Ancora una volta Israele è la cartina di tornasole per capire quello che sta avvenendo nel mondo islamico. Per l’esattezza in Turchia, dove il governo di Recep Erdogan ha impresso un altro giro di vite in senso antieuropeo in un paese che si sta avvicinando sempre di più ai regimi fondamentalisti, rimettendo in questione l’intero percorso di accettazione nell’Unione europea. Le esercitazioni militari in ambito Nato, che dovevano iniziare in settimana in una base a sud di Ankara, non si terranno più per la precisa volontà della Turchia di escludere dalle medesime Israele, un paese con il quale nei decenni passati i rapporti erano sempre stati molto stretti, soprattutto sul piano militare. I primi segnali che qualcosa stava cambiando, dopo l’arrivo al governo dell’Akp, il partito di Erdogan, si erano già fatti sentire, vista l’impronta islamista impressa dal premier. Nell’ultimo summit di Davos era riuscito persino a insultare Shimon Peres in merito alla guerra a Gaza, cosa inusuale, viste le doti diplomatiche del presidente israeliano, un Ergogan, quindi, a difesa di Hamas. La Turchia laica che abbiamo conosciuto fino ad oggi sembra cancellata da una decisione che coinvolge direttamente la scelta di Teheran di dotarsi della bomba atomica. Erdogan si è schierato da subito in difesa delle ragioni iraniane, opponendosi alle sanzioni stabilite dagli organismi internazionali. Ha poi stretto buoni rapporti con Omar Hassan al-Bashir, il presidente del Sudan, condannato per crimini di guerra e genocidio in Darfur, invitandolo per una visita di stato. Malgrado diversi stati arabi moderati e filo occidentali stiano stati dalla parte di Israele nella lotta contro Hamas, Erdogan ha pesantemente condannato l’operazione “Piombo fuso”, disconoscendo le ragioni dello stato ebraico a difendere il proprio territorio dagli attacchi missilistici. Ma anche sul piano interno il giro di vite si è fatto sentire, con il ritorno dell’uso del velo per le donne, l’intimidazione contro gli avversari politici, censura e condanne a pagamenti esorbitanti per gruppi editoriali non in linea con le direttive del governo. Anche se è prematuro parlare di dittatura, la strada imboccata da Erdogan non porterà molto lontano. Sarà la fine di un paese che si era avviato verso la modernizzazione e che rischia ora di retrocedere al livello di altri paesi sotto l’influenza della sharia. Il no a Israele, escludendone la partecipazione a manovre militari comuni, è di fatto l’allineamento con la politica di Ahmadinejad, anche perché sarebbe ipocrita ritenere che le esercitazioni Nato, in questo preciso momento, non abbiano anche l’obiettivo strategico di valutare tutte le possibili opzioni di un attacco ai siti atomici iraniani. L’auto esclusione della Turchia dal progetto obbligherà Israele e America ad una nuova valutazione dell’intera operazione, che si fa sempre più probabile dopo le dichiarazioni minacciose di Ali Khamenei. L’Iran vuole fare “esplodere il cuore di Israele”, anche se nello stesso tempo definisce lo stato ebraico “ tigre di carta”, lo stesso macabro rituale di chi si prepara ad aggredire rifiutando nello stesso tempo all’avversario il diritto a difendersi. Nel caso di Israele, la difesa si chiama attacco preventivo. Da realizzarsi però con tutte le garanzie sul suo risultato. Nell’arco degli ultimi due millenni ci hanno provato in tanti a sterminare il popolo ebraico, ma l’impresa non è mai riuscita a nessuno. L’elenco è lungo, Ahmadinejad è bene che lo valuti prima di intraprendere lo stesso tentativo. Un consiglio simile vale per Erdogan, il cambio di alleato non contribuirà a soddisfare le sue ambizioni, prima fra tutte l’ingresso in Europa, e allontanerà il suo paese dalla modernità. Sempre che non sia questo il suo vero obiettivo.