lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.10.2009 Succede negli ospedali israeliani
Cure garantite a tutti, anche a chi arriva da Gaza

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 ottobre 2009
Pagina: 20
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «I due bambini feriti dai missili commuovono Israele e Palestina»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/10/2009, a pag. 20, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " I due bambini feriti dai missili commuovono Israele e Palestina ".

Pubblichiamo questo articolo in risposta alle persone che accusano Israele di razzismo nei confronti degli arabi. Alla bambina sono garantite le cure e la riabilitazione nell'ospedale di Gerusalemme, anche se arriva da Gaza.
Ecco l'articolo:


Orel e Maria

GERUSALEMME — Ogni tanto Orel, che ha nove anni ma si comporta come un bam­bino di quattro, salta sul triciclo e schizza giù per il corridoio dell’ospedale di Alin. «Orel, fermati!», gli grida Maria che ha nove anni ma si comporta come una donna di diciotto. Ogni tanto Maria si blocca sul joystick , e la sedia a rotelle non va. Allora è lei a sentirsi la piccola, «vorrei andare alla finestra», perché Orel diventa di colpo un adulto e molla il tri­ciclo e la spinge lui per il corridoio, fino alla vetrata. Ogni tanto s’annoiano, e lì dentro può capitare: accendono la tv, la guardano in­sieme. I canali israeliani, talvolta i cartoni emiratini. Maria capisce tutto. Orel quel che può: «Ma riesce a ricordarsi qualche parola in arabo. E ride come un matto».

Sono due danni collaterali. Vittime deposi­tate in un reparto di riabilitazione, senz’illu­sione di riabilitare granché. In comune han­no l’età, la sfortuna e la corsia. Abbastanza, per costruirci un’amicizia. Orel Ilizrov, israe­liano di Beer Sheva, nella parte destra del cer­vello porta la scheggia inoperabile d’un raz­zo Grad, tirato da Gaza mentre andava in macchina con sua mamma. Maria Aman è una palestinese di Gaza paralizzata dal collo in giù, colpa d’un missile israeliano sparato sull’auto di suo zio. Orel ha perso la memo­ria, il controllo di metà corpo, scatta come una marionetta, ha crisi nervose e sua mam­ma Angela a volte fatica a tenerlo: «L’ho aspettato undici anni, l’ho cresciuto per otto, poi Dio me l’ha tolto e siccome piangevo mi ha ridato un altro bambino. Vivo. Ma ferito per sempre». Maria muove solo le fiammelle degli occhi e il sorriso, sta in un involucro di tubi, dipende da un respiratore e certi giorni suo papà Handi le fa il massaggio cardiaco: «Le terapie sono finite, la posso curare solo io. Voglio farla sentire la regina del mondo e ridere fino a sera. La notte vado sul terrazzi­no dell’ospedale e fumo fino alle 4. Credo sempre d’avere finito le lacrime, invece no». L’amicizia di Orel e Maria è andata in pri­me time , l’altra sera, e lo scandalo tv della lo­ro felicità ha commosso gli adulti infelici. No­ve mesi fa, penultimo giorno della guerra di Gaza, quando lui è arrivato in ospedale, la mamma che è infermiera aveva capito e gri­dava «è morto!», e anche il neurochirurgo non sapeva che fare: «In America — dice il dottor Moni Banifle — casi così nemmeno li toccano. Io però non so­no Dio. Non decido che un bambino deve mori­re. L’ho operato sei vol­te. L’ultima scheggia è troppo pericoloso to­glierla. Resta solo la ria­bilitazione, qui dentro». Anche Maria non ha al­tri luoghi. Due anni fa, quando s’era fatto l’uma­namente possibile, qual­che burocrate israeliano decise che era ora se ne tornasse a casa sua. Ma un famoso opinionista, Gideon Levy, scatenò il putiferio e partì una sot­toscrizione internazio­nale e il governo fece re­tromarcia: papà Handi non può pagarsi una ca­sa o un’infermiera, a Ge­rusalemme, ora la bam­bina vive col fratellino in ospedale.

I due amici per la pel­le (salvata) non si rac­contano mai quel che li ha portati a incontrarsi. Sono i genitori a farlo. Le auto ignare, le esplosioni, i morti intorno. Ogni tanto si trovano sul terrazzino, a fuma­re tutt’e due. La mamma di Orel guarda il pa­pà di Maria e spesso non ce la fa: è pur sem­pre «di quelli là». Non gli parla, non gli sorri­de, «mi fa impazzire dover dividere la mia sofferenza con uno di Gaza». Gli chiede rab­biosa: «Ma come fai a stare in mezzo a noi ebrei?». Il papà di Maria è più rassegnato: «Ho lasciato il mio lavoro d’operaio, la mia casa. Tutto. Ma non vivo con gli ebrei che hanno ammazzato mia moglie, mia mamma, mio fratello e il mio primogenito. Sto con quelli che aiutano mia figlia». Dopo l’ultima operazione alla testa, c’è stata una festicciola nella camera di Orel. L’ha organizzata Maria. Ha invitato tutti i bambini ricoverati. C’era il
maklube , riso e yogurt, cetrioli e pomodori: «Il nostro piatto preferito». Messo in mezzo e diviso a metà, come le loro piccole vite adulte.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT