Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/10/2009, a pag. 31, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Dalai Lama alla Casa Bianca. Incontro Rinviato ".
Il lettore, deluso dal comportamento di Obama con il Dalai Lama, chiede a Romano : " Se la nuova politica degli Usa è improntata su simili principi, dovremo aspettarci che Obama rifiuti un incontro con Israele per non fare un dispetto all’Iran? ". Romano risponde : " Può darsi effettivamente che la politica di Obama verso l’Iran abbia per effetto, nelle prossime settimane, qualche mossa sgradita a Israele. Ma se questa mossa servirà a ridurre la pericolosità dell’Iran e ad accrescere la stabilità della regione, lo stesso Israele, alla fine, dovrà esserne grato ". Quindi se l'Iran chiedesse la distruzione di Israele in cambio del blocco definitivo del programma nucleare, la richiesta andrebbe esaudita e gli israeliani dovrebbero esserne pure grati?
Scegliere il "male minore". Questa è la politica fallimentare di Obama su temi come i diritti umani, il nucleare iraniano, la pace in Medio Oriente. E' una politica che non risolve i problemi, ma che si limita a spostarli, sperando che la soluzione venga da sé. Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:
Sergio Romano
Il comportamento del presidente Barak Obama è stato per me una delusione.
Mi riferisco alla sua decisione di non incontrare il Dalai Lama in visita a Washington. Obama dovrà recarsi in Cina in novembre e non vuole incrinare i rapporti tra gli Usa e la Cina. Il Paese è ben noto per il mancato rispetto dei diritti umani, ma è un po’ meno noto per essere il maggior finanziatore del debito pubblico americano.
Vanno a farsi benedire tutti i principi morali per non urtare la sensibilità dei cinesi, i quali non amano né il leader spirituale dei buddisti né i Paesi che lo ospitano. Se la nuova politica degli Usa è improntata su simili principi, dovremo aspettarci che Obama rifiuti un incontro con Israele per non fare un dispetto all’Iran? È questo che l’America voleva dal suo giovane presidente oggi premio Nobel per la Pace?
Marco Chierici
marcochierici@libero.it
Caro Chierici,
La Casa Bianca, a quanto pare, aveva informato il Dalai Lama sin dal mese di giugno che il presidente lo avrebbe ricevuto, ma non prima della sua visita in Cina prevista per novembre. Dal canto suo il rappresentante del leader tibetano negli Stati Uniti ha dichiarato recentemente che il Dalai Lama accetta la spiegazione di Obama e attende con piacere il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti. Le forme sono state salvate, ma non c’è dubbio (lo ammettono confidenzialmente persino i consiglieri di Obama) che il rinvio è stato deciso per non guastare il clima del viaggio a Pechino del presidente americano. Washington sa che ogni incontro del Dalai Lama con un leader politico occidentale suscita il risentimento del governo cinese e una sorta di quarantena, più o meno lunga, nei rapporti fra la Repubblica popolare e il Paese «colpevole».
So che a molti la decisione americana sembra un esempio di ipocrisia e opportunismo. Ma vorrei, caro Chierici, che gli avvocati di una diplomazia più energica ed esplicita si chiedessero perché altri leader europei (Angela Merkel e Nicolas Sarkozy per esempio) abbiano deciso di ricevere il leader religioso tibetano. Non credo che lo abbiano fatto nella convinzione di potere giovare alla causa del Tibet e dei diritti umani. Non sarebbero personalità politiche con grandi responsabilità di governo se ignorassero che i loro gesti simbolici e le loro pubbliche esortazioni non sortiranno a Pechino alcun risultato. Quando ricevono il Dalai Lama lo fanno semplicemente per dare soddisfazione al loro elettorato e per impedire che una parte di esso venga conquistata dall’opposizione, a cui non spiace (quale che sia il suo colore) assumere atteggiamenti popolari di cui, comunque, non pagherà il prezzo. Chi è al governo, invece, deve spesso scegliere fra mali minori e mali peggiori. In questo caso il male peggiore, non soltanto per gli Stati Uniti, è indubbiamente la crisi di quel patto di reciproca fiducia fra il «grande debitore» e il «grande creditore » che Washington e Pechino hanno stretto negli scorsi mesi.
Credo che le stesse considerazioni valgano per l’altro esempio menzionato nella sua lettera. Può darsi effettivamente che la politica di Obama verso l’Iran abbia per effetto, nelle prossime settimane, qualche mossa sgradita a Israele. Ma se questa mossa servirà a ridurre la pericolosità dell’Iran e ad accrescere la stabilità della regione, lo stesso Israele, alla fine, dovrà esserne grato.
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