Una sentenza che, purtroppo, non farà nemmeno più discutere. Nessuna giustizia, nemmeno postuma, per le vittime schiave dei lavori forzati di Hitler. Il racconto di Claudio Laugeri, sulla STAMPA di oggi, 23/10/2009, a pag. 21, con il titolo " Nessun risarcimento agli schiavi di Hitler".
TORINO
Prescrizione, come se fosse un furto d’auto. Così ha deciso il giudice del tribunale civile di Torino. Ma la questione riguarda la richiesta di risarcimento dei danni degli «schiavi di Hitler», 150 ex deportati in campi di lavoro negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale.
La vicenda giudiziaria va avanti da dieci anni, sostenuta dall’avvocato torinese Luca Procacci. «E non è ancora finita, l’ultimo treno della giustizia non si fermerà al tribunale di Torino» annuncia il legale che ha dedicato un libro («Il male dimenticato») a questo «schiaffo ricevuto da persone strappate alle famiglie per diventare schiave del Terzo Reich e che non riescono nemmeno a ricevere un risarcimento dalla Germania per quanto hanno subìto». In aula hanno chiesto un milione ciascuno.
L’ultimo colpo agli ex deportati e alle loro famiglie arriva dalla sentenza scritta dal giudice Francesco Eugenio Rizzi: 52 pagine per motivare la bocciatura delle richieste dell’avvocato Procacci. E questo sulla base della premessa: «Soltanto i reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo sono imperscrittibili, mentre tutti gli altri sono soggetti a prescrizione». A poco è servito spiegare che le sevizie subìte nei campi erano collegate ad altre mostruosità, come gli omicidi di massa. Perché «non riferite ad alcuno specifico soggetto» e anche perché non è dimostrato che «gli internati siano stati soggetti passivi della fattispecie di omicidio plurimo volontario, con relativa aggravante dell’uso di sevizie». In più «la deportazione e l’assoggettamento al lavoro forzato in condizioni di schiavitù non sono reati contemplati né dal codice penale né dal codice penale militare di guerra». Ma anche nell’ipotesi di considerare reati simili - come la riduzione in schiavitù e la costrizione a compiere lavori vietati - la prescrizione è di 20 anni. Secondo il giudice l’azione legale è stata avviata con trent’anni di ritardo.
Sconforto
«Non c’è giustizia a questo mondo», commenta Maurilio Borello, 85 anni. Era nel campo di lavoro di Gaggenau, 13 mesi dal giugno ‘44 alla fine della guerra. Fino a poco tempo fa era costretto a dormire legato: «Di notte mi alzavo, scappavo dal letto pensando al lager. Sono caduto più volte, alla fine sono stato costretto a legarmi». Per Ottavio Allasio, 81 anni, deportato a Schirmen Vorbruc, la sentenza «è la dimostrazione che la vita umana vale solo se porta convenienza a qualcuno. E’ una sentenza schifosa, non ho timori a dirlo. Mi processino pure, con quello che ho passato non sarà certo questo a spaventarmi».
Rincara la dose il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Roberto Cota, che ha sempre sostenuto la causa degli ex deportati. «La sentenza lascia davvero l’amaro in bocca a chi ha sempre seguito la vicenda. E soprattutto lascia con la morte nel cuore le vittime di quella deportazione. Che un tribunale faccia venir meno il principio di umanità e inviolabilità dei diritti dell’uomo, in nome di un tecnicismo giuridico, è un fatto che non può che deludere coloro che credono nella giustizia».
Ora Procacci punta sulla sentenza del 2004 della Cassazione quando si riuscì «a far processare lo Stato tedesco in forza della supremazia del principio universale dell’inviolabilità dei valori fondamentali dell’uomo. E proprio questo principio dovrebbe ribaltare la tesi della prescrizione nei successivi gradi di giudizio».
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