ possibile. Il presidente del Consiglio ha dato qualche volta la sensa­zione di pensare che è me­glio, per il governo, fare da sé e continuare a trattare l’opposizione come un ne­mico irriducibile piuttosto che riconoscerne il ruolo. Ma se il Pd facesse qualche esplicita proposta, otterreb­be parecchi risultati. Dareb­be maggiore evidenza alla propria immagine di parti­to riformista. Dimostrereb­be che il Pd non ha nulla da spartire con l’Italia dei valo­ri, se non l’utilità di qual­che occasionale accordo tat­tico. Metterebbe il presi­dente del Consiglio nella condizione di dovere dare risposte non soltanto pole­miche. Agli italiani che non vivono di militanza politica preme soprattutto, al di là di ogni altra considerazio­ne, che questa legislatura non vada interamente per­duta. Sono quasi trent'an­ni, dalla commissione pre­sieduta da Aldo Bozzi in poi, che parliamo di rifor­me. Vorremmo cominciare a vederle.

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