Israele come l'Iran. Un paragone assurdo e inaccettabile Che ha trovato spazio sulle pagine del quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto Data: 27 ottobre 2009 Pagina: 9 Autore: Giuseppe Cassini Titolo: «Sulle orme di Israele»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 27/10/2009, a pag.9, l'articolo di Giuseppe Cassini dal titolo " Sulle orme di Israele ".
La tesi assurda di Giuseppe Cassini sul nucleare iraniano è che " l’Iran non fa altro che ripercorrere il precedente israeliano ". Cassini scrive di una presunta intesa segreta (ma se è segreta come può Cassini esserne a conoscenza?) fra Stati Uniti e Israele che avrebbe permesso, negli ultimi 40 anni, allo Stato ebraico di dotarsi di un arsenale nucleare. Ammesso e non concesso che Israele sia in possesso di una bomba atomica, la differenza con il caso iraniano è sostanziale. Israele è un paese che, fin dal momento della sua nascita, è stato minacciato di distruzione dagli Stati limitrofi. Inoltre il presunto nucleare israeliano non rappresenta una minaccia per nessuno Stato. Quello iraniano lo è, e non solo per Israele. Gli Usa e l'Occidente non sono altro che i prossimi bersagli. Per queste motivazioni il paragone di Cassini non regge. E' ridicolo e tragico mettere sullo stesso piano uno Stato democratico con una dittatura retta da un governo criminale. Ecco l'articolo:
La favola del nucleare pacifico iraniano...solo il quotidiano comunista se la beve ancora
È da 40 anni esatti che gli Usa rispettano fedelmente un’intesa segreta, in forza della quale Washington si astiene dal porre agli israeliani domande «indiscrete» sull’arma letale e Israele si astiene dal rivelare pubblicamente di possederla. Dopo lo scacco di Suez (1956) la Francia aveva aiutato gli israeliani a dotarsi della tecnologia nucleare, poi si era presa spavento e aveva richiesto loro di aprirsi ad ispezioni internazionali. Nel 1960 Ben-Gurion concluse conDeGaulle un compromesso: i francesi non avrebbero insistito con la richiesta di ispezioni internazionali e gli israeliani avrebbero bloccato l’arricchimento dell’uranio (la centrale di Dimona – dichiarò Ben- Gurion a dicembre – sarà un centro di ricerca finalizzato a «scopi pacifici»). Anche gli Usa, contrari ad ogni proliferazione, si erano mostrati preoccupati; eppure la Cia non riuscì a comprovare nulla fino al 1968, quando ormai le prime bombe atomiche entravano in produzione. Gli israeliani erano riusciti ad ingannare due tra i migliori servizi di spionaggio del mondo. E agli americani rimase solo da concludere una patetica intesa «don’t ask, don’t tell», siglata con una stretta di mano tra Nixon e Golda Meir il 25 settembre 1969. Ora l’Iran non fa altro che ripercorrere il precedente israeliano: con una variante, però, degna di un fine scacchista. Attento a non violare in modo patente il Trattato di Non Proliferazione di cui è parte, sta sviluppando la tecnologia nucleare fino a raggiungere la fase in cui – con un’ultimamossa – sarebbe in grado di passare repentinamente dal civile al militare. A quel punto l’Iran avrebbe modo di ottenere due successi perseguiti da tempo: uno, farsi riconoscere dagli Stati uniti e dai loro grandi alleati sunniti (Turchia, Arabia Saudita, Pakistan) lo status di potenza regionale; due, avvalersi della sua potenziale force de frappe per costringere tutti quanti ad aprire il tavolo di disarmo nucleare del Medio Oriente. Suonerebbe strano che Obama – intenzionato a passare alla storia come il «presidente del disarmo nucleare» – non afferrasse l’occasione. E infatti ha dato due primi segnali di apertura: primo, accettare un dialogo diretto con le delegazioni iraniane a Vienna; secondo, astenersi invece di votare contro una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu che invita tutti gli stati del Medio Oriente (leggasi Israele) ad accedere al Trattato di Non Proliferazione e a denuclearizzare la regione. Ora si attende da Washington un terzo segnale: superare la formula ipocrita concordata 40 anni fa da Nixon e Golda Meir. Ma a che serve – obietterà qualcuno – svelare pubblicamente un segreto di Pulcinella? Servirebbe, eccome, per dare una mano a risolvere il nodo spinoso del build-up nucleare iraniano. Perché la strategia del disarmo propugnata da Obama richiede che tutti gli attori giochino a carte scoperte; ed ostinarsi nei riguardi d’Israele a «non domandare, non svelare» regala una carta preziosa agli iraniani per proseguire nella loro tattica dissimulatoria.
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