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La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2009 Jean Daniel ama la politica estera di Obama
Perchè è filo araba e non ha portato risultati positivi?

Testata: La Repubblica
Data: 20 ottobre 2009
Pagina: 49
Autore: Jean Daniel
Titolo: «La breccia di Obama in Medio Oriente»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/10/2009, a pag. 49, l'articolo di Jean Daniel dal titolo " La breccia di Obama in Medio Oriente ".

Jean Daniel cita le parole dello scrittore Edward W. Said sulla Shoà e sulla necessità di conoscerla e scrive : " La sua iniziativa è stata meritoria in quell´epoca, poiché gli arabi in generale avevano l´impressione di una profonda ingiustizia sentendosi chiedere dall´Occidente di «pagare» per un crimine al quale erano del tutto estranei.". Lo Stato di Israele non è nato come risarcimento a spese degli arabi dell'Europa agli ebrei per la Shoà. In ogni caso Jean Daniel ignora il fatto che dove oggi c'è Israele in passato non esisteva nessuno Stato palestinese. La presenza degli ebrei in quella zona è documentata storicamente ed è precedente alla presenza musulmana. Per quanto concerne l'estraneità degli arabi alla Shoà, abbiamo già ricordato in passato la figura del Gran Muftì di Gerusalemme, perfettamente d'accordo con Hitler sullo sterminio degli ebrei. Ma Jean Daniel continua : "Indubbiamente, alcune società musulmane hanno conosciuto un antisemitismo arabo, che però non ha mai assunto, neppure lontanamente, la forma di una volontà o di un´intenzione di sterminio.".
Jean Daniel scrive : "
da un lato, con l´emergere della rivoluzione khomeinista in Iran, l´islamizzazione della resistenza palestinese; dall´altro, con George Bush, la completa «likudizzazione» della politica americana. Quest´esplosiva convergenza ha condotto all´espansione dell´antisionismo, trasformato in antisemitismo e divenuto via via sempre più negazionista.". Antisionismo e antisemitismo coincidono e non si sono diffusi con la "rivoluzione" khomeinista nè con l'inesistente "likudizzazione" della politica americana.
A Jean Daniel, che è tanto insofferente nei confronti del Likud, ricordiamo che è stato proprio un ministro di quel partito (Ariel Sharon) a cedere agli arabi la Striscia di Gaza facendo sgomberare gli israeliani che vi abitavano.
Nell'articolo Jean Daniel loda Obama per la sua politica di apertura all'islam e il suo discorso al Cairo "
L´affermazione del diritto all´esistenza di Israele e la condanna dell´antisemitismo sono stati, se non applauditi, quanto meno ascoltati in rispettoso silenzio da tutti gli studenti dell´Università del Cairo, perché queste dichiarazioni non erano disgiunte da un patetico omaggio all´Islam e dalla solenne promessa che la sorte dei palestinesi non sarà mai dimenticata. ". Se i palestinesi non hanno uno Stato proprio, la colpa è degli stessi arabi che, nel 1948, l'hanno rifiutato e che da allora lavorano alla distruzione di Israele. Israele è uno Stato ebraico, non può accogliere al proprio interno i profughi palestinesi diventati tali per colpa dei paesi arabi limitrofi, nè può fare a meno di difendersi dagli attacchi esterni.
In ogni caso, la politica estera di Obama, finora, ha prodotto solo pessimi risultati. Il processo di pace in Medio Oriente è bloccato, l'Iran non ha fermato il suo programma nucleare, la Russia non intende appoggiare le sanzioni all'Iran, Hamas continua la sua politica di terrorismo contro Israele, in Afghanistan la situazione non migliora, nè tanto meno in Pakistan, il dittatore sudanese, riconosciuto colpevole di crimini contro l'umanità, è stato scelto dagli Usa come possibile interlocutore. C'è poco da stare allegri.
Ecco l'articolo:

 Jean Daniel

Rivolgendosi ai suoi connazionali arabi, lo scrittore americano- palestinese Edward W. Said ha detto un giorno che non si possono comprendere gli israeliani, gli ebrei americani e la stessa mentalità giudeo-cristiana senza essere informati di ciò che ha rappresentato, e tuttora rappresenta, nella memoria il progetto nazista di sterminio degli ebrei. La sua iniziativa è stata meritoria in quell´epoca, poiché gli arabi in generale avevano l´impressione di una profonda ingiustizia sentendosi chiedere dall´Occidente di «pagare» per un crimine al quale erano del tutto estranei. Indubbiamente, alcune società musulmane hanno conosciuto un antisemitismo arabo, che però non ha mai assunto, neppure lontanamente, la forma di una volontà o di un´intenzione di sterminio. A osservazioni del genere Edward Said rispondeva che se c´è da battersi contro un nemico, tanto vale conoscerlo. Pensava in effetti che in questo modo il nemico avrebbe potuto trasformarsi in avversario, e infine, chissà, anche in un partner. Si era fatto carico di quello sforzo di comprensione che sarebbe spettato all´Occidente. Ma guardandosi intorno, si rendeva conto che negli Stati Uniti la Shoah era considerata come una faccenda esclusivamente giudeo-cristiana. Si trovava naturale che uno Stato, sia pure ebraico come lo Stato d´Israele, potesse confiscare la difesa della memoria della Shoah, che dovrebbe appartenere a tutti gli umani. Se così non fosse, qualunque critica nei confronti dello Stato d´Israele potrebbe suscitare il sospetto di antisemitismo, oltre che di ostilità al Paese giustiziere, che si assegna la missione di opporsi ai genocidi. Ma la memoria non si può statalizzare.
Nella lunga storia del conflitto israelo-palestinese, a partire dal rifiuto arabo, nel 1948, di accettare il riconoscimento dello Stato di Israele deciso dall´Onu, sono intervenuti ora due fatti essenzialmente nuovi: da un lato, con l´emergere della rivoluzione khomeinista in Iran, l´islamizzazione della resistenza palestinese; dall´altro, con George Bush, la completa «likudizzazione» della politica americana. Quest´esplosiva convergenza ha condotto all´espansione dell´antisionismo, trasformato in antisemitismo e divenuto via via sempre più negazionista.
Il conflitto mediorientale ha finito per cementare una comunione di risentimenti tra le popolazioni arabe e musulmane, che pure da secoli tutto contribuiva a dividere. Ecco perché oggi non serve a nulla dire che la realtà del conflitto israelo-palestinese è strumentalizzata dagli arabi come alibi per la loro impotenza. L´espansione dell´antisionismo, razzista o meno, è stata accompagnata in breve tempo da quella dell´islamismo radicale, o semplicemente fondamentalista. La trasformazione di questo comportamento in strategia va ascritta innanzitutto al presidente iraniano Ahmadinejad. Secondo la sua tesi lo Stato ebraico, che beneficia della potente e incondizionata solidarietà degli Stati Uniti, ha potuto esistere solo sfruttando il «preteso» genocidio. Sarà dunque attraverso l´insegnamento del negazionismo associato all´antiamericanismo che si arriverà a cancellare Israele dalla carta geografica mondiale.
A fronte di questa situazione, alcuni politici americani sono giunti a convincersi dell´urgenza di fare di tutto per porre fine al conflitto israelo-palestinese, anche per sottrarre un alibi al proselitismo islamico, che si sta sempre più trasformando in una macchina da guerra contro gli Stati Uniti.
Gli attentati dell´11 settembre contro le torri di Manhattan e la disastrosa risposta della guerra contro l´Iraq hanno conferito a Israele un ruolo di «avanguardia contro il terrorismo», mentre il deplorevole intervento israeliano a Gaza, la divisione dei palestinesi e la priorità assegnata alla minaccia iraniana, col rilancio degli Hezbollah libanesi e dei palestinesi di Hamas, hanno ottenuto il risultato di togliere al conflitto israelo-palestinese il suo carattere di urgenza. Difatti, se a Gerusalemme i leader dell´estrema destra israeliana hanno parlato spesso degli arabi come di nemici ereditari, ancora recentemente si potevano trovare in certi alberghi, nei Paesi del cosiddetto islam moderato, testi come il «Protocollo dei Saggi di Sion» o gli scritti negazionisti di Roger Garaudy e Robert Faurisson.
Ma soprattutto nelle nuove mitologie giovanili di vari Paesi dell´islam personaggi come Bin Laden, Ahmadinejad, Nasrallah e tutti gli autori di attentati da noi giudicati razzisti figurano come eroi da idolatrare.
Ma ecco arrivare un uomo di nome Barack Hussein Obama. Per le sue origini, la sua nascita e la sua formazione quest´uomo è fatto per comprendere questo problema in tutti i suoi aspetti. Tutti, compresa anche la necessità di riaffermare la perennità dei legami tra Israele e Stati Uniti, di confermare i doveri imposti dalla memoria della Shoah e dalla lotta contro l´antisemitismo. Del discorso che Obama ha tenuto al Cairo è stata sottolineata soprattutto la solennità con cui ha espresso una volontà di riconciliazione tra gli Stati Uniti e l´Islam. Questa proclamazione ha avuto un´eco considerevole presso i musulmani: un fenomeno di opinione pubblica senza precedenti. Ma un altro elemento altrettanto importante di quel discorso è l´insistenza martellante con cui Obama ha affermato che è immorale mettere in dubbio la realtà della Shoah.
L´affermazione del diritto all´esistenza di Israele e la condanna dell´antisemitismo sono stati, se non applauditi, quanto meno ascoltati in rispettoso silenzio da tutti gli studenti dell´Università del Cairo, perché queste dichiarazioni non erano disgiunte da un patetico omaggio all´Islam e dalla solenne promessa che la sorte dei palestinesi non sarà mai dimenticata. Quel giorno, tutti gli ebrei del mondo, e certamente tutti i loro alleati, avrebbero dovuto cogliere in quelle parole una chance per arginare la diffusione di un antisionismo di stampo antisemita e razzista, e separare gli insegnamenti della Shoah da tutti i conflitti passionali e territoriali.
È nel quadro di una siffatta visione del mondo che l´atteggiamento negativo dell´attuale governo israeliano nei confronti di Obama dovrebbe essere riconsiderato. Agli occhi della comunità internazionale, l´ostinazione nel portare avanti la politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme non può che apparire come una sconfessione terribilmente imprudente di Obama da parte dello Stato d´Israele. In questo modo, la missione di George Mitchell, che ha già incominciato a ottenere risultati molto positivi da parte del mondo arabo, viene semplicemente condannata al fallimento. Sotto l´influenza, a quanto pare, di un nuovo movimento («J-Street») nato tra gli ebrei americani, Netanyahu avrebbe incominciato a comprendere l´inutilità di speculare su un calo di popolarità di Barack Obama per guadagnare tempo; e questo è indubbiamente un progresso. Ma in lui si nota anche la volontà di ignorare tutta una strategia geopolitica (e ideale) concepita per arrivare infine a porre in comune tra Islam e Occidente i valori universali incarnati dal rispetto per la Shoah.
Il grande Shimon Peres, presidente della Repubblica, inattaccabile e in questo caso purtroppo anche irresponsabile, non si è elevato al disopra dei due popoli per celebrare la pace, piuttosto che la vittoria di uno dei due protagonisti e nemici. Ora, ciò che Barack Obama ci invita a fare è esattamente il contrario; ed è stato il solo ad aprire questa breccia.
Se si vuole poter trovare un giorno – che sogno sarebbe! - il libro di Primo Levi «Se questo è un uomo» in un hotel del Maghreb o di Riyad, o vedere film come «Notte e nebbia» di Alain Resnais, «Shoah» di Claude Lanzmann, «La scelta di Sophie» di Alan J. Pakula o «Schindler´s List» di Steven Spielberg in qualche cineteca d´avanguardia di Algeri, di Bagdad o di Kabul, serve una vera mobilitazione dell´Occidente per aiutare il presidente americano a portare a termine il compito da lui considerato come una missione. Guai a coloro, chiunque siano e dovunque si trovino, che un giorno la storia potrà accusare di essersi resi responsabili di un insuccesso di Barack Obama in questo campo.

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