Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/10/2009, a pag. 4, l'intervista di Alix Van Buren e Nicola Lombardozzi a re Abdallah di Giordania dal titolo " Il re di Giordania: la pace è a rischio ".
Re Abdallah dichiara, riferendosi alle trattative di pace con gli arabi : " Tutti chiediamo un congelamento, anche temporaneo, giusto per far decollare le trattative. ". Un congelamento " anche solo temporaneo ". Per gli arabi è solo questione di forma, allora? In questo sono eccellenti, a parole, buone intenzioni, a fatti, guerra. In ogni caso gli insediamenti illegali vengono da sempre smantellati. Per gli altri si tratta di città israeliane. E' impossibile bloccare la crescita naturale della loro popolazione. " Se Israele davvero crede nella formula dei due Stati, sa bene che le colonie nelle terre palestinesi diverrebbero proprietà palestinese. Fermarle sarebbe una prova della sua sincerità. Infatti, la domanda oggi più ripetuta nel mondo arabo è questa: Israele vuole davvero la pace". Nessuno è più interessato di Israele a essere in pace con gli arabi. Ma essi non accettano alcun compromesso. Inarrestabili fino alla distruzione di Israele.
Per quanto riguarda i rapporti con la Giordania, re Abdallah dice : "E´ pace fredda; anzi, va raggelandosi sempre più. Prendete Gerusalemme: il tentativo di modificarne l´assetto politico, l´usurpazione dell´area di Gerusalemme Est, che è parte dei territori palestinesi occupati nel 1967." Gerusalemme è la capitale indivisibile di Israele. Non esiste nessuna usurpazione. Re Abdallah continua : " il Regno Hashemita è il guardiano anche dei luoghi cristiani. Ho ereditato da mio padre, Sua Maestà Re Hussein, questa tremenda responsabilità. Dobbiamo difenderli dall´usurpazione delle proprietà da parte del Municipio o del governo israeliano. Eppure Gerusalemme dovrebbe essere un simbolo d´armonia e pace fra le tre fedi monoteiste. Escluderne anche una sola, sarebbe una catastrofe ". Interessante la definizione di un regno musulmano come custode dei luoghi sacri per i cristiani. E per i luoghi ebraici sacri? Israele, comunque, garantisce il libero accesso ai luoghi sacri per le tre religioni. Non vediamo il motivo delle pretese degli arabi sulla città. Gerusalemme è una città ebraica, fondata dagli ebrei e non è mai menzionata nel Corano. E quando era sotto dominio della Giordania (fino al '67), i luoghi sacri per gli ebrei erano ridotti a raccolta per la spazzatura e di fatto interdetti. Che i due repubblicones non gliel'abbiano ricordato rientra nella fosca abitudine del quotidiano di proprietà dell'Ing. Carlo De Benedetti.
Alix Van Buren e Nicola Lombardozzi chiedono l'opinione di re Abdallah sull'opzione dello Stato unico, binazionale : "Ne sento parlare da israeliani e palestinesi come unica alternativa se fallisse la formula dei due Stati. Però, i palestinesi meritano una propria nazione ". Non una parola sul fatto che questa soluzione cancellerebbe Israele e che è per questo motivo che non è praticabile. Per quanto riguarda l'ipotetico trasferimento dei palestinesi in Giordania, re Abdallah dichiara : "Se Israele vuol fare della Giordania la Palestina, significa trasferire qui i palestinesi della West Bank. Supponiamo, per pura ipotesi, che Israele ci riesca, sfidando la condanna del mondo. Beh, cos´avrebbe risolto per il suo futuro? Un bel nulla: in poco tempo gli arabi israeliani, in Israele, diverrebbero la metà della popolazione dello Stato ebraico. Israele si troverebbe punto e a capo.". Ci aspettavamo un po' più di senso dell'ospitalità per i fratelli palestinesi. La regina è palestinese. E ricordiamo al re Abdallah che anche il suo regno è relativamente giovane, nato dopo lo sgretolamento dell'impero turco...non era terra palestinese anche quella?
Abdallah dichiara : " (Israele) Decida se integrarsi nel mondo arabo-musulmano, o continuare a essere una fortezza, con le calamità che ne derivano per lei e tutti noi. Per ora sta scavandosi una fossa, sempre più profonda ". Israele fa parte del M.O., sono semmai i paesi arbai a dover guardare a Israele e prenderne ad esempio la sua modernita . Oltre a tutto Giordania ed Egitto dovrebbero implementare i loro rapporti con Israele, visto che hanno firmato la pace.
L'ultima esortazione è per Usa e Ue : "Capiscano anche che a Gaza sta consumandosi una catastrofe umanitaria, che l´assedio va sbloccato al più presto". A Gaza la catastrofe umanitaria dipende da Hamas e dalla sua politica terroristica.
In tutta l'intervista il terrorismo di Hamas, la volontà dei palestinesi di distruggere Israele con qualunque arma possibile, il loro antisemitismo e il loro disprezzo per gli ebrei non sono mai menzionati nè dagli intervistatori, nè dall'intervistato. Ma trattandosi di Repubblica la cosa non ci stupisce.
Ecco l'intervista:
Il suo ragionamento raffredda ogni attesa di una rapida soluzione regionale, secondo i piani pensati dal presidente Obama. D´altronde il re si è già misurato in politica con Netanyahu al principio del suo regno, nel ´99, ed è schiettissimo: «Una prima esperienza niente affatto gradevole. Ha coinciso con alcune delle crisi più gravi fra Giordania e Israele. Sono passati dieci anni. In maggio, seduto su questo stesso divano, il premier israeliano mi ha fatte molte promesse: nessuna finora mantenuta».
Perciò, alla vigilia della visita di Stato di domani in Italia, Abdallah II si cautela: «Verrò a parlare con gli amici italiani. Solleciterò l´impegno del governo, come parte della Ue, nel processo di pace, la collaborazione in vari megaprogetti in Giordania per un investimento di 20 miliardi di dollari in 10-15 anni».
E infatti eccolo il giovane monarca, capofila dei moderati del mondo arabo, in prima linea nell´impegno per la pace. Erede della dinastia Hashemita, è discendente diretto del Profeta Maometto. In blazer blu, riceve la Repubblica nello studio di un bel palazzo arabo in cima a un colle sopra la città.
Maestà, dopo sette missioni dell´inviato speciale di Obama in Medio Oriente, America e Israele non sembrano vicini a un´intesa. Lei è deluso?
«Sarò sincero: m´aspettavo di più, e in tempi più brevi. Il presidente Obama aveva chiesto subito di risolvere il conflitto israelo-palestinese. Credevo in una svolta decisiva già all´inizio dell´estate, nell´avvio di un vero negoziato di pace all´Onu. Eppure, il nodo delle colonie israeliane, illegali per la comunità internazionale, resta centrale. Tutti chiediamo un congelamento, anche temporaneo, giusto per far decollare le trattative. Se Israele davvero crede nella formula dei due Stati, sa bene che le colonie nelle terre palestinesi diverrebbero proprietà palestinese. Fermarle sarebbe una prova della sua sincerità. Infatti, la domanda oggi più ripetuta nel mondo arabo è questa: Israele vuole davvero la pace?».
Il 26 ottobre saranno 15 anni dall´accordo fra Giordania e Israele. E´ vera pace?
«E´ pace fredda; anzi, va raggelandosi sempre più. Prendete Gerusalemme: il tentativo di modificarne l´assetto politico, l´usurpazione dell´area di Gerusalemme Est, che è parte dei territori palestinesi occupati nel 1967. Non si può cambiare la realtà sul terreno mentre è in corso una trattativa di pace. L´ho detto a Netanyahu: la questione di Gerusalemme, per la Giordania, è una linea rossa invalicabile. Tanto più con la storia della Moschea».
Ce la racconti.
«Perché accelerare gli scavi dei tunnel vicino alla Moschea al-Aqsa, quando la documentazione conferma il rischio di indebolirne le fondamenta? Bisogna capire la santità di quei luoghi, quanto è esplosiva quella polveriera. E´ una provocazione, ecco il punto. E non soltanto nei confronti dei musulmani: anche dei cristiani».
Cioè a dire, Maestà?
«Che il Regno Hashemita è il guardiano anche dei luoghi cristiani. Ho ereditato da mio padre, Sua Maestà Re Hussein, questa tremenda responsabilità. Dobbiamo difenderli dall´usurpazione delle proprietà da parte del Municipio o del governo israeliano. Eppure Gerusalemme dovrebbe essere un simbolo d´armonia e pace fra le tre fedi monoteiste. Escluderne anche una sola, sarebbe una catastrofe».
Netanyahu preferisce per ora una "pace economica", invita il mondo arabo a investire. Non le sembra una proposta accettabile?
«Non ha senso una pace economica se non c´è sicurezza politica per il futuro dei palestinesi. Così, si continua ad aggirare il problema. Serve una soluzione fondata sui due Stati, e questo noi stiamo aspettando».
La Giordania fa dei due Stati una questione di sicurezza nazionale. Perché?
«Perché senza quelli non ci saranno mai pace e stabilità nell´intera regione. È la soluzione ideale per una pace complessiva fra Israele e gli arabi e i musulmani».
E se si arrivasse a un solo Stato binazionale, come certi prospettano?
«Ne sento parlare da israeliani e palestinesi come unica alternativa se fallisse la formula dei due Stati. Però, i palestinesi meritano una propria nazione».
Si parla anche di delegare alla Giordania il controllo della West Bank. E lei?
«È inaccettabile. Se Israele vuol fare della Giordania la Palestina, significa trasferire qui i palestinesi della West Bank. Supponiamo, per pura ipotesi, che Israele ci riesca, sfidando la condanna del mondo. Beh, cos´avrebbe risolto per il suo futuro? Un bel nulla: in poco tempo gli arabi israeliani, in Israele, diverrebbero la metà della popolazione dello Stato ebraico. Israele si troverebbe punto e a capo. Inoltre, gli arabi e i musulmani non l´accetteranno. Serve una visione più ampia: la pace complessiva con 57 nazioni (ndr. Lega Araba e Conferenza islamica), cioè un terzo del mondo, che oggi non riconoscono Israele».
E se non accadesse?
«Si rimarrebbe allo statu quo, piomberemmo in tempi davvero bui, con le immaginabili conseguenze».
Quali?
«Che la finestra della speranza, fra breve, si chiuderà. Entro la fine del 2010, se Israele non crederà nella soluzione dei due Stati, svanirà la possibilità di un futuro Stato palestinese, per questioni geografiche: i territori già sono frammentati in cantoni. E se voi e io dovessimo ritrovarci qui, a porci le stesse domande, temo che la nostra generazione non vedrà la pace».
Allora, come intervenire?
«Spetta all´America e all´Europa farlo. Israele abbia il coraggio di sedersi al tavolo coi palestinesi, con una fortissima copertura del presidente Obama e il sostegno saldo della Ue. Decida se integrarsi nel mondo arabo-musulmano, o continuare a essere una fortezza, con le calamità che ne derivano per lei e tutti noi. Per ora sta scavandosi una fossa, sempre più profonda».
Però, resta l´ostacolo di Hamas, la frattura fra i palestinesi. Quanto pesano nelle prospettive di un accordo?
«Noi appoggiamo la riconciliazione fra Hamas e Fatah, promossa dall´Egitto. America ed Europa decidono da sé la loro politica. Riconoscano però l´urgenza, il prezzo terribile che tutti pagheremo. Capiscano anche che a Gaza sta consumandosi una catastrofe umanitaria, che l´assedio va sbloccato al più presto».
L´Occidente ora sembra privilegiare il negoziato con l´Iran. Per la prima volta in trent´anni, Washington e Teheran si parlano. Può avere riverberi positivi sul Medio Oriente?
«E´ uno sviluppo benvenuto. L´alternativa al dialogo è il conflitto, e non ne serve uno con l´Iran, cosa che ci preoccupa molto. Vediamo se i colloqui porteranno frutti. Teniamo le dita incrociate».
Lei teme un Iran armato di atomica?
«Io mi batto contro la proliferazione nucleare nell´intera regione. Ma il problema è anche l´ambiguità attorno al nucleare. Il potenziale atomico di ciascuna nazione dev´essere dichiarato, allo scoperto».
Lei sta pensando a Israele?
«A Israele e a tutti gli altri Paesi. Anche la Giordania ha optato per il nucleare, ma vogliamo porci come esempio di assoluta trasparenza. Puntiamo su un programma a scopi civili, per garantirci l´autosufficienza e per fornire energia alla regione».
Maestà, lei appartiene a una leva di giovani leader; vuole risultati entro questa generazione. Ci riuscirà?
«Già, mi definiscono giovane; ma a 47 anni l´età avanza. Devo ricordarmi che il 70 per cento del Paese ha meno della mia età. Ha diritto alla pace e alla prosperità. Ecco, ho fretta. Il nostro futuro è adesso».
E´ precipitoso anche il Nobel assegnato a Obama? O lo incoraggerà a adoperarsi per la pace?
«Io mi sono congratulato con il presidente. Apprezziamo il suo impegno per la diplomazia e la collaborazione fra i popoli. Attenzione, però: i sentimenti positivi, suscitatati dalle sue parole e dai suoi gesti, svaporeranno se la gente non vedrà presto risultati concreti».
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