Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/10/2009, a pag. 37, l'articolo di Mario Calabresi dal titolo " dal titolo " Nel laboratorio di Obama ", recensione del libro di Maurizio Molinari Il paese di Obama (Laterza, pp. 216, €15).
Il mondo sembra essersi già abituato a Barack Obama, al fatto che un nero sia diventato presidente degli Stati Uniti dopo 232 anni di ininterrotto dominio bianco, che il figlio di uno studente del Kenya arrivato fino alle Hawaii per un corso all’università sia oggi l’uomo più potente del mondo. Poco meno di un anno fa è successo qualcosa di incredibile e inaspettato e - per ora - non è importante come andrà a finire questa avventura, se con un grande successo o in un immenso rimpianto, ciò che conta è la rottura di una tradizione che procedeva senza strappi da due secoli. Per questo, seppure dopo soli nove mesi di presidenza, è già possibile scrivere un libro di storia, andare a rivedere il film per capire cos’è successo, come è stato possibile, quale miscela di capacità, occasioni, fortuna, colpi di genio e intuizioni abbia portato un giovane senatore nero alla Casa Bianca.
Maurizio Molinari, corrispondente della Stampa dagli Stati Uniti, dopo aver raccontato nei suoi precedenti libri l’America di George W. Bush, la New York degli ebrei e la trasformazione del partito democratico da una compagine senza più identità in una forza politica capace di chiudere la stagione neoconservatrice, adesso con il volume Il paese di Obama (Laterza, pp. 216, e15) ci porta in viaggio in quello che definisce «un grande laboratorio». Negli Usa di oggi dove gli studenti universitari sono «color blinded», cioè abituati a non vedere più il colore della pelle come una discriminante, dove la borghesia afroamericana ha liquidato in modo pragmatico la leadership dei reverendi protestatari, dove ispanici e asiatici puntano sull’integrazione e non sui diritti delle minoranze e dove la classe media cerca risposte alla crisi e non alle sfide ideologiche. «Quando si perde il lavoro - sottolinea il giovane Nick Wells che ha guidato la campagna del senatore nero in Tennessee - c’è poco tempo per pensare ad aborto, fucili e gay, i temi dei conservatori passano in secondo piano e la gente comune vota democratico».
Molinari ripercorre il viaggio di Obama partendo dal quartiere interetnico di Hyde Park, nel South Side di Chicago, dove si è formato e ha lanciato la sua carriera politica. Va a ritroso passando dalle Hawaii, dove il presidente è nato, torna sul continente per raccontare i protagonisti del nuovo laboratorio americano e conclude analizzando le novità del suo messaggio portandoci in Turchia ad ascoltare il nuovo presidente mentre lancia il suo messaggio di apertura all’Islam.
Il libro comincia a Chicago perché la «città del vento» dell’Illinois serve da paradigma del superamento della questione razziale, qui sono nate le idee di Obama, qui ha formato la sua famiglia e la sua squadra politica, qui ha lanciato la sua corsa.
Il racconto è costruito, e questo è l’aspetto più affascinante del libro, con una quantità impressionante di dettagli e sfumature: Molinari ricostruisce il percorso verso lo Studio Ovale non tralasciando alcun particolare, dalla costruzione di una candidatura vincente al numero di esercizi che il nuovo presidente fa nella sua ora di palestra quotidiana.
Durante la lunghissima campagna elettorale per le presidenziali ho osservato Molinari lavorare, allora eravamo concorrenti ma durante le convention, i comizi e i dibattiti finivamo seduti quasi sempre vicini, e la cosa che mi ha colpito maggiormente è il rigore del suo metodo fatto di costanza, regolarità, continuo confronto con le fonti e un controllo instancabile di ogni fatto. Talvolta la sua applicazione «religiosa» al lavoro mi appariva quasi irritante, perché creava nei colleghi che avevano voglia di distrarsi per andare a prendere un caffè o un gelato un evidente senso di colpa.
Ma i risultati poi si vedono: la mole di materiale che è stato capace di raccogliere e riordinare è notevole e il racconto ha uno sguardo lungo che si allontana dalla cronaca per darci un libro di riflessione sulla trasformazione in corso negli Stati Uniti.
La domanda che sorge spontanea dopo aver visitato per quasi 200 pagine ogni angolo del laboratorio America è se questo processo di trasformazione sia irreversibile, senza possibilità di ritorno, oppure se dobbiamo aspettarci contraccolpi e frenate. Molinari non ha risposte certe, come nessuno di noi, e la cronaca ci racconta ogni giorno come polarizzazioni e pulsioni razziste ed estremiste riemergano senza sosta. Ma la scommessa di Obama è la stessa di Lincoln, il presidente che abolì la schiavitù affrontando la guerra civile e che alla fine delle ostilità ordinò di dare totale libertà ai soldati sudisti sconfitti perché spinto da una sola convinzione, che si dovesse riunificare «una casa divisa». La ferita da sanare oggi, come spiega Molinari, è «il conflitto radicale scaturito dalle battaglie culturali degli Anni Sessanta, che hanno portato ad una spaccatura profonda nel tessuto sociale del Paese». La sfida per una politica meno partigiana non è solo americana, in tutto l’Occidente la voce delle tifoserie ultrà occupa tutto lo schermo, ma l’esito di questa partita sarà fondamentale per salvare le fondamenta dell’edificio in cui viviamo come collettività.
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