Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/10/2009, a pag. 20, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " I due bambini feriti dai missili commuovono Israele e Palestina ".
Pubblichiamo questo articolo in risposta alle persone che accusano Israele di razzismo nei confronti degli arabi. Alla bambina sono garantite le cure e la riabilitazione nell'ospedale di Gerusalemme, anche se arriva da Gaza.
Ecco l'articolo:

Orel e Maria
GERUSALEMME — Ogni tanto Orel, che ha nove anni ma si comporta come un bambino di quattro, salta sul triciclo e schizza giù per il corridoio dell’ospedale di Alin. «Orel, fermati!», gli grida Maria che ha nove anni ma si comporta come una donna di diciotto. Ogni tanto Maria si blocca sul joystick , e la sedia a rotelle non va. Allora è lei a sentirsi la piccola, «vorrei andare alla finestra», perché Orel diventa di colpo un adulto e molla il triciclo e la spinge lui per il corridoio, fino alla vetrata. Ogni tanto s’annoiano, e lì dentro può capitare: accendono la tv, la guardano insieme. I canali israeliani, talvolta i cartoni emiratini. Maria capisce tutto. Orel quel che può: «Ma riesce a ricordarsi qualche parola in arabo. E ride come un matto».
Sono due danni collaterali. Vittime depositate in un reparto di riabilitazione, senz’illusione di riabilitare granché. In comune hanno l’età, la sfortuna e la corsia. Abbastanza, per costruirci un’amicizia. Orel Ilizrov, israeliano di Beer Sheva, nella parte destra del cervello porta la scheggia inoperabile d’un razzo Grad, tirato da Gaza mentre andava in macchina con sua mamma. Maria Aman è una palestinese di Gaza paralizzata dal collo in giù, colpa d’un missile israeliano sparato sull’auto di suo zio. Orel ha perso la memoria, il controllo di metà corpo, scatta come una marionetta, ha crisi nervose e sua mamma Angela a volte fatica a tenerlo: «L’ho aspettato undici anni, l’ho cresciuto per otto, poi Dio me l’ha tolto e siccome piangevo mi ha ridato un altro bambino. Vivo. Ma ferito per sempre». Maria muove solo le fiammelle degli occhi e il sorriso, sta in un involucro di tubi, dipende da un respiratore e certi giorni suo papà Handi le fa il massaggio cardiaco: «Le terapie sono finite, la posso curare solo io. Voglio farla sentire la regina del mondo e ridere fino a sera. La notte vado sul terrazzino dell’ospedale e fumo fino alle 4. Credo sempre d’avere finito le lacrime, invece no». L’amicizia di Orel e Maria è andata in prime time , l’altra sera, e lo scandalo tv della loro felicità ha commosso gli adulti infelici. Nove mesi fa, penultimo giorno della guerra di Gaza, quando lui è arrivato in ospedale, la mamma che è infermiera aveva capito e gridava «è morto!», e anche il neurochirurgo non sapeva che fare: «In America — dice il dottor Moni Banifle — casi così nemmeno li toccano. Io però non sono Dio. Non decido che un bambino deve morire. L’ho operato sei volte. L’ultima scheggia è troppo pericoloso toglierla. Resta solo la riabilitazione, qui dentro». Anche Maria non ha altri luoghi. Due anni fa, quando s’era fatto l’umanamente possibile, qualche burocrate israeliano decise che era ora se ne tornasse a casa sua. Ma un famoso opinionista, Gideon Levy, scatenò il putiferio e partì una sottoscrizione internazionale e il governo fece retromarcia: papà Handi non può pagarsi una casa o un’infermiera, a Gerusalemme, ora la bambina vive col fratellino in ospedale.
I due amici per la pelle (salvata) non si raccontano mai quel che li ha portati a incontrarsi. Sono i genitori a farlo. Le auto ignare, le esplosioni, i morti intorno. Ogni tanto si trovano sul terrazzino, a fumare tutt’e due. La mamma di Orel guarda il papà di Maria e spesso non ce la fa: è pur sempre «di quelli là». Non gli parla, non gli sorride, «mi fa impazzire dover dividere la mia sofferenza con uno di Gaza». Gli chiede rabbiosa: «Ma come fai a stare in mezzo a noi ebrei?». Il papà di Maria è più rassegnato: «Ho lasciato il mio lavoro d’operaio, la mia casa. Tutto. Ma non vivo con gli ebrei che hanno ammazzato mia moglie, mia mamma, mio fratello e il mio primogenito. Sto con quelli che aiutano mia figlia». Dopo l’ultima operazione alla testa, c’è stata una festicciola nella camera di Orel. L’ha organizzata Maria. Ha invitato tutti i bambini ricoverati. C’era il maklube , riso e yogurt, cetrioli e pomodori: «Il nostro piatto preferito». Messo in mezzo e diviso a metà, come le loro piccole vite adulte.
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