Se spara l'Egitto contro i clandestini, il quotidiano comunista tace e dà la colpa a Israele
Testata: Il Manifesto Data: 20 ottobre 2009 Pagina: 7 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Il sudanese ignoto - L’unità speciale Oz a caccia di 'illegali'»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 20/10/2009, a pag. 7, due articoli di Michele Giorgio titolati "Il sudanese ignoto " e " L’unità speciale Oz a caccia di 'illegali' ". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti.
" Il sudanese ignoto "
L'articolo denuncia il trattamento riservato ai clandestini fra Egitto e Israele. Le autorità egiziane sparano a vista a chi tenta di oltrepassare la frontiera. Secondo Giorgio la responsabilità è dello Stato ebraico : " Al contrario,(le autorità israeliane) appaiono soddisfatte dal lavoro che fanno gli egiziani «per garantire la sicurezza ». «La carneficina si è aggravata nel 2007 – spiega Sigal Rosen, – quando Israele ha fatto la voce grossa con il Cairo affinché venissero fermati gli ingressi clandestini di sudanesi e altri africani. L’Egitto da allora applicamisure durissime con il plauso dei governanti israeliani. ". E' normale che sia possibile entrare in uno Stato in maniera non regolare e non conforme alle leggi ? Se poi l'Egitto spara sui fuggiaschi, la responsabilità non è di Israele, ma di Mubarak. Perchè Giorgio non lo specifica? Non ci sorprende il fatto che la denuncia arrivi da " Moked-Hotline for migrant workers ", che èuna coalizione di otto associazioni israeliane che cercano di tutelare i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo politico. Una delle ennesime ong israeliane con il mirino puntato solo su Israele. Niente di strano se Giorgio la cita come fonte autorevole. Ecco l'articolo:
Kibbutz Hatzor
Fino a qualche tempo fa Hatzor, nel sud di Israele, era noto solo per essere stato uno degli ultimi kibbutz ad abbandonare il socialismo per «l’economia di mercato» e per aver dato nome ad un’importante base aerea situata a qualche chilometro di distanza. Qualcuno lo conosce anche perché ha ospitato per qualche tempo Uri Geller, il «sensitivo » israeliano che gira da tre decenni per il mondo cercando di far credere di poter piegare con la forza della mente cucchiai e forchette. Oltre a ciò sono ben pochi imotivi per parlare di Hatzor. Eppure il nome di questo kibbutz, dove vivono poco meno di 600 israeliani e qualche decina di «volontari» stranieri, da un paio di anni appare occasionalmente negli articoli sui migranti uccisi alla frontiera tra Israele ed Egitto. Appare con discrezione, senza far clamore. Ad Hatzor infatti sono stati sepolti dal 2007 a oggi almeno 25 sudanim almonim, sudanesi ignoti, migranti forse non solo del Sudan, uccisi negli ultimi due anni dal fuoco delle guardie di frontiera egiziane. I corpi senza vita ritrovati sul versante israeliano vengono portati prima a Bersheeva e poi ad Hatzor. Il cimitero all’esterno del kibbutz, destinato ad atei, laici e sconosciuti non è segreto e neppure nascosto. Ma non è accessibile senza l’aiuto degli abitanti e noi non troviamo disponibilità tra le rare persone che incontriamo lì intorno. «Quelli del kibbutz sono tutti al lavoro» ci dice un uomo alla guida di un fuoristrada, consigliandoci di dare un’occhiata da lontano. Lo facciamo e ci sembra di scorgere tra le tombe anche quelle dei sudanim almonim, piccoli cumuli di terra come quelli ritratti nelle foto scattate dai ricercatori di Moked-Hotline for MigrantWorkers, una coalizione di otto associazioni israeliane che cercano di tutelare i diritti deimigranti e dei richiedenti asilo politico. Ad un responsabile del kibbutz ci sarebbe piaciuto chiedere conferma delle indiscrezioni che descrivono la sepoltura dei migranti uccisi sul confine come un «business» per Hatzor, pagato dallo stato per questo «servizio funebre ». Un dato comunque è certo. Quelle tombe rappresentano solo una minima parte dei sudanesi, eritrei e altri africani che cadono sotto il fuoco dei militari egiziani, solerti esecutori dell’ordine ricevuto dai loro comandanti di impedire ai migranti l’ingresso clandestino in Israele. Secondo statistiche ufficiali ma parziali, nel 2007-08 sul lato egiziano del confine sono stati uccisi una quarantina di africani. Quest’anno almeno 16. Settembre è stato uno dei mesi più insanguinati. «Il numero delle vittime è molto più alto – dice al manifesto Sigal Rosen, portavoce di Moked – sono convinta che tanti altri migranti siano stati colpiti a morte ma non riusciamo a saperlo perché le autorità egiziane non lo dicono. E non dimentichiamo che tanti altri vengono feriti o arrestati ». E se a sparare sono gli egiziani, gli israeliani non restano a guardare, anche se hanno firmato le convenzioni internazionali sull’asilo politico. Imigranti catturati nel Neghev - tranne, pare, un numero limitato di quelli provenienti dal Darfur - vengono immediatamente rispediti in Egitto dove, dopo un processo sommario e una detenzione durissimasono obbligati a tornare nei loro paesi d’origine. Le ong israeliane del settore denunciano quanto accade alla frontiera, hanno anche presentato un appello alla Corte Suprema, ma le autorità di governo si guardano bene dall’aprire bocca. Al contrario, appaiono soddisfatte dal lavoro che fanno gli egiziani «per garantire la sicurezza ». «La carneficina si è aggravata nel 2007 – spiega Sigal Rosen – quando Israele ha fatto la voce grossa con il Cairo affinché venissero fermati gli ingressi clandestini di sudanesi e altri africani. L’Egitto da allora applicamisure durissime con il plauso dei governanti israeliani. Diversi nostri uomini politici hanno espresso apprezzamento per la collaborazione dell’Egitto alla frontiera tra i due paesi». Coloro che si avvicinano al confine (lungo 250 km) quindi rischiano la vita. Non importa se fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla morte. Poco importa se sono donne e bambini. A nulla sono serviti gli ultimi appelli a fermare le uccisioni rivolti da Amnesty international e Human rightswatch (Hrw) all’Egitto e, indirettamente, a Israele. Le raffiche contro i migranti non cessano. E in risposta alla critiche, il portavoce del ministero degli affari esteri egiziano, Houssam Zaki, ha difeso l’uso della forza letale contro persone che pure non minacciano in alcun modo i militari. «Abbiamo il diritto e il dovere di proteggere la frontiera del nostro paese dalla criminalità, dal traffico di armi e dal contrabbando», ha dichiarato Zaki, aggiungendo che i migranti uccisi «non avevano rispettato l’intimazione a fermarsi fatta dai soldati». Più esplicito è stato lo scorso 9 settembre, sulle pagine del quotidiano al Masry al Youm, il governatore del Sinai, generaleMohammed Shousha. «Non è sbagliato aprire il fuoco – ha detto – intimare l’alt non serve amolto perché (imigranti) non si fermano e provano sempre ad entrare in Israele». La cooperazione al confine tra Tel Aviv e il Cairo quindi non è limitata alla chiusura che soffoca la Striscia di Gaza. Include anche il blocco di povera gente proveniente da Sudan, Eritrea e altri paesi dell’Africa subsahariana alla ricerca di una vita migliore o dell’asilo politico. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, da 2 a 3 milioni di cittadini sudanesi, in buona parte migranti ma anche rifugiati in fuga dalla persecuzione, si trovano in Egitto. L’aumento dei morti alla frontiera peraltro indica un mutamento delle rotte della migrazione africana, dopo che la strada verso l’Europa si è fatta più difficile, anche a causa degli accordi tra Italia e Libia. Per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, attualmente gli eritrei rappresentano il gruppo nazionale più numeroso tra i migranti che cercano di entrare in Israele. Sanno di poter morire eppure non rinunciano ad infiltrarsi in quello che considerano un pezzo d’Europa in Medio Oriente.
" L’unità speciale Oz a caccia di 'illegali' "
L'articolo descrive l'unità speciale OZ, nata con lo scopo di trovare clandestini in Israele e espellerli dallo Stato. Non comprendiamo il motivo dell'utilizzo delle virgolette nel titolo. L'articolo specifica con chiarezza chi sono gli illegali (gente col visto di ingresso scaduto, senza visto, clandestini). In qualunque Stato i clandestini, quando trovati, vengono espulsi. Non vediamo motivo di tanta indignazione. Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
Dopo appena tre mesi di lavoro, l’Alto funzionario del ministero dell’interno Tziki Sela pochi giorni fa ha rassegnato le dimissioni.Ma nei sobborghi più poveri di Tel Aviv e delle cittadine emarginate nel nord e nel sud del paese nessuno se l’è sentita di festeggiare l’evento. In attesa del suo nuovo comandante, l’unità speciale «Oz» creata da Sela continuerà a dare la caccia a migranti e lavoratori senza permesso. Dal primo luglio a oggi, la «Oz» ha avuto modo di «mettersi in luce» per aver individuato un gran numero di stranieri che si trovavano illegalmente in Israele: almeno 220 nelle prime due settimane di lavoro. Fra questi non pochi sono già stati espulsi, mentre gli accertamenti proseguono ovunque. In pericolo anche 1.200 bambini, figli di lavoratori stranieri. Il ministro dell’interno Eli Yishai (del partito ultraortodosso dello Shas) intende espellerli alla fine dell’anno scolastico, ma il governo non ha ancora preso una decisione definitiva. L’incertezza ha scatenato la protesta di Yishai che ha minacciato di lasciare l’incarico se l’esecutivo non approverà il suo piano di individuazione ed espulsione dei clandestini di ogni età. Obiettivo di Yishai è allontanare tutti gli stranieri entrati o residenti illegalmente in Israele. Non è chiaro però come l’unità «Oz» potrà portare a termine l’incarico di fare piazza pulita degli «alieni». Secondo dati delministero dell’interno sono circa 280 mila i clandestini in Israele: 118mila sono lavoratori stranieri (soprattutto asiatici e dell’Europa dell’est) entrati regolarmente nel paese ma che sono rimasti oltre la data di scadenza del visto di lavoro (cinque anni). Altri 90mila sono «turisti» rimasti al termine del visto di tre mesi. Ventiquattromila, in gran parte «asilanti », sono entrati dall’Egitto mentre 2.000 bambini nati in Israele da genitori stranieri non hanno uno status preciso e diritto ad un permesso. «I governanti israeliani prima hanno fatto entrare un gran numero di lavoratori stranieri (per sostituire quelli palestinesi, ndr) o ora pensano di mandarli a casa con la forza - ha protestato il deputato comunista Dov Henin - non è giusto, il lavoro straniero è stato il motore della crescita economica di questo paese, ha dato enormi vantaggi a tutti gli israeliani». Henin ha anche ricordato i riflessi negativi in economia dell’espulsione di circa 40.000 manovali africani una decina di anni fa. Ma la «Oz» non è a caccia soltanto di sans papier, cerca anche i lavoratori giunti agli sgoccioli del loro visto di lavoro, per garantire che lasceranno Israele alla scadenza del permesso. E chi finisce in manette non viene certo trattato con i guanti di velluto nella prigione di Givon, dove giungono buona parte dei clandestini arrestati. Tra questi, ha riferito la stampa israeliana, c’erano nelle settimane passate anche otto ragazzini (sette egiziani e un sudanese).
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