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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Helga Schneider , La baracca dei tristi piaceri 19/10/2009

La baracca dei tristi piaceri    Helga Schneider
Salani                                            Euro 14

Auschwitz è stato la negazione della storia e della vita. Ma anche del corpo che, quando e per quel poco che sopravviveva, era oggetto dello stesso rifiuto che lo sterminio riservava alle proprie vittime in quanto uomini, donne, bambini. Il corpo, ad Auschwitz diventa uno strumento di morte fra gli altri: negli stenti della fame, nella tortura, nel lavoro insopportabile e infine nel gas e nella cenere. La fisicità era negata alle razze che andavano estinte, così come la loro identità. Vi è però un terreno oscuro, marginale, in cui ad Auschwitz e negli altri campi della morte, il corpo diventa necessario anche per le vittime. In cui, per quanto disprezzabili e inferiori, le vittime hanno ancora un corpo che può “servire”. Serviva a Mengele, per i suoi esperimenti. Serviva nei bordelli istituiti a margine dei campi. La violenza nazista non si è privata davvero di nulla: il vizio atavico dell’abuso sul corpo della donna diventa qui estremo, folle. E fors’anche per questo risulta così difficilmente da raccontare. Helga Schneider ha già narrato ai lettori italiani la propria lacerante esperienza di tedesca: nasce in Slesia nel 1937 e nel 1941 viene abbandonata, insieme al fratello, dalla madre, che sceglie di entrare nelle SS come ausiliaria. Helga conoscerà tanti drammi, nel confronto con la matrigna e il rifiuto, e un impossibile ritorno a casa. Vive in Italia dal 1963. I suoi libri affrontano, come in una catarsi di grande impatto narrativo, l’infanzia ma soprattutto il dopo. I conti con questa madre che rivedrà solo nel 1971, e con esiti disastrosi. I conti con quel passato grande che s’intreccia così profondamente nel proprio personale. In questo nuovo romanzo, che s’intitola “La baracca dei tristi piaceri. Il sesso forzato come strategia del nazismo”, Schneider tenta un’esplorazione “esterna” alla propria biografia. L’approccio di lettura risulta infatti molto diverso: più distaccato, malgrado la forza distruttiva di questa materia. Più che un romanzo, si tratta di una lunga intervista che la “voce scrivente” (Sonia, una giornalista, scrittrice italiana che si trova a Berlino per una conferenza e viene quasi rapita da questa storia) raccoglie da Herta Kiesel. Lei è ormai una vecchia sola e un poco svampita, che però sputa fuori la propria storia come forse non ha mai fatto. E’ tedesca, la sua colpa è stata quella di aver amato Uwe, un aspirante pianista con un quarto di sangue ebraico. Uwe sparirà, lei finirà in un Sonderbau: “Nel 1943 Himmler prese la fulminante decisione di far allestire dei bordelli nei più grandi campi di concentramento. Quello di Buchenwald fu chiamato ipocritamente Sonderbau, “edificio speciale”. La sua costruzione schizzò in cima alle priorità del campo a scapito dell’allargamento del Revier, l’infermeria”. Herta racconta di quell’inferno, sfiora anche la tragedia dell’essere omosessuali nella Germania nazista e, peggio ancora, nei campi di concentramento. Sbatte sulla pagina abusi e violenze, apre a Sonia il libro della propria vita spezzata molto prima di morire in tarda età, quando l’intervista di Sonia sta per essere pubblicata, con il suo pieno consenso. Più del tessuto narrativo un poco debole, questo romanzo vale come un documento. Ma soprattutto, ancora una volta vi si coglie in filigrana, l’ansia tremenda di fare i conti con quell’inaccettabile passato, da parte di una figlia della Shoah che si è trovata a fare i conti con una madre SS.

Elena Loewenthal
Tuttilibri – La Stampa


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