La grande purga iraniana Oppositori al regime e manifestanti condannati a morte
Testata: Il Foglio Data: 13 ottobre 2009 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «La grande purga iraniana»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/10/2009, in prima pagina, l'articolo dal titolo "La grande purga iraniana ".
Roma. La Corte rivoluzionaria di Teheran ha emesso la quarta condanna a morte nei processi per le manifestazioni di protesta avvenute dopo la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, il 12 giugno scorso. L’ultimo condannato in ordine di tempo si chiama Hamed Ruhinejad e sarebbe colpevole di legami con una organizzazione monarchica. Altri tre dissidenti sono stati impiccati nel fine settimana: due esponenti della “Kingdom Assembly of Iran”, gruppo di fedeli dello Scià in esilio a Londra, e un membro dei Mujaheddin del popolo. E’ iniziata così la grande purga iraniana. Il patibolo per i tre lascia intravvedere un destino cupo per le decine di riformisti, intellettuali e attivisti arrestati dopo le proteste popolari e già apparsi in tribunale. Il primo a finire sulla forca è stato Muhammad Reza Ali Zamani. Era uno dei cento imputati, tra cui la studentessa francese Clotilde Reiss, accusati di aver fomentato le proteste contro la vittoria di Ahmadinejad. Ali Zamani aveva “confessato” di aver distribuito a Teheran copie dei “Versetti satanici” di Salman Rushdie, il romanzo colpito dalla celebre fatwa di morte di Khomeini. Zamani è stato giudicato colpevole di “mohareb”, lotta armata contro Dio, per aver tentato di rovesciare la Repubblica islamica (oltre che di propaganda e cospirazione). Dal 1° luglio, dopo le proteste elettorali, sono state rese note 132 condanne a morte. Ufficialmente nessuna fino a oggi era legata alle proteste. Ma è difficile identificare i condannati, indicati spesso solo con le iniziali. Un afghano è stato impiccato come “narcotrafficante”, ma per la famiglia è stato arrestato durante una protesta. Azzerare la voce della dissidenza è strategico per il regime dei mullah. Il fatto che l’Iran stia conducendo attività di ricerca per sviluppare la bomba atomica in due siti, uno a Teheran e l’altro nei pressi del villaggio di Sanjarian, lo si è appreso da alcuni dissidenti iraniani in esilio a Parigi. Meesagh Yazdan-nejad, uno studente di 23 anni, è stato condannato a 14 anni di carcere e all’esilio per aver partecipato alle celebrazioni in ricordo delle vittime del massacro di 30 mila prigionieri politici del 1988. Anche Caspio Makan, il fidanzato di Neda Agha Soltan, la giovane donna uccisa nelle proteste in Iran, è trattenuto in carcere dal 26 giugno, dopo aver fatto una dichiarazione che collega il suo omicidio alla milizia filo-governativa Basiji. E’ lui il testimone chiave dell’uccisione del voltosimbolo della rivolta. Con Caspio c’è anche Maziar Bahari, giornalista e cineasta canadese. Il corrispondente di Newsweek di origine iraniana era stato arrestato con l’accusa di essere una spia. Con lui in carcere c’era anche il giornalista e intellettuale riformista tra i più noti, Saeed Hajjarian, che è stato un rivoluzionario della prima ora (era il 1979). Hajjarian ha denunciato gli abusi e le efferatezze contro gli oppositori del regime e gli intellettuali dissidenti. Nel 2000 subì un grave attentato, quando la milizia Basiji gli sparò in faccia. Sono in attesa di giudizio anche l’intellettuale iraniano-americano Kian Tajbakhsh, consulente dell’Open Society Institute di George Soros, il noto giornalista riformatore Saeed Leylaz e Mohammad Ghooshani, caporedattore di “Etemad Melli”, un celebre giornale riformista. Sono tutti accusati di voler attuare una “Rivoluzione di velluto” contro il regime islamico, come quella del 1989 in Cecoslovacchia. Ufficialmente dei tremila detenuti di Evin, la misteriosa Lubianka del regime iraniano, nessuno figura come “prigioniero politico”. La formula più usata è “moharebeh”, con cui nel Corano si indicano i reati dei “nemici di Allah”. Per questo a Zamani i mullah hanno fatto “confessare” ai detenuti la diffusione di alcune copie del celebre libro di Salman Rushdie. Della stessa accusa, “nemico di Allah”, era stato macchiato il blogger “suicidatosi” in carcere, Omidreza Mirsayafi. La sua colpa erano state queste poche righe: “Vivere nel paese di Khomeini è nauseante, vivere in un paese il cui presidente è Ahmadinejad è una grande vergogna”.
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