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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.10.2009 Marc Chagall, il violinista sul tetto
Articoli di Wanda Lattes, Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 ottobre 2009
Pagina: 42
Autore: Wanda Lattes - Francesco Battistini
Titolo: «Chagall, bagliori di poesia - L’imbianchino di Dio e la sua Bibbia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/10/2009, a pag. 42, l'articolo di Wanda Lattes dal titolo " Chagall, bagliori di poesia  " e quello di Francesco Battistini dal titolo " L’imbianchino di Dio e la sua Bibbia ". Ecco i due articoli:

Wanda Lattes : " Chagall, bagliori di poesia "


Che cosa direbbe Marc Chagall se, ancora vivo all’età di oltre centodieci anni, potesse venire a Pisa per visitare la mostra che, nel Palazzo Blu, presenta 150 sue opere, tra dipin­ti, sculture, ceramiche e litografie? Quale sarebbe la reazione di fronte all’impresa che ha spinto gli ordinatori, Claudia Bel­tramo Ceppi e Meret Meyer, a trovare un titolo tanto ambizio­so come Chagall e il Mediterraneo?
Indagherebbe, con quella sua intelligente, colta curiosità, sulla storia che permette a Pisa di considerarsi, anche ora che è preziosa terraferma, una capitale di quel mare cui allude il titolo? E si commuoverebbe ancora una volta al ricordo del primo lontanissimo incontro con il mare, lui ventiseienne fi­glio del gelo di una steppa russa, lui che nella cultura trovava la forza di attraversare l’Europa per conoscere «l’azzurro inef­fabile » cantato da Puskin? L’attenzione richiesta dalla mostra, allestita sul lungarno pisano, non può essere affrontata con un opportuno animo critico se non si lascia bruciare, almeno per un poco, il fuoco delle domande nate di fronte al titolo stesso.
Quando nel 1972 si inaugurò a Nizza la mostra dei suoi 17 dipinti ispirati dalla Bibbia, Chagall disse, sicuro e netto ad André Malraux: «Il testo sacro è la più grande fonte di poesia di tutti tempi». E infatti a quella fonte continuò sempre a ritor­nare, in tante opere fondamentali sparse per l’Occidente.
Del mare, però, l’artista non ha mai parlato esplicitamente. Come potrebbe commentare, dunque, questa rassegna pisana che suggerisce una lunga passione per un mondo che non è il suo? Un mondo che non sembra naturale per il colto ebreo russo divenuto parigino, tanto lontano dal suo cosmopoliti­smo sensuale quanto da quella isba dell’infanzia, immersa nel gelo invernale, a Vitebsk in Bielorussia, dove la luce era poca e il pane nero aiutava appena ad apprezzare le aringhe affumica­te (la stessa isba rievocata tante e tante volte, con amore osses­sivo)? Che cosa c’entra, insom­ma, Chagall, con il nostro mare?
La mostra
Chagall e il Medi­terraneo non può quindi non provocare, sulle prime, un certo smarrimento. Presto superato grazie alle spiegazioni dei cura­tori che, attraverso un ordina­mento rigoroso delle opere e un catalogo (edito da Giunti) ricco di informazioni e commenti, conducono per mano il visitato­re nel Mediterraneo, in Grecia, in Israele sulle orme dell’arti­sta.
A capire l’amore di Chagall per la Grecia e per il suo cielo, il suo mare, la sua luce — un amore dapprima legato soltanto al valore dell’arte antica — ci aiuta il racconto dell’amicizia con l’autore-editore greco Triade, e il soggiorno ad Atene, Delfi, Poros. I quadri, e poi le litografie, ci trasmettono infatti il so­gno di Icaro, il mito di Dafni e Cloe, ma anche gli innamorati di Vitebsk, uniti nella fantasia della luce. Senza dimenticare l’idillio di Chagall con la Terra Santa, raggiunta — guardacaso — con un viaggio in nave sul Mediterraneo, che lo porta a riconoscere e interpretare
Il Muro del Pianto , o il Sacrificio di Isacco , ma anche a ricordare la Sinagoga di Vilno bruciata dai nazisti.
Il viaggio sulle onde e nella luce che la mostra cerca di teo­rizzare approderà al Mediterraneo della sua casa a Nizza, e alla Costa azzurra, passando tra meravigliosi mazzi di fiori, sogni dell’unica donna veramente amata, la sua Bella, e rievocazioni di quello che ora chiameremmo l’imprinting, l’Adamo nudo, o il Mosè che abbraccia le Tavole. Linee libere, colori decisi, quasi sempre «schiaffati», senza incertezze, su quello sfondo blu che il pennello di Moshe Segal, in arte Marc Chagall, offre inesauribile, intarsiandolo spesso con figurine oniriche.
Il mare, il Mediterraneo, si muove per decenni davanti a quegli occhi chiari, all’interno di quella testa piccola e aggra­ziata che la vecchiaia non sciuperà. È dentro al sogno, inces­sante, di un una stirpe esule, deportata, ma non schiava del­l’oblio. Anche se, forse, il mare lo vediamo raffigurato soltan­to in uno dei quadri in mostra, in una scena tranquilla, sulla
costa italiana, a Petra Cava.

Francesco Battistini : " L’imbianchino di Dio e la sua Bibbia "

 

«Enigmatico. Poeti­co. Impalpabile » . Francamente, dice Ziva Amishai di Marc Chagall, era uno che spiazza­va. L’ultima volta che venne in Israele, 1977, Ziva se la ricorda be­ne: grandi onori per i novant’an­ni, retrospettiva, cittadinanza ge­rosolimitana e laurea honoris cau­sa assieme a Harold Wilson, l’ex premier inglese... «Chagall aveva già fatto decine di viaggi, qui. Ma era un entusiasta di tutto. Ogni co­sa lo stupiva. Un giorno, andam­mo a vedere una fattoria. Si fer­mò davanti a una mucca, come fosse la cosa più straordinaria. Esclamò con ironica meraviglia: 'Guarda, una mucca ebrea!'». Una cosa che avrebbe potuto dire anche nel ’31, la sua prima volta in Palestina. Perché Chagall ha sempre dipinto le mucche («le amo molto»). «E perché era pe­rennemente alla ricerca delle sue radici ebraiche: vedeva nel Medio Oriente, in ogni angolo, un luogo in cui i suoi avi avevano vissuto e sofferto».
Il pittore sionista. L’imbianchi­no di Dio. Ci fu uno Chagall inna­morato d’Israele, e delle origini bi­bliche, che certa critica ha un po’ evitato e per ragioni non solo arti­stiche. C’è un’ebraicità insistita che turbò, e spinse a polemizzare, il cattolico Giovanni Testori. È tut­to ciò che invece affascina Ziva Amishai, 70 anni, storica anima­trice della Bezalel Academy di Ge­rusalemme, studiosa e testimone delle immersioni che l’artista si concedeva nella terra degli avi.
«Chagall aveva molti amici. I suoi appuntamenti erano Teddy Kol­lek, il sindaco di Gerusalemme che aveva trasferito di personale sue opere da Parigi in città, por­tandole dentro cinque valigie. O Abraham Sutzkever, il poeta, bie­lorusso come lui. O Reuven Ru­bin, il pittore più vicino alla sua arte. Li vedeva, ma non divideva la loro casa: preferiva stare in ho­tel. Scendeva spesso all’American Colony. Solo la prima volta accet­tò d’essere ospite di Meir Dizen­goff, il sindaco di Tel Aviv che amava attirare artisti in Palestina, perché trovassero ispirazione».
Chagall non faticò a trovarla, l’ispirazione. «Sono un piccolo ebreo di Vitebsk — si chiedeva
—, che vado a fare in Palestina?». Girò tra Haifa e il lago di Tiberia­de, s’appassionò ai kibbutz e alla cabala. «Dipinse il giudaismo che gli era familiare — spiega la pro­fessoressa Amishai — e che prese come base per esplorare la Terra­santa. Riprodusse luoghi che ave­vano per lui un significato perso­nale, come la Porta dell’Immondi­zia, la piccola e modesta sinagoga di Hagoral». Lasciando capolavo­ri come le vetrate bibliche del­l’ospedale Hadassah, «dodici fine­stre attraverso le quali passa una cosa mistica». O le decorazioni della Knesset, il Parlamento israe­liano: «Un’idea meravigliosa. Alla Knesset, c’è tutto Chagall conden­sato: gli arazzi, ispirati alle sue il­lustrazioni della Bibbia, si rifanno alla storia del popolo ebreo; il mo­saico murale del Parlamento è una rappresentazione del Muro del Pianto; i mosaici del pavimen­to riprendono le opere del primo viaggio in Palestina e gl’interni delle sinagoghe di Safed e di Geru­salemme. La Chagall Room è l’uni­ca sala del Parlamento dedicata a un artista. Perché qui ha fuso il bi­blico e il moderno, Re Davide e il popolo d’Israele, la tradizione ebraica e la cittadinanza israelia­na. Ma non ha usato gli occhi d’un pioniere: l’idea è di trasmet­tere un senso di pace».
Una pace sognata, non pensa­ta: «I suoi sentimenti politici era­no fortemente pro-israeliani e an­tiarabi. Ma non perché ce l’avesse con l’Islam. Non si poneva in uno scontro di religioni. Solo, vedeva la storia come un cammino di sal­vezza del suo popolo. Una volta, andò al Cairo a vedere le pirami­di. Ma rifiutò di continuare il viag­gio in Egitto: 'Non mi disturbo per dei Faraoni che hanno fatto i progrom contro i miei avi!'. Iro­nizzava sul messaggio della sua opera: 'Chagall... chi può capire Chagall?', diceva a chi gli chiede­va un’interpretazione». Lo capiva­no in molti, invece. Quindici anni dopo la morte, una sera di giu­gno, un dipinto sparì dal Jewish Museum di New York. I ladri si fe­cero vivi con una lettera all’Fbi. Non volevano soldi: lo
Studio per ’Sopra Vitebsk’ , troppo sconvol­gente, sarebbe stato restituito so­lo in cambio della pace in Medio Oriente. Il quadro ritornò pochi mesi dopo. La pace, si sa.

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