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La Stampa Rassegna Stampa
31.10.2009 D'Alema Ministro degli Esteri UE, pericolo imminente
Cronaca e analisi di Marco Zatterin, Ugo Magri

Testata: La Stampa
Data: 31 ottobre 2009
Pagina: 2
Autore: Marco Zatterin-Ugo Magri
Titolo: «D'Alema in corsa, il governo lo sostiene-Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci»

Su Massimo D'Alema candidato alla poltrona di Ministro degli Esteri dell'Unione europea, riprendiamo la cronaca di Marco Zatterin e un commento di Ugo Magri dalla STAMPA di oggi, 31/10/2009, che ci sembrano riassumere con chiarezza la situazione. Il governo Berlusconi appoggia alla carica chi rappresenta oggi l'opposizione alla sua maggioranza. Un calcolo, una mossa di sottile destrezza, IC non entra nelle pieghe della politica nazionale. Su D'Alema invece, non esistono dubbi su come la pensiamo, uno dei peggiori politici che l'Italia repubblicana abbia mai avuto. Non ci consola neppure il fatto che vada a Bruxelles invece di restare a Roma, i disastri che potrebbe fare alla UE sarebbero anche peggiori. Rappresenta la sopravvivenza del vecchio PCI, il pensiero comunista anti occidentale, il nemico del capitalismo pur godendone tutti i privilegi, esattamente come si comportavano i capi comunisti dell'era sovietica, un mondo che vogliamo credere cancellato dalla caduta dell'Unione sovietica. Lo vedremmo bene in pensione, malgrado non abbia ancora raggiunto l'età, dedito ai viaggi per mare e allo shopping di lusso, come si conviene a chi per tutta la vita ha predicato ideologie dittatoriali guardandosi però bene dall'applicarle. Che vada in Europa o resti qui, sarà una presenza con la quale si dovranno fare i conti. Comunque.
Ecco i due articoli:

Marco Zatterin: " D'Alema in corsa, il governo lo sostiene "

E’ Silvio Berlusconi a confermare indirettamente che l’Italia è in corsa per una delle due poltronissime al vertice dell’Ue. Lo muovono le indiscrezioni secondo cui i leader europei della famiglia socialista avrebbero inserito il nome di Massimo D’Alema nella lista dei papabili a «Mister Pesc», ovvero Alto rappresentante della politica estera dei Ventisette. Insieme con «Mister Ue», il presidente stabile del Consiglio, è uno dei due ruoli chiave creati col Trattato di Lisbona. Per questo il premier ha atteso la conclusione del summit bruxellese per dire che se «emergesse in concreto la possibilità di ottenere l’assegnazione di una di quelle cariche, il governo valuterà con serietà e responsabilità le candidature capaci di assicurare al Paese un incarico di così alto prestigio».
Il messaggio del Cavaliere, «forzatamente assente» dal vertice Ue causa scarlattina, ha un tono scientificamente neutro, ma le interpretazioni convergono nel leggervi un’apertura a un futuro europeo anche bipartisan, come dire che se ci sarà il cavallo non sarà il colore politico ad impedirgli di cavalcarlo. Del resto il medesimo concetto lo ha espresso il ministro degli Esteri Franco Frattini, certo che «non sarebbe mai una questione di opposizione o maggioranza». Non c’è chiusura. D’Alema potrebbe essere sostenuto. Basta aspettare e vedere, non ci vorrà troppo tempo.
Giovedì i leader dell’Ue hanno scritto il compromesso che ha convinto l’euroscettico presidente ceco Vaclav Klaus a mettere la sua firma in calce al Trattato di Lisbona, l’ultima che ancora mancava per l’entrata in vigore delle riforme istituzionali europee. Adesso si può andare avanti. Col rafforzamento delle politiche comuni e, sopratutto, con le attesissime nomine al vertice: il presidente forte che per due anni e mezzo coordinerà le riunioni del Consiglio; e ministro degli esteri, e vicepresidente della Commissione, capo del servizio diplomatico indipendente. Per farla breve, i due che Obama e la Clinton dovrebbero chiamare quando è il tempo di consultarsi con l’Europa.
Socialisti e popolari, i principali gruppo politici del continente, sono orientati a spartirsi le cariche. I primi puntano a Mister Pesc, i secondi a Mister Ue. La procedura prevede che nei prossimi 7-10 giorni, gli sherpa delle due famiglie (più quelli liberali) effettuino delle consultazioni, poi tornino al Consiglio che dovrebbe riunirsi a Bruxelles a cena il 12 novembre (o il 19) per scegliere i due generali. E’ un passaggio complesso, sono tasselli di un puzzle che include Eurogruppo e Bce. Tavoli che interessano anche Roma.
Detto che il presidente dovrebbe essere popolare, il borsino vede il testa il candidato della Merkel, l’ex premier austriaco Wolfgang Schüssel, che potrebbe soddisfare anche ai francesi. Bocciato il lussemburghese Juncker, come Tony Blair, in pole sino a che lo hanno fatto fuori i suoi. In ribasso il premier olandese Jan Balkenende. Tre i nomi per «Mister Pesc», socialista, a quanto pare. Il ministro degli esteri britannico David Miliband (che nega la disponibilità), quello svedese Carl Bildt e l’ex capo della diplomazia transalpina Vedrine. Più D’Alema. Il francese è poco quotato, l’Eliseo non rinuncerà un suo uomo a Bruxelles. L’inglese raccoglie consensi nordici e francesi: gli Esteri a Londra, libererebbero una poltrona economica in carico a Downing Street e molto ambita sulla Senna. Questo lo rende favorito. Per ora.
D’Alema, che risulta sostenuto dai socialisti tedeschi, potrebbe raccogliere favori mediterranei e nell’Est. «Un problema è che lo deve proporre Berlusconi», ha detto Diego Lopez Garrido, lo spagnolo agli affari europei. L’altro è che una sua nomina rispedirebbe a casa Antonio Tajani, appena riconfermato alla Commissione e fedelissimo del premier. Un terzo è che sbarrerebbe la strada di Tremonti all’Eurogruppo, per non parlare di Draghi alla Bce. E’ chiaro che è tutto da giocare. Ma la politica, in Italia come in Europa, è l’arte del possibile.

Ugo Magri: " Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci "

Al cospetto dell’Europa rischia di andare in scena la più classica commedia degli equivoci, con finale esilarante. Già, perché di intenzioni serie dietro le quinte non se ne vede, semmai si assiste a una gara di furbizie in cui per ora vince D’Alema (ma con Berlusconi non si sa mai). Tutto nasce nei giardini di Villa Madama, due settimane fa. C’è un convegno su Fiumicino e Malpensa, Gianni Letta parlotta con l’ex ministro degli Esteri, poi gli fa stringere la mano al Cavaliere, pace fatta dopo mesi di insulti, ed è già una notizia. Salta fuori adesso che l’oggetto dei conciliaboli era proprio l’ipotesi di «Baffino» capo della diplomazia europea. Qualche giorno dopo, stavolta ad Asolo, D’Alema ci torna su con Fini. Il presidente della Camera vede uno spiraglio per una ripresa del dialogo sulle riforme, auspicata pure sul Colle. Ne ragiona col solito Letta e con lo stesso Berlusconi. Il quale peraltro, con chi gli parla ieri mattina, risulta combattuto nell’intimo, incapace di scegliere tra il sì e il no.
Finché D’Alema rompe gli indugi. E verso l’ora di pranzo chiama Palazzo Chigi, «insomma che avete deciso? I giochi stanno entrando nel vivo...». Letta si precipita ad avvertire il Capo, sempre alle prese con la scarlattina. Berlusconi vorrebbe traccheggiare, però il Consigliere gli fa presente che qualcosa dovrà pur dire comunque, magari un’apertura molto cauta, in perfetto stile Prima Repubblica, così nessuno potrà accusare il governo di aver negato all’Italia un’ipotesi talmente prestigiosa, quella di avere appunto il responsabile della politica estera europea. Il comunicato che segue è un piccolo capolavoro di ipocrisia, allude senza impegnarsi. Ma non fa i conti con quel grandissimo paravento di D’Alema. Che ruba il mestiere al portavoce di Palazzo Chigi, Bonaiuti, e dà lui l’interpretazione autentica, «grazie al governo per la candidatura», come se il caro Silvio l’avesse davvero avanzata.
Peccato che in serata, al telefono da Arcore, il premier risulti tuttora in dubbio: «Non ho promesso un bel niente» giura a un amico, «figurati se posso proporre io D’Alema, e poi tutta questa disponibilità socialista a sostenerlo non mi risulta affatto, anzi il contrario, ci penserà l’Europa a bocciarlo...». Come sempre in questi casi, il mondo berlusconiano si spacca come una mela. E invece di aiutare il leader nella sua scelta, i suggeritori gli confondono ancor di più le idee. Su un piatto della bilancia c’è l’ovvio desiderio di metter fine alle demonizzazioni reciproche, tra l’altro segretario Pd è appena diventato Bersani, tutto congiura per il cambio di fase. Un gesto generoso e patriottico aprirebbe un credito politico a favore del Cavaliere. Campa cavallo, obiettano i nemici di D’Alema, quando mai Massimo si è dimostrato grato? Mai fidarsi degli ex comunisti dalla lingua biforcuta.
Insistono i fautori, anche autorevoli, del «via libera»: se dialogo dovrà essere col Pd, caro Silvio, molto meglio che lo conduca tu direttamente con D’Alema, sennò a tessere la tela saranno altri, magari Fini, oppure Bossi, e ti taglieranno fuori. L’argomento non lascia insensibile Berlusconi, uomo sospettoso. Però al tempo stesso molto concreto. Per insediare D’Alema, dovrebbe privarsi di un commissario europeo fedelissimo come Tajani. Che non solo gli cura dossier importanti tipo Alitalia, ma gli fa pure da sentinella contro eventuali blitz anti-Mediaset. A quel punto il Cavaliere resterebbe nudo a Bruxelles dove l’ambasciatore Feroci, ricordano nei Palazzi, fu già capo di gabinetto con D’Alema ministro. Sarebbe come mettersi due volte nelle sue mani.


direttore@lastampa.it

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