Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/10/2009, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Nell'islam è scoccata l'ora del profitto ".
Vali Nasr, autore del saggio Forces of Fortune
Il mondo dell’Islam è una delle economie emergenti del Pianeta grazie all’affermarsi di un’operosa classe media protesa al business, che favorisce anche l’affermarsi del pluralismo di opinioni. Non è una previsione futurista ma la meticolosa descrizione di quanto sta avvenendo fra il Marocco e l’Indonesia contenuta nelle pagine di «Forces of Fortune» (Le forze della fortuna), l’ultimo saggio di Vali Nasr, l’accademico iraniano-americano al quale l’inviato dell’amministrazione Usa in Afghanistan Richard Holbrooke ha affidato il delicato dossier dei rapporti con gli ayatollah di Teheran.
Il pensatoio di politica estera
Da quando è stato chiamato al Dipartimento di Stato, Vali Nasr, nome di punta del «Council on Foreign Relations», è quasi scomparso dalla circolazione. Non risponde alle telefonate, non si fa vedere ai convegni ed esita a parlare ai media perché sa che ogni sua parola riflette quanto sta avvenendo dentro il pensatoio di politica estera dell’amministrazione Obama. Da qui la curiosità, quasi morbosa, con cui diplomatici, storici e analisti di Medio Oriente aspettavano il volume di 308 pagine pubblicato da Free Press. E Vali Nasr, 49 anni, non ha deluso le attese, perché il libro è un’esposizione dettagliata di una miriade di fatti, nomi e numeri, per avvalorare una tesi inedita: «Nell’Islam è scoccata l’ora del profitto, che è da sempre il migliore alleato dell’Occidente». Com’è avvenuto in Cina.
I progetti turistici
Per arrivare a questa conclusione Nasr apre il blocco di appunti accumulati in undici mesi di viaggi nel mondo arabo-musulmano e racconta la vitalità di un sistema finanziario composto da oltre 300 banche che operano in 75 Paesi gestendo 500 miliardi di dollari. «Il Pil 2008 di Egitto, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e Turchia sommati è stato di 3,3 trilioni di dollari, pari a quello dell’India», afferma l’autore, sottolineando che i cinque Paesi musulmani che crescono più in fretta sommano «480 milioni di abitanti, un terzo di quelli dell’India» e dunque la loro produttività pro capite è molto più alta. Andando oltre il già noto boom di investimenti ad Abu Dhabi, Nasr ci fa sapere che nell’Iraq del Sud fervono progetti turistici per competere con le isole turche, mentre i prodotti islamici - dalla carne halal all’hijab, a particolari profumi - registrano consumi in aumento «da San Paolo a Singapore». Insomma, i musulmani - arabi o no - costituiscono un motore della crescita planetaria in questa fase di recessione «anche se in America e in Europa per economie emergenti si intendono Russia, Cina, India e Brasile». Al centro di questo fenomeno c’è il polmone iraniano: i commercianti del bazaar si sono evoluti, il persiano è la terza lingua per numero di utenti su Internet, gli iraniani con un cellulare sono 48 milioni, e moltiplicano gli scambi in tutte le direzioni.
Oltre le divergenze ideologiche
Con l’Asia Centrale il volume d’affari è raddoppiato rispetto al 2001, con l’Iraq è di 4 miliardi di dollari, con gli Emirati di 14. Per Nasr «si fa largo una classe media produttiva che pensa a vendere, acquistare e commerciare» e dunque «è il naturale interlocutore di un Occidente che quando parla di Islam vede solo fondamentalismo e terrorismo, che pure esistono». Senza contare che nel boom degli scambi il petrolio ha un ruolo molto minore, a conferma che la classe media vuole fare affari stando lontano dai pozzi degli sceicchi. Leggendo il libro del più stretto consigliere di Holbrooke - il diplomatico cui Obama ha assegnato la gestione di Afghanistan e Pakistan - si comprende perché il Presidente nei discorsi di Ankara e del Cairo abbia puntato a dialogare con l’Islam sui «problemi comuni da risolvere», guardando oltre crisi regionali e diatribe ideologiche.
Il doppio fallimento
Le «forze della fortuna» economica, scrive Nasr, si sprigionano con maggiore vivacità perché «nel mondo dell’Islam, dopo il fallimento del secolarismo di Atatürk e Reza Pahlavi come del fondamentalismo di Khomeini e Bin Laden, è iniziata la stagione del pluralismo».
Per descriverla sceglie quattro personaggi televisivi che non potrebbero essere più differenti. L’egiziano Amr Khalid è l’ex contabile che conduce lo show «Appello alla coesistenza», trasmesso su quattro stazioni satellitari arabe, dando voce a un «Islam modernizzato» che, fondendo fede e nuovi media, «è quanto di più simile esiste fra i musulmani a un telepredicatore americano». Se Khalid invita i telespettatori a dialogare con l’Occidente, sul fronte opposto c’è lo sceicco Yusuf Qaradawi, imam dell’Università del Cairo Al’Azhar, sostenitore di Al Qaeda e degli attacchi kamikaze, che dagli schermi di «Shaaria e Vita» - su Al Jazeera - inneggia a Saddam, insulta gli sciiti e sprigiona odio antiebraico.
I duelli nell’etere
Per Nasr la novità sta nel fatto che Khalid e Qaradawi duellano nell’etere, creando una dialettica vivace che svela l’esistenza di un confronto aperto sull’identità islamica. Ci sono poi il predicatore turco Fethullah Gulen, che diffonde i suoi popolari sermoni laici finanziati dai proprietari belgi delle golose praline di Godiva, e il giovane guru saudita Ahmad al-Shugari, che sfrutta lo show «Yalla Shabab» per incitare i coetanei a un «risveglio religioso» che comporta l’allontanamento dal wahabismo, la fede ufficiale del regno. «Bisogna andare incontro a questo Islam mosso dal profitto» conclude Nasr, lasciando intendere di che cosa parla con Holbrooke, Hillary e Obama.
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