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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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A che cosa serve Abu Mazen se tanto comanda Hamas ? 30/10/2009

 Abu Mazen

Si dimette o non si dimette ? Si prepara alle elezioni oppure ha cambiato idea ? Non è facile capire quello che pensa Abu Mazen del suo prossimo futuro. Le elezioni dovrebbero tenersi il 24 gennaio 2010, ma la data è valida soltanto nelle intenzioni del premier palestinese, perchè di tutti gli ostacoli che si frappongono, lui continua a denunciarne solo uno, per di più inesistente. Sarebbe infatti Bibi Netanyahu, che grazie all’accordo con Obama ha potuto evitare il blocco totale delle nuove costruzioni in Cisgiordania, ad impedirle. Non è Hamas, il quale, riconfermandosi a Gaza padrone assoluto, non riconosce ad Abu Mazen nemmeno la qualifica di presidente dimissionario, negandogli di fatto persino la giurisdizione su tutto il territorio. A Gaza comando io, sostiene Hamas, e anche in Cisgiordania, se si votasse, la maggioranza dei voti è difficile che vada al Fatah. Come possa Abu Mazen pensare di poter costitutire un governo con chi non gli riconosce alcuna legittimità lo sa soltanto lui. Non dice neppure che è stato il fallimento della mediazione egiziana, che avrebbe dovuto siglare una specie di tregua tra i due movimenti palestinesi, a far naufragare il progetto elettorale. Nemmeno Mubarak è riuscito a far cambiare idea ad Hamas, nessun accordo è stato possibile, la oggettiva debolezza degli argomenti portati da Abu Mazen non ha fatto altro che aumentare il potere politico del rivale, che è sempre più convinto che è lui da dover tenere il coltello per il manico. Che usa la forza bruta anche contro la propria popolazione, come ha chiaramente dimostrato l’operazione di difesa israeliana a Gaza lo scorso gennaio. Che in aiuto del rais di Fatah, arrivino le telefonate incoraggianti di Obama, sposta di poco la situazione, come non sono serviti gli incontri con gli inviati di Washington. In una regione, dove il grado di civiltà è a livelli decisamente bassi, sono i gradassi della politica a riscuotere successo, il rapimento del caporale Gilad Shalit viene vissuto dai palestinesi come un atto di eroismo, che siano a Gaza oppure a Ramallah, la reazione è identica. E che Israele abbia dovuto liberare una ventina di prigionieri, condannati per atti criminali, pur di avere un breve filmato che almeno dimostra che Gilad è ancora vivo, è stato vissuto come un’altra vittoria di Hamas, non certo di Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. Invece di usare l’arma della democrazia, come fece l’egiziano Sadat, quando capì che non c’era alternativa alla pace se non quella di farla veramente, invece di riconoscere Israele come lo Stato degli ebrei ed accettare di sedersi intorno ad un tavolo con Netanyahu per arrivare a definire tutte le condizioni per rendere possibile la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele, Abu Mazen non ha saputo finora essere altro che la fotocopia del non rimpianto Yasser Arafat, non avendo il coraggio di denunciare i crimini di Hamas a Gaza, la violenza ideologica che ne costituisce la base politica, le alleanze con Siria e Iran per quanto riguarda la fornitura illegale di armi per la ripresa del terrorismo, la sostanziale condivisione, nei territori che sono sotto la sua giurisdizione, di quella cultura dell’odio contro Israele che non fa altro che rafforzare il timore che non sia lo Stato palestinese il progetto al quale tiene, ma sempre e soltanto quanto stava già scritto a caratteri cubitali nella Carta dell’OLP, la distruzione dello Stato ebraico. E’ da biasimare anche per l’uso che fa di tutti gli aiuti che ha a disposizione, provenienti dalle infinite Ong internazionali, che continuano a diffondere grossolana disinformazione contro Israele. Lui grato e consenziente. Se Abu Mazen fosse un nuovo Sadat, le avrebbe già mandate a quel paese, avrebbe dovuto capire che tutte quelle sigle si mantengono in vita soltanto grazie all’odio che fomentano contro Israele, un odio la cui scomparsa cancellerebbe di colpo gli stipendi di decine di migliaia di parassiti che vivono da decenni alle spalle di un conflitto tenuto in vita dalla grande menzogna che la responsabilità del conflitto sia di Israele.

Ma Abu Mazen non è Sadat, non ne ha nè il coraggio nè l’onestà. Andrà avanti, lui e chi gli succederà, cosi come è avvenuto finora, incapace di capire quanto un rapporto di pace con lo Stato ebraico potrebbe essere un esempio e una benedizione prima di tutto per il progredire del suo stesso popolo.


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