Riportiamo da LIBERO di oggi, 29/10/2009, a pag. 23, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo "Un documento in tribunale. Generali preoccupati della deriva islamica".
Erdogan
C’è aria di golpe in Turchia. Un documento, firmato dal colonnello Dursun Çiçek, «è nelle mani della giustizia», si è limitato a rivelare nei giorni scorsi ai cronisti il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, precisando che «le forze armate non potrebbero accettare un’onta del genere, se le accuse si dimostrassero vere». È il piano, sequestrato nel corso di una perquisizione, che proverebbe la volontà dei militari di ribaltare il regime. Ad anticiparne l’esistenza, in giugno, era stato il quotidiano Taraf, svelando l’intenzione dell’apparato militare di destituire il partito di governo, l’Akp, colpendo nel frattempo anche le potenti confraternite sufi che fanno riferimento a Fethullah Gülen.
Falso o autentico che sia, l’incidente è riuscito intanto a mettere in contrasto le forze armate e la magistratura. Le prime rivendicano a sé la giurisdizione sul caso, che vede coinvolti alcuni ufficiali dell’esercito turco, mentre i giudici civili non mollano e continuano a indagare.
Ma non è un unico episodio giudiziario a opporre le gerarchie militari, notoriamente contrarie all’influenza islamica nelle istituzioni, e il governo di Erdogan. L’accusa principale nei confronti del primo ministro è politica e riguarda lo scivolamento graduale ma apparentemente inesorabile di Ankara verso il mondo islamico.
Così sembra interpretare la svolta anche il New York Times, che ieri indicava come stiano crescendo le tensioni fra la Turchia e l’Occidente. Iniziando dall’episodio delle manovre militari congiunte fra la Nato e Israele, cancellate all’inizio di ottobre proprio per volontà del governo di Ankara, il quotidiano statunitense risale fino all’incidente del gennaio scorso, quando Erdogan aveva affrontato duramente il presidente israeliano Shimon Peres davanti alla platea internazionale dei leader mondiali, a Davos, in Svizzera, puntando il dito contro Gerusalemme a proposito del conflitto a Gaza.
La fonte di preoccupazione maggiore riguarda comunque i rapporti con Teheran, particolarmente per la difesa da parte di Erdogan del programma nucleare iraniano.
A disancorare la Turchia dall’Occidente, contribuiscono anche alcune decisioni di politica economica. In occasione di un suo viaggio a Mosca lo scorso febbraio, il presidente turco, Abdullah Gül aveva concordato con il governo russo che le transazioni tra i due Paesi sarebbero avvenute nelle rispettive valute nazionali. Ieri, durante una visita a Teheran, è giunto l’annuncio di Erdogan che sarà adottata la nuova lira turca nelle transazioni commerciali con l’Iran, che precedentemente avvenivano in dollari o in euro. E, prossimamente, un accordo simile sarà siglato anche con la Cina.
Quali successi economici e politici possa ottenere il voltafaccia, è un argomento controverso. Ieri, sia la Confindustria turca che gli analisti finanziari dell’agenzia di rating internazionale (Fitch) hanno fornito chiavi di lettura diverse sulla crisi economica attraversata dalla Turchia e soprattutto sul futuro a breve. La Tisk (influente confederazione dei datori di lavoro turchi) ha, in un certo senso, ridimensionato le ottimistiche analisi degli scorsi giorni relativamente all'uscita dal tunnel per l'economia locale. Per gli imprenditori turchi, la disoccupazione e il calo della produzione industriale dureranno per almeno un altro anno colpendo in special modo alcuni sub-settori industriali particolarmente esposti verso l'estero. Fitch è pronta invece a rivedere positivamente il rating sul debito turco (attualmente BB-) in considerazione della capacità di reazione dimostrata dal Paese nella difficilissima fase congiunturale attraversata.
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