Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 16/10/2009, a pag. 16, l'articolo di R. A. Segre dal titolo " Sull’esercito israeliano si allungano le mani dei religiosi ". Un titolo che non riflette il contenuto dell'articolo.
R. A. Segre
Se non c’è traffico, in 15 minuti si arriva da Gerusalemme al primo posto di blocco nella zona «C» della Cisgiordania controllata dall’Autorità palestinese. Gli israeliani viaggiano su strade di fresca costruzione che evitano i villaggi arabi. Il muro di separazione si trasforma in barriera di fili spinati. A destra, su colline che ricordano il Carso, gli insediamenti di Shilo e di Ofra, al di là della linea armistiziale dove gli arabi vorrebbero ricondurre Israele. Di fronte, su alture brulle, nuove costruzioni di due o tre piani sono l’indice dello sviluppo economico palestinese.
Ely è la meta del mio viaggio, un insediamento passato in 13 anni da 70 a 700 abitanti. Lo distingue il fatto di aver germogliato l’idea e creato il modello delle scuole pre e post militari, diventate la colonna portante un pionierismo religioso, militare e militante israeliano. Lior (quarantenne, fondatore di Ely, sei figli e un telefono che suona in continuazione) spiega nel suo ufficio il perché di queste scuole. Per mezzo secolo i giovani israeliani educati nei licei religiosi o appartenenti a famiglie tradizionaliste si sono trovati al momento di arruolarsi in mezzo a un fuoco incrociato. Da un lato il disprezzo paternalista di laici, socialisti, sionisti. Dall’altro l’ostilità dei rabbini e delle famiglie, convinte che il servizio militare facesse perdere la fede, dal momento che il 70% delle reclute religiose diventava «laica» dopo tre anni di leva. Relegati ai servizi per impreparazione fisica, questi giovani si sentivano vittime di un formalismo religioso sviluppato nei ghetti della diaspora, incapace di spiegar loro il senso di uno stato ebraico e il perché di difenderlo con le armi. I collegi pre e post militari hanno rivoluzionato la situazione. Con l’approvazione dell’esercito, interessato all’arruolamento di giovani più maturi e preparati alle fatiche militari, essi educano per 12 o 18 mesi (in giornate divise fra studio religioso e «laico» e allenamento fisico) una nuova generazione di leader che mira «a condizionare tutti i settori della società con l’esempio personale». Di queste scuole ve ne sono oggi 30. Alcune religiose, altre «miste» con studenti laici, una per i drusi che fanno servizio di leva, due per ragazze. Quella di Ely accoglie 250 studenti in due anni; li espone all’insegnamento religioso ma anche a quello laico con conferenze di storici, psicologi, sociologi, filosofi.
Il 50% dei giovani religiosi usciti da queste scuole diventano ufficiali; il 70% serve in unità di élite; il 25% continua nella carriera militare; l’1% abbandona la religione. Ogni 20 ragazzi c’è una «guida» - generalmente un giovane rabbino che ha fatto il servizio militare e studiato all’università e che li segue durante e dopo la smobilitazione. Per il momento il massimo grado raggiunto da ufficiali usciti da queste scuole è quello di tenente colonnello. Ma ci sono piloti e alti funzionari nell’amministrazione statale, nelle banche. Il 20% si dà all’insegnamento.
«Vogliamo diventare una élite, penetrare tutti i campi di attività di uno stato ebraico». Che mira a prendere un giorno il potere?, chiedo. «No, il nostro scopo è servire». Anche un governo che sviluppa una politica contraria alle vostre idee? «Certo. Lo abbiamo dimostrato con l’evacuazione di Gaza dove i nostri giovani hanno obbedito agli ordini del governo non dei rabbini». Cosa pensate dei coloni che sfidano il governo e picchiano i palestinesi?. «Sono dei pazzi estremisti. Nelle nostre scuole insegniamo moralità e convivenza». Convivenza fra due stati? «No fra due popoli. Gli arabi posseggono territori immensi. Noi solo questa piccola terra che Dio ci ha dato». Come pensate di risolvere il problema demografico di una inevitabile maggioranza palestinese in uno Stato “grande” destinato a non essere né democratico né ebraico? Per Lior il pericolo demografico palestinese è illusorio. Col progresso economico che Israele deve favorire, la natalità araba in Israele scenderà mentre ci sono milioni di ebrei che come quelli russi - a cui nessuno credeva - arriveranno in Israele. Saranno spinti dall’antisemitismo, da una Europa che ha scambiato 6 milioni di ebrei assassinati e che formavano lo humus della sua cultura con 20 milioni di musulmani che dei valori occidentali non sanno cosa farsene. Israele resterà un piccolo paese a grande maggioranza ebraica. Ha dalla sua parte storia e giustizia. Occorre tener duro e dare tempo al tempo.
Penso al motto fiumano dannunziano: Hic manebimus optime. Sappiamo come è finito ma la storia non si ripete. In una sala di conferenze ascolto un avvocato, senza cappellino in testa, spiegare le teorie del negoziato davanti a una trentina di giovani. Fuori, operai arabi stanno costruendo la nuova “aula magna” dell’accademia post militare. Cammino in strade fra file di giovani alberi piene di bambini e donne che spingono carrozzini. Da una villetta escono le note della Nona di Beethoven.
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