La leggenda dello scriba e altri racconti S.Y. Agnon
Traduzione di Anna Linda Callow e Claudia Rosenzweig
Adelphi Euro 16
Faticò a mandar giù l’ex aequo. Non solo perché l’onore del premio ne era sminuito, ma soprattutto perché l’altra vincitrice esprimeva un mondo agli antipodi del suo. Nel 1966, Agnon dovette dividere il Nobel con Nelly Sachs, lui cantore di un surreale tradizionalismo galiziano, lei poetessa dalla lirica diafana e intimista, uscita da una famiglia berlinese assimilata. Ma chi dei due aveva ragione? A quarant’anni di distanza è forse Agnon l’autore che ha lasciato il segno più incisivo. Se della simbiosi giudeo-tedesca, che la Sachs esprimeva in maniera così tormentata, resta ormai ben poco, i paradossi di Agnon sembrano resistere alle ingiurie del tempo. E il segreto di questa durata è proprio la materia di cui sono fatti i suoi libri. La preziosa raccolta pubblicata ora da Adelphi, che prende il nome dalla novella “La leggenda dello scriba”, illustra assai bene il caso Agnon. Grazie alla scelta delle traduttrici, che rimangono fedeli all’ebraico fino al calco linguistico, ci si può abbandonare all’avvolgente anacronismo di un mondo all’incontrario. La legge che regola le trame è lapidaria: solo il libro è certo, tutto il resto, la cosiddetta realtà materiale, non è che un guizzo di fiamma. E’ il principio antico e ferreo di tanta storia della diaspora, che nelle mani dello scrittore si trasforma in energia creativa. L’amanuense, che campeggia nella dolentissima leggenda, non è un semplice artigiano dell’inchiostro e della pergamena. In ogni rotolo della Torah, che ricopia con la concentrazione di un santo asceta, Rafael ricrea e redime il mondo, così che mentre “traccia i segni col calamo da scriba, egli intreccia corone, per il suo Creatore”. Ma Agnon è pur sempre un testimone del Novecento e, se usa il frasario della vecchia qabbalah, è ben consapevole che la creazione di un uomo non può essere che imperfetta. Il destino che attende questo copista fin troppo pio è di amara sciagura: “Il Signore castiga coloro che ama”, ecco l’altro principio che muove l’agnoniana ruota delle sorti. Il primato della vita scritta su quella vissuta è tirannico, e lascia spazio a una miriade d’invenzioni estreme, come nel caso del minuscolo rabbi Gadiel, tanto piccolo da poter stare in una tasca della veste da preghiera: “Quando arrivò all’età di studiare la Bibbia, suo padre lo prese, lo mise seduto a cavalcioni sulla tabacchiera, e gli aperse davanti i cinque libri della Torah”. Il rabbi in miniatura però non vive nello scenario grottesco di Lilliput, bensì nell’Europa dell’antisemitismo e dovrà scendere nelle viscere di un laido persecutore, prima di poter liberare se stesso e gli altri ebrei, come un Giona che esce dal ventre del male. Va da sé che nei racconti di Agnon non solo le dimensioni dei personaggi sono falsate, ma anche la legge di gravità è scritta da sotto in su. Gli armadi che conservano i rotoli della Bibbia possono così volare d’improvviso dalle finestre, per arrivare a posarsi con forza chagalliana su un prato rorido di rugiada. Se poi s’incontra una dama vestita di nero, bisogna far attenzione, giacchè è molto probabile che sia la Shekhinah, splendida e in lutto, che vaga “spoglia di ornamenti”, scuotendo dolorosamente il capo. Si cruccia per l’esilio e forse è davvero per questo, per consolare la divina Presenza, che Agnon chiama sulla scena i suoi personaggi stralunati.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore