mercoledi` 27 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.10.2009 L'esodo che Obama ha dimenticato
L'analisi di André Aciman

Testata: Informazione Corretta
Data: 12 ottobre 2009
Pagina: 1
Autore: André Aciman
Titolo: «L'esodo che Obama ha dimenticato»

Quasi un milione di ebrei scacciati dai paesi arabi. L'analisi di André Aciman.

 André Aciman

Il discorso del presidente Obama al mondo islamico ha rappresentato sicuramente un evento del tutto innovativo. Mai prima d’ora un presidente americano giovane e dinamico, molto amato sia in patria che nel mondo, aveva teso la mano con così tanta disponibilità e in un momento altrettanto opportuno, verso una parte del globo che in tempi recenti ha avuto sempre meno ragioni per fidarsi di noi o augurarci del bene. E, fatto altrettanto importante, Mr. Obama non ha certo usato mezzi termini. Mai nessun presidente prima d’ora si era presentato di fronte al mondo arabo parlando in modo così esplicito e chiaro dei suoi difetti: l’estremismo, i programmi di armamento nucleare e il cammino lento ed esitante verso il rispetto dei diritti civili, l’istruzione e lo sviluppo economico. Il mondo arabo non supera l’esame in nessuno di questi ambiti. Mr. Obama ha persino trovato il tempo di citare la difficile situazione della esasperata comunità cristiano-copta in Egitto e di criticare la nuova ondata di coloro che negano l’Olocausto. E per dimostrare che non faceva preferenze, ha lanciato un avvertimento agli israeliani: stop agli insediamenti nei territori occupati. Ha parlato delle sofferenze dei palestinesi. Non si è trattato certo di un rametto avvizzito d’olivo. Eppure, malgrado tutti i discorsi del presidente su “un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo” e i “principi condivisi di giustizia e progresso”, né lui né nessuno intorno a lui, e certo nessuno fra il pubblico, si è dato la pena di notare che dal discorso mancava un unico, piccolo dettaglio: si è completamente dimenticato di me. Il presidente non ha mai detto una parola su di “me”. O meglio su uno dei più di 800.000 ebrei nati in Medio Oriente che, durante il XX Secolo, fuggirono dai paesi arabi e musulmani o ne vennero sommariamente espulsi perché ebrei. Pur con tutti i suoi riferimenti alla storia dell’Islam e alla sua (discutibile) “orgogliosa tradizione di tolleranza” nei confronti delle altre fedi, Mr. Obama non ha mai detto nulla riguardo quegli ebrei i cui antenati vivevano nelle terre arabe già molto prima dell’avvento dell’Islam, per poi diventarne le prime vittime quando un’ondata di nazionalismo aggressivo percorse tutto il mondo arabo. Né si è dato la pena di ricordare al suo pubblico che, a seguito di questa fuga ed espulsione, i beni degli ebrei erano stati - chiamiamo le cose con il loro nome - saccheggiati. Mr. Obama non hai mai accennato agli averi che ancora possiedo in Egitto e che non recupererò mai. La casa di mia madre, la fabbrica mio padre, la nostra vita in Egitto, i nostri amici, i nostri libri, le nostre auto, la mia bicicletta. Ognuno di noi non è definito unicamente dal modo di disporsi delle molecole preteiche all’interno delle nostre cellule, ma anche dalle cose che chiamiamo nostre. Portateci via le nostre cose e qualcosa dentro di noi muore. Fu la perdita della sua ricchezza, della sua casa, della vita che si era costruito, a uccidere mio padre. Ma non morì subito: ci vollero 40 anni di esilio per finirlo. Mr. Obama ha avuto parole dure per il mondo arabo a causa del trattamento da esso riservato alle donne. E ha parlato molto del debito dell’America nei confronti dell’Islam. Ma ha mancato di ricordare agli egiziani presenti fra il suo pubblico che, fino a 50 anni fa, in mezzo a loro prosperava una comunità ebraica assai forte e vitale. E che in Egitto molti dei migliori ospedali e istituzioni furono fondati e finanziati da ebrei. È un peccato che non lo abbia ricordato agli egiziani presenti nel pubblico, perché nella maggior parte dei casi - e soprattutto tra coloro che hanno meno di 50 anni - dalla loro memoria sono stati opportunamente cancellati qualsiasi inutile peso morto o senso di colpa. Non hanno alcun ricordo degli ebrei. Ad Alessandria, mia città natale e casa mia, è stato cambiato il nome a tutte le strade intitolate a ebrei. Qualche anno fa la Biblioteca di Alessandria mise in esposizione una traduzione in arabo dei Protocolli dei Savi di Sion, forse il testo più antisemita mai scritto in prosa. Per la cronaca, oggi ad Alessandra sono forse rimasti quattro ebrei. Quando l’ultimo ebreo morirà, i templi e gli oggetti di culto fatti a mano e i libri che sono stati di proprietà di quella che una volta era forse la comunità ebraica più ricca e prosperosa del Mediterraneo, andranno al governo egiziano: non a me o ai miei figli, oppure a uno degli innumerevoli discendenti degli ebrei egiziani. È strano che il nostro presidente, un uomo così ferrato in storia e impegnato nella ricerca della verità, abbia dimenticato di citare gli ebrei d’Egitto. O se n’è dimenticato, o non sapeva, oppure ha solo ritenuto che non fosse opportuno o appropriato farvi accenno in quella sede. Ma il fatto che al Cairo abbia parlato di uno sforzo condiviso “per trovare un terreno comune ... e rispettare la dignità di tutti gli esseri umani” senza menzionare coloro che si trovano nella mia stessa situazione, è come se avesse parlato del futuro della Germania davanti agli abitanti di Berlino dimenticandosi di citare un piccolo dettaglio chiamato Seconda Guerra Mondiale.

Testo tratto dal New York Times, 9-06-09. André Aciman, professore di letteratura comparata al Graduate Center della City University of New York, è autore del bellissimo memoir “Una notte ad Alessandria”, Guanda. (Traduzione dall’inglese di Liana Rando Peters - Language Consulting Congressi) e del romanzo " Chiamami con il tuo nome" Guanda editore) http://www.mosaico-cem.it/


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT